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‘Ndrangheta, Gratteri si “ricorda” di Franco La Rupa: sequestro beni per 9 milioni
Mercoledì, 17 Ottobre 2018 19:07 Pubblicato in CronacaLA MISURA A CARICO DI LA RUPA
Franco La Rupa, da anni protagonista della politica locale, già finito più volte nel mirino della magistratura, ha raggiunto l’apice della sua carriera nel 2005, quando fu eletto consigliere regionale nella lista dell’Udeur (cessando dalla carica nel 2010, al termine della legislatura).
Prima ancora di ricoprire incarichi politici a livello regionale, già nel 1992, era stato eletto consigliere comunale di Amantea, rivestendo poi nell’arco di quindici anni e più volte la carica di assessore (ai lavori pubblici, personale, bilancio, turismo, sanità, commercio e pubblica istruzione) e successivamente di vicesindaco, fino a diventare primo cittadino, eletto per tre volte consecutive.
Nel 1995, inoltre, era stato anche consigliere provinciale nelle file del Ccd.
Proprio a causa delle modalità della sua elezione a consigliere regionale era stato coinvolto nelle operazioni “Nepetia” e “Omnia”, quando gli venne contestato lo scambio elettorale politico-mafioso.
Nel contesto di quest’ultima inchiesta fu condannato in via definitiva a tre anni di reclusione proprio per voto di scambio con degli appartenenti alla cosca Forastefano di Cassano allo Ionio; mentre per la “Nepetia” fu invece assolto perché il fatto non era previsto dalla legge come reato, ovvero difettava la prova che i voti fossero stati procacciati “con l’utilizzo dei metodi tipici dell’operare mafioso”.
Tuttavia, la stessa sentenza di assoluzione avrebbe dato atto dell’esistenza di presunti rapporti diretti tra La Rupa e la cosca Gentile di Amantea.
Le indagini patrimoniali condotte dalle fiamme gialle avrebbero consentito di ricostruire a suo carico un notevole complesso patrimoniale il cui valore è stato ritenuto sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati.
Tra questi il 50% della struttura immobiliare adibita in precedenza alla casa di cura “Papa Giovanni XXIII” di Serra d’Aiello (nel cosentino).
I sigilli sono stati apposti anche ad una villa lussuosa ad Amantea; un bar sempre ad Amantea, nei pressi del polo scolastico; una grossa azienda agricola a Cleto; undici fabbricati ad Amantea e due a Cleto; trentadue terreni agricoli nel comprensorio di Cleto; tre autoveicoli, di cui uno di lusso; due polizze assicurative e diversi rapporti bancari e finanziari. Il tutto per un valore complessivo stimato in oltre 9 milioni di euro.
Da Iacchitè
Ed ora? Chi pagherà? Gli amanteani od (anche) chi ha sbagliato?
Mercoledì, 17 Ottobre 2018 18:42 Pubblicato in PoliticaSi tratta di milioni di euro che dovranno essere pagati dal comune di Amantea e che a quanto pare non rientrano nemmeno nel dissesto e, quindi, dovranno essere pagati per intero senza abbattimenti di sorta, più o meno legittimi.
Milioni di euro che derivano dalla sentenza emessa dal tribunale di Paola giorno 4 ottobre 2018, dopo anni ed anni di causa, sentenza che sarebbe stata notificata stamattina 17 ottobre al comune di Amantea a cura degli avvocati dello stesso Ente.
Parliamo degli avvocati Nunzio Raimondi, del foro di Catanzaro, e Concetta Metallo, del foro di Paola.
Vi starete chiedendo di cosa stiamo discutendo, vero?
Ebbene, parliamo della causa promossa dall’Hotel La Principessa contro il comune di Amantea, la regione Calabria e la provincia di Cosenza per i danni provocati dal Porto di Amantea alla spiaggia a sud . letteralmente scomparsa, e che ha reso impossibile la sua fruizione da parte del complesso turistico
Una vicenda della quale parleremo a lungo, ancora più se, davvero, i cittadini amanteani saranno , come sembra, chiamati a pagare i danni stabiliti dai giudici a favore dei ricorrenti.
Parliamo, come detto, di milioni di euro
Se anche non è stato riconosciuto a favore del ricorrente il danno emergente richiesto e quello di immagine sarà quantizzato nei prossimi mesi ,il lucro cessante assommerebbe a diversi e diversi milioni di euro.
L'importo sarà stabilito dai giudici.
Sembra che gli avvocati romani Manti e Reggio D’Aci ben famosi ad Amantea per aver fatto vincere la causa agli amministratori comunali quando venne sciolto per mafia il consiglio comunale, questa volta non siano riusciti a tutelare gli interessi della città.
Stando alle prime indicazioni sembra che la difesa del comune esercitata da Manti-D’Aci, sia stata orientata a sostenere la incompetenza del magistrato ordinario, spettando, al contrario, il giudizio al TAR, tesi questa non accolta dal tribunale paolano.
Non solo ma sembra che la regione sia stata prosciolta da eventuali responsabilità perché il progetto è stato approvato dal comune, donde la totale responsabilità di quest’ultimo.
Ma, ci chiediamo, possibile che la regione sia diventata solo un ente erogatore senza entrare nel merito dell’opera , quasi che fosse una sorta di cassa depositi e Prestiti dei vecchi tempi ?.
Quasi come se, erogato il finanziamento pubblico, possa mancare ogni forma di attenzione e di controllo?.
Similmente sarebbe stato prosciolto da ogni responsabilità l’ente provincia proprio perché non avrebbe avuto responsabilità alcuna nella valutazione del progetto del porto.
La prima domanda che ci stiamo ponendo è la seguente: Ma chi ha approvato il progetto?
La seconda domanda :Ma chi ha approvato il progetto?
La terza: Ma dove sono finite le prove in vasca fatte eseguire dal comune di Amantea?
La quarta: Ma le prove in vasca avevano dichiarato l’opera eseguibile ed a quali condizioni?
Ci fermiamo qui, per il momento, ma con l’impegno a maggiori riflessioni.
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Catania: arrestati due poliziotti e un carabiniere che coltivavano 2500 piante di cannabis
Mercoledì, 17 Ottobre 2018 11:29 Pubblicato in ItaliaUna banda di 21 persone è finita agli arresti a Catania, con l’accusa di gestire intere piantagioni di cannabis da spacciare poi in tutta la provincia etnea.
Una storia di ordinario proibizionismo, arricchita dal fatto che tra i membri della banda, composta da almeno 21 persone, ci fossero due poliziotti ed un carabiniere.
L’organizzazione, individuata a partire dalle testimonianze di un pentito di mafia appartenente al clan Nardo, si occupava direttamente della coltivazione e della vendita di cannabis con la quale riforniva il mercato catanese.
Già un anno fa, durante le indagini, la polizia aveva sequestrato circa 2500 piante di marijuana e scoperto un terreno, attiguo a quello coltivato dall’organizzazione, pronto per essere utilizzato.
Le accuse formulate dal Gip nei confronti dei 21 arrestati, in gran parte pregiudicati, sono: associazione a delinquere, coltivazione, produzione, trasporto, detenzione e cessione di sostanze stupefacenti, possesso di armi, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio e favoreggiamento personale.
Tra i 21 arrestati figura l’assistente capo della polizia Matteo Oliva, di 46 anni, ritenuto uno dei capi della banda, e il carabiniere Stefano Cianfarani, di 49 anni, indicato come organico al gruppo. I due, indagati anche per corruzione, sono stati condotti in carcere.
Mentre l’assistente capo di polizia Giuseppe Bennardo, di 50 anni, è risultato estraneo alla coltivazione di marijuana, ma posto agli arresti domiciliari per favoreggiamento, in quanto avrebbe cercato di depistare le investigazioni sui colleghi.
Come di consueto i tre appartenenti alle forze dell’ordine sono stati rapidamente bollati come semplici “mele marce” del sistema. «Casi sporadici ed isolati, elementi spuri di un organismo sano ed efficiente che troviamo sempre accanto a noi a collaborare nelle indagini di contrasto alla criminalità», secondo le parole del procuratore di Catania Carmelo Zuccaro.