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Redazione TirrenoNews

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Eccovi la Amantea "romana e borbonica"

Giovedì, 15 Novembre 2018 20:12 Pubblicato in Economia - Ambiente - Eventi

Governare un paese, una provincia, una regione, uno stato non è mai facile.

Ancora più oggi, in un momento, cioè, difficile e nel quale i valori fondanti delle antiche comunità si sono persi, in un momento, cioè, in cui tutti pretendono diritti senza praticare i doveri.

 

I Romani, ad esempio, già conoscevano gli opportuni mezzi di controllo.

Ed infatti a Giulio Cesare si attribuisce il detto “panem et circenses” (pane e spettacoli).

Non a caso i giochi gladiatori venivano offerti da possidenti e magistrati della città per essere graditi anche per la plebe.

Più recentemente molti storici, tra cui lo stesso romanziere e giornalista francese Alexandre Dumas, raccontano che il re Ferdinando di Borbone avesse una sua personale regola di governo, quella delle“tre F di Ferdinando: feste, farina e forca”.

Sosteneva che il popolo per prima cosa va distratto con continui festeggiamenti: funzioni religiose, balli, spettacoli gratuiti in grado di allontanare lo sguardo dai problemi reali, creare aggregazione e, soprattutto, far provare gratitudine per i governanti.

Inoltre un popolo, quale esso sia, non si ribella se riesce a mettere il pane sulla tavola tutti i giorni

Domata la “panza”, infatti, si riduce la rabbia contro i potenti.

Intelligentemente Ferdinando comprese che i sudditi divertiti e sfamati dovevano, comunque, temere l’autorità.

La forca era la paura e per questo le esecuzioni venivano svolte in pubblica piazza, in presenza di tutta la cittadinanza: tutti dovevano assistere, tutti dovevano comprendere cosa succedeva a chi andasse contro l’ordine costituito.

Da un certo punto di vista, però, la forca assumeva un compito simile alla festa divenendo un altro momento di aggregazione, un modo per far sentire tutti i cittadini onesti parte di una comunità stabile e sicura.

“Insomma, l’illuminato Ferdinando aveva solo scoperto ed ammesso una verità assoluta.

Non dimentichiamo, tuttavia, che le pubbliche esecuzioni sono state il deterrente ai crimini più in voga in tutta Europa, dunque quella napoletana non era un’eccezione, visto che nelle altre nazioni si faceva esattamente la stessa cosa “in ossequio” a un’usanza radicata da millenni”.

Guardando avanti, invece che al passato, possiamo ancora notare come il nostro mondo segua sempre regole molto simili.

Ancora oggi i nostri governanti , cioè, comprano stima e rispetto ( attenzione e forse voti) del popolo con feste, sagre. tasse, tributi e l’Agenzia delle Entrate.

Per loro fortuna non sono soli.

C’è il calcio, il teatro, le feste patronali, il carnevale, le fiere, le manifestazioni popolari, ed ancora la TV, il Festival di Sanremo, le canzoni, i film, i serial televisivi, Facebook, la Chiesa, la Politica, i giornali, i telegiornali, eccetera.

Elementi tutti che fanno passare in secondo piano i problemi quotidiani.

Amantea. La città “colta” ma senza biblioteca.

Giovedì, 15 Novembre 2018 19:56 Pubblicato in Cronaca

Quando fra qualche anno chi sarà presente rileggerà questo attuale periodo per spiegarlo avrà bisogno di classificarlo.

Ed è molto probabile che lo farà indicandolo come l’età dell’ignoranza.

 

 

Parliamo cioè di quella pseudo cultura che è figlia della conoscenza impropria e parziale suggerita ed indotta dalla TV, dal WEB, dai SOCIAL, da una Scuola autoreferenziale, dalla scomparsa della meritocrazia sostituita dall’apparire che non riconosce valore all’essere.

Non si studia più, e nemmeno si legge.

I ragazzi , soprattutto, ma anche gli anziani, non avvertono più il profumo delle pagine di un buon libro, non ne palpano la carta provando quella emozione che è propria di accarezza una persona, non si abitua( o riabitua) all’uso del congiuntivo e del condizionale.

Ad Amantea, poi manca, perfino, una buona biblioteca, magari nella quale trovare testi e stampe che facciano conoscere la stessa storia locale e regionale lasciando la comunità nella consueta ignoranza

Un tempo si pensava che studiare permettesse di non restare zitti di fronte a nessuno, di poter capire meglio quanto avviene intorno a noi, di poter avere un futuro migliore.

Quando si capirà che l’uomo forte è quello che ha studiato e continua a studiare e che forse chi studia è il vero ribelle in un società morta nella quale sembra contare soltanto l’approssimazione dell’attimo fuggente, il presentismo.

In questa approssimazione sembra di vedere una lontana luce.

Su una finestra del Campus leggiamo un cartello dove c’è scritto “Biblioteca comunale in allestimento. Prossima apertura”

Ci sembra un miracolo e siccome non crediamo nei miracoli staremo in allerta.

Anche perché sono almeno 10 anni che il comune non compra un libro!

Anche perchè la stessa regione Calabria ci sembra finanzi solo pochi mesi prima delle elezioni le biblioteche e forse in modo improprio.

La regione si fa vanto di un “ridicolo finanziamento per le biblioteche!”

Parliamo di un milione di euro per tutta la Calabria. Un solo milione di euro tratti dai fondi Pac 2014/2020.

Un milione da distribuire tra 404 comuni. Parliamo di meno di 2500 euro per ogni comune.

Ridicolo, vergognoso.

Ancora più perché questo finanziamento sembra già destinato. Tanto è vero che l’assessore regionale alla Cultura Maria Francesca Corigliano ha detto «Ma quest’anno si è voluto fortemente inserire nel bando anche le biblioteche di interesse locale, riconosciute dal Dpgr ai sensi della legge 17/85, per dare modo sia alla Biblioteca civica di Cosenza che alla Biblioteca di Soriano Calabro di poter accedere ai finanziamenti”.

Ottime biblioteche che potrebbero essere messe in rete per poter essere godute da tutti!

Ora speriamo che il comune di Amantea inoltri la domanda, sorretta da un brillante progetto che dia attenzione alla gran messe di testi che mancano nella nostra antica biblioteca e che permettano alla comunità di conoscere almeno la propria storia!

Degrado in un campo rom di Roma. La piccola obbligata a cinghiate a mendicare dall’età di 4 anni. Riconosciuta dal giudice il reato di “riduzione in schiavitù”

Già a quattro anni Esmeralda veniva mandata a medicare in giro per Roma.

La prendeva addirittura a cinghiate per convincerla a farlo, anziché starsene a giocare nel campo rom insieme agli altri bambini.

E per oltre dieci anni è stata obbligata a stare davanti a un supermercato della Capitale a chiedere le elemosina per riuscire a portare a casa un po’ di euro che finivano nelle tasche dei suoi famigliari.

Ora, però, per quella che però i giudici della Corte d’Assise hanno ritenuto essere una vera e propria “riduzione in schiavitù”, la nonna della piccina, Elena Zorel, è stata condannata a scontare ben dodici anni di carcere.

Non l’hanno passata liscia nemmeno la madre della bimba, Maria Costantin, e la zia, Mirela Lapadat.

Come racconta il Corriere della Sera, le drammatiche violenze si sono verificate nel campo rom di via Candoni.

E sono andate avanti per oltre dieci anni.

Tutto ha inizio nel 2005 quando la nonna le dà un cartone in mano e la piazza a chiedere la carità davanti a un supermercato in via del Trullo.

L’ordine è di stare lì seduta tutti i giorni, indipendentemente se su di lei splendeva il sole o cadeva la pioggia.

Quando, poi, la piccola cresce e prova a ribellarsi, Elena Zorel la massacra di botte prendendola a cinghiate.

La madre è presente ma non muove un dito per difenderla.

Nemmeno quando la nonna tira una coltellata alla nipotina per farle capire che non può essere lei a decidere del suo destino.

E, per questo, alla fine del processo è stata condannata a scontare un anno e otto mesi di carcere.

Nel processo a carico della nonna e e della madre della giovane, che oggi ha diciotto anni, la Corte d’Assise ha configurato il reato di “riduzione in schiavitù“.

Come racconta il Corriere della Sera, infatti, le due donne hanno obbligato, con la forza e per dieci lunghi anni, la nipote a mendicare anziché studiare e giocare con gli altri bambini.

Eppure Andrea Palmiero, l’avvocato che difende Elena Zorel, ribatte che “la valutazione della Corte paga la difficoltà a capire che la nostra cultura è diversa da quella dei rom”.

novembre 14, 2018

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