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Redazione TirrenoNews

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È quanto scritto nel decreto della perquisizione disposta dalla Procura di Perugia nei confronti dell'attuale sostituto procuratore a piazzale Clodio, che avrebbe ricevuto il denaro per favorire la nomina di Giancarlo Longo a procuratore di Gela

 

 

 

ROMA. Il pm della procura di Roma, Luca Palamara, quando rivestiva il ruolo di componente del Csm avrebbe ricevuto 40 mila euro dagli avvocati Giuseppe Calafiore e Piero Amara per favorire la nomina di Giancarlo Longo a procuratore di Gela, non andata in porto.

E' quanto emerge dal decreto della perquisizione disposta dalla Procura di Perugia nei confronti dell'attuale sostituto procuratore a piazzale Clodio.

Negli atti si afferma che Palamara "quale componente del Csm riceveva da Calafiore e Amara la somma pari ad euro 40 mila per compiere un atto contrario ai doveri d'ufficio, ovvero agevolare e favorire il medesimo Longo (arrestato nel febbraio del 2018 nell'ambito dell'inchiesta su corruzione in atti giudiziari dalla Procura di Messina - ndr) nell'ambito della procedura di nomina a procuratore di Gela alla quale aveva preso parte Longo, ciò in violazione dei criteri di nomina e selezione".

Secondo quanto scrivono i pm della Procura di Perugia nel decreto di perquisizione a carico del sostituto procuratore attualmente in carica a Roma, l'imprenditore Fabrizio Centofanti "era una sorta di anello di congiunzione tra Luca Palamara e il duo Calafiore-Amara". Centofanti, indagato per corruzione nel capoluogo umbro, "ha operato come rappresentante di tale centro di potere che ha svolto sistematicamente mediante atti corruttivi di esponenti dell'autorità giudiziaria".

"Le utilità percepite nel corso degli anni da Palamara - è detto nel decreto - dai suoi conoscenti e familiari ed erogate da Centofanti appaiono direttamente collegate alla sua funzione di consigliere dell'organo di autogoverno della magistratura. Il numero di donativi e il valore degli stessi non è spiegabile sulla base di un mero rapporto di amicizia.

Occorre tener conto che l'autore di tali emolumenti è un soggetto in stretti rapporti illeciti con imputati rei confessi del delitto di corruzione".

Pesanti le intercettazioni contenute nel decreto di perquisizione. "Siccome un angelo custode ce l'ho io...sei spuntato te, m'e' spuntato Stefano che e' il mio amico storico".

Cosi' il pm di Roma Luca Palamara diceva il 16 maggio scorso al consigliere del Csm Luigi Spina a proposito del collega Stefano Rocco Fava, autore di un esposto al Csm contro l'ex procuratore Giuseppe Pignatone e l'aggiunto Paolo Ielo. Spina e Fava sono indagati a Perugia per favoreggiamento e rivelazione del segreto.

Fava avrebbe rivelato a Palamara l'esposto da lui presentato su Pignatone e Ielo per presunti comportamenti scorretti nella gestione del procedimento sul conto dell'avvocato Piero Amara.

E secondo gli inquirenti umbri, "Fava nell'intendimento di Palamara sara' suo strumento per screditare il procuratore aggiunto che ha disposto, all'epoca, la trasmissione degli atti a Perugia".

Stando a quanto emerge dal decreto di perquisizione, a partire dal 2011 Centofanti avrebbe elargito a Palamara "utilità e vantaggi economici".

A beneficiarne non solo Palamara, ma anche sua sorella Emanuela e la sua amica Adele Attisani. Centofanti avrebbe pagato, tra l'altro, un gioiello di 2mila euro, in una gioielleria di Misterbianco, destinato all'Attisani per il suo compleanno.

Alla donna avrebbe pagato anche un soggiorno nel settembre del 2017 all'hotel Jebel di Taormina.

Ci sono poi i soggiorni, di cui secondo la pg avrebbe usufruito lo stesso Palamara, all'Hotel Fonteverde di San Casciano dei Bagni (novembre 2015, febbraio e marzo 2017).

E il soggiorno della sorella del magistrato all'hotel Campiglio Bellavista nel marzo del 2011 e nel dicembre dello stesso anno.

Le indagini hanno accertato che dal 26 dicembre 2011 al 2 gennaio 2012 in quella struttura alberghiera hanno alloggiato anche lo stesso Luca Palamara con il proprio nucleo familiare, esperienza ripetuta tra il 2014 e il 2015.

Ci sono poi le carte di imbarco per Attisani e Palamara per un volo Roma-Dubai dal 25 al 29 novembre 2016 e due fatture relative a un viaggio a Favignana.

ROMA - La Cassazione ha decretato che commercializzare i prodotti derivati dalla cannabis light è un reato.

La decisione, che travolge un settore in piena espansione, è stata presa oggi dalle sezioni unite penali presiedute dal presidente aggiunto Domenico Carcano.

 

 

 

 

Per la Cassazione, dunque, la legge non consente la vendita o la cessione a qualunque titolo dei prodotti "derivati dalla coltivazione della cannabis" come l'olio, le foglie, le inflorescenze e la resina. "Integrano il reato" previsto dal Testo unico sulle droghe (articolo 73, commi 1 e 4, dpr 309/1990) infatti, "le condotte di cessione, di vendita, e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L, salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante".

Dagli avvocati ai pensionati, i fan della cannabis light: "Aiuta contro ansie e dolori"

La commercializzazione di cannabis 'sativa L', spiegano i supremi giudici non rientra nell'ambito di applicazione della legge 242 del 2016", sulla promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa.

Con la loro informazione provvisoria - alla quale nelle prossime settimane dovrà seguire il deposito della sentenza con le motivazioni - i giudici della Corte osservano che la legge del 2016 "qualifica come lecita unicamente l'attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole" che "elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati".

L’avvocato Carlo Alberto Zaina, che assiste il commerciante di Ancona che è stato denunciato l’estate scorsa e il cui caso è finito davanti alle Sezioni Unite, commenta: “Per come è scritta la massima della Cassazione non scioglie alcuni nodi, come quello della definizione dell’efficacia drogante.

Aspetto la motivazione completa per capire di più di quello che ha portato alla decisione

di BRUNELLA GIOVARA

Soriano. Dimissioni shock dei consiglieri dell’opposizione.

Giovedì, 30 Maggio 2019 17:20 Pubblicato in

Bartone, Lico e Pagano lo hanno reso noto stamattina

Soriano Calabro, gli eletti domenica scorsa nella lista “La città del sole”, hanno deciso di fare un passo indietro e salutare gli altri eletti dimettendosi dall’incarico.

 

L’ex sindaco Francesco Bartone, Giuseppe Lico ed Antonio Pagano poche ore fa hanno compiuto un gesto che, inevitabilmente, ha scatenato una ridda di accuse nei loro confronti.

Tra i primi a giudicare negativamente il loro operato ci sono i componenti del gruppo vincente, “Rinascita sorianese”, che su Facebook hanno stigmatizzato la condotta dei tre sostenendo che essi non hanno: “Nessun rispetto per i vincitori, nessun rispetto per la democrazia, nessun rispetto per le istituzioni, nessun rispetto per i loro elettori”.

Ora nella prima seduta di consiglio ai tre dimissionari subentreranno i tre consiglieri successivi.

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