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Redazione TirrenoNews

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Vi dico la mia sull’asta boschiva di “Cozzo Cervello” in agro di Paola, di cui si sta parlando tanto sui social in queste ore. Al bando possono partecipare solo le ditte forestali con abilitazione valida al taglio boschivo.

 

 

L’asta prevede la vendita di circa 131 ettari di terreni boschivi da “Cozzo Cervello” a “Croce di Paola o di Montalto”, di cui circa 22 destinati ad essere rasi al suolo.

Ebbene, dopo accurata ricerca e confronto delle fonti, ho appurato che:

1) Il sito risulta essere un “uso civico” e pertanto non può essere alienato perché appartiene alla comunità di Paola. Chi lo dovesse alienare ne risponderà penalmente di fronte alla legge e il contratto di compravendita è dichiarato nullo.

2) Nella parte di montagna con altitudine superiore ai 1.200 metri s.l.m. (p.e. Cozzo Cervello) esiste automaticamente un vicolo paesaggistico ex d.lgs. 2004/42 art. 142, per cui si ipotizza l’emanazione del bando in difetto di propedeutico nullaosta paesaggistico.

Il Ministero dei Beni Culturali può intervenire per far rispettare il vincolo paesaggistico tramite le Soprintendenze locali, se qualcuno lo avvisa per tempo!

Altro vincolo esistente per la parte di boschi (inferiori ai 1.200 metri s.l.m) se iscritti negli albi regionali.

Non ho modo di verificare tale informazione, ma se qualcuno può fare, lo faccia.

Conoscendo l’andazzo della Regione Calabria, c’è il forte sospetto che quei boschi non siano mai stati iscritti negli albi regionali.

3) Su una ulteriore parte dei suoli ci sono già segnalate problematiche di ordine idrogeologico per via delle pendenze pari o vicine al 35%, e quindi va da sé che un eventuale taglio andrebbe preceduto da un piano di gestione forestale approfondito e regolarmente approvato, vista la elevata probabilità di creare dissesto idrogeologico.

Dubito che un qualsiasi nullaosta possa essere concesso da una perizia firmata da un professionista serio e coscienzioso.

4) L’area è ricchissima di torrenti e corsi d’acqua che, dopo un giro tortuoso, finiscono per la maggior parte nel Torrente Annea e quindi nel Fiume Crati nel Comune di Montalto Uffugo.

Radere al suolo un bosco altera i processi di fotosintesi clorofilliana e quindi il normale ciclo aria-acqua-suoli, con relativi impatti ambientali negativi che non vengono contemplati nel bando in questione.

In sintesi: abbiamo anche a che fare con un bando truffaldino, per il quale o dovrà intervenire la magistratura, o il Ministero dei Beni Culturali oppure la Regione Calabria per bloccare tutto. Sempre che il Comune di Paola non ci ripensi e ritiri in autotutela il bando.

Da Iacchite - 1 Luglio 2019

Sei anni fa l’ex editore di Calabria Ora ripercorse i suoi rapporti con i fratelli cosentini affidando il racconto a Sandro Ruotolo all’interno del programma tv “Servizio Pubblico”

Cosenza “I Gentile sono peggio della ‘ndrangheta”.

 

 

 

 

 

Fu la frase che portò l’ex editore di Calabria Ora sul banco degli imputati con l’accusa di diffamazione nei confronti di Pino Gentile.

Era il 20 marzo del 2014 quando Piero Citrigno rilasciò una intervista al giornalista Sandro Ruotolo conduttore del programma “Servizio Pubblico” su La7.

“E’ più facile farla franca con la ‘ndrangheta che con loro, – commenta Citrigno a Ruotolo –

A differenza della delinquenza che ci mette la faccia loro non ce la mettono, usano altri metodi.

Se una cosa decidono di fartela fare, te la fanno fare”.

Intervista lunga in cui Citrigno sottolineò la preoccupazione che aveva per i propri figli alla guida di attività che sarebbero potute essere ostacolate dai due fratelli.

Le stesse dichiarazioni poi furono riportate in un articolo apparso sul quotidiano “L’ora della Calabria”.

L’ex editore ed imprenditore bruzio finì in tribunale. Pino Gentile per la parte civile è rappresentato dall’avvocato Guido Siciliano.

La Procura oggi ha chiesto una condanna a 600 euro di multa.

Ma il giudice monocratico Garofalo ha inteso condannare l’imputato al pagamento di mille euro di multa ed una provvisionale di dieci mila euro.

Ha disposto la condanna al pagamento delle spese legali in favore della parte civile costituita e ulteriore risarcimento da definirsi in sede civile.

Quicosenza.it

Il chavismo ha prodotto una crisi umanitaria senza precedenti, scrive il Washington Post

“Il viaggio di 350 miglia per Bogotá è allo stesso tempo una marcia forzata e un pellegrinaggio”, scrive Michael Gerson del Washington Post in un reportage dal confine tra Colombia e Venezuela: “Gli uomini e le donne sono spinti dalla fame e dalla disperazione in Venezuela e sperano in un nuovo inizio in Colombia, Ecuador, Perù o altrove.

A questo punto della crisi venezuelana, molti uomini sono già partiti in cerca di lavoro e le famiglie ora li seguono percorrendo una enorme distanza in ciabatte e con dei vestiti poco adeguati alle temperature fredde della montagna.

I bambini trascinano i propri bagagli, e le madri tengono in braccio i neonati che piangono.

Alcune organizzazioni umanitarie hanno installato dei centri di assistenza lungo la strada che forniscono ristoro agli emigranti.

‘Non c’è lavoro e non c’è da mangiare (in Venezuela)’, mi dice una donna a El Diamante: ‘Non riesco a comprare il latte e i pannolini’.

Il presidente dell’organizzazione umanitaria World Vision U.S., Edgar Sandoval, che ha vissuto in Venezuela da ragazzo, mi spiega che ‘un tempo molte persone emigravano in Venezuela alla ricerca di una vita migliore.

Oggi sono ancora in contatto con alcune persone nel paese, e mi raccontano che l’accesso all’acqua è difficoltoso, alcuni svolgono vari viaggi al giorno con una carriola per prendere quanto basta per soddisfare i loro bisogni’.

Il Venezuela è un leader mondiale nella produzione della disperazione. Nei primi anni Duemila il dittatore socialista Hugo Chávez aveva creato un sistema in cui il cibo, l’istruzione e la sanità erano gratis, e venivano finanziati dai proventi del petrolio.

Il calo del prezzo del petrolio ha fatto precipitare il sistema di sussidi. I poveri e la classe media in Venezuela erano rimasti solo con i loro stipendi, il cui valore è diminuito con l’iperinflazione.

La paga minima in Venezuela è pari a 6 dollari al mese, e un chilo di grano vale un quarto di quella cifra.

Aggiungi i blackout, gli ospedali senza garza o antidolorifici, la mancanza di carta igienica e gas per cucinare…

Inoltre c’è un regime che resta al potere attraverso oppressioni brutali, sostenute dalla violenza della guardia nazionale.

Il risultato è un paese da cui oltre 4 milioni di persone hanno deciso di scappare.

La maggior parte dei rifugiati venezuelani scappano dal ponte Simón Bolívar al confine con la Colombia.

Coloro che hanno ricevuto dei bonifici dai parenti all’estero possono permettersi un viaggio in autobus verso la propria destinazione.

Ai più poveri non resta che camminare tra le montagne, elemosinare o farsi trasportare oltre il confine.

Al Colegio La Frontera, una scuola pubblica in Colombia frequentata perlopiù da ragazzi venezuelani, ho conosciuto una rifugiata di 13 anni chiamata Jhedye.

Prima di fuggire, si arrangiava vendendo ananas abusivamente e pagando mazzette alla polizia se colta in flagrante.

Questo è ciò che è diventato l’esperimento chavista in Venezuela: l’impiego di energumeni armati per reprimere delle bambine impoverite.

Un futuro migliore richiede la fine di un regime crudele, corrotto e incompetente.

Ma nel frattempo l’emergenza umanitaria è acuta e in grande espansione.

Le organizzazioni umanitarie lavorano ai limiti delle loro risorse.

E i venezuelani proseguono il loro difficile viaggio”.

1 Luglio 2019 alle 09:10

Il Foglio

Foto Manifestazione a Caracas (LaPresse)

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