Che cosa accade in caso di vittoria del “sì” al referendum.
Una vittoria referendaria del “sì” non modificherebbe nulla relativamente alle attività oltre le 12 miglia marine, tantomeno la possibilità di cercare e sfruttare nuovi giacimenti sulla terraferma. Quindi sgombriamo il campo da chi grida “ al lupo, al lupo! ”.
Parliamo solo delle trivellazioni vicine alla costa, quelle che non si possono più fare perché vietate dalla legge (art. 6, comma 17°, del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i.).
Se al referendum dovessero vincere i “sì”, semplicemente alla scadenza delle concessioni, gli impianti elencati nella tabella dovrebbero chiudere, i primi tra 5 anni, gli ultimi tra circa venti.
Quali le conseguenze?
La prima cosa che i dati mostrano è che non si tratta di un referendum sulle trivellazioni di gas o petrolio, si tratta solo di decidere se ciò che è vietato fare ora entro le dodici miglia in mare, sia giusto permettere che continui fino ad esaurimento per gli impianti esistenti. Inutile quindi delineare apocalittici scenari di suicidio energetico o di fine prematura di una industria. Fuori luogo anche paventare effetti nefasti sul quadro energetico nazionale: i consumi fossili per fortuna stanno lentamente calando in Italia e se prendiamo sul serio gli impegni che il nostro governo ha sostenuto a Parigi lo scorso dicembre per evitare un aumento medio della temperatura entro i 2 gradi (magari 1,5), dovremo consumarne sempre meno e a livello globale dovremo lasciare sotto la crosta terrestre gran parte del petrolio.
(da http://sbilanciamoci.info/wp-content/uploads/2016/04/Meregalli_referendum17aprile.pdf)
Allora è utile ricordare che in Italia ci sono 867 pozzi produttivi di cui 355 in mare e che le trivelle hanno più pozzi ( fonte DGRME-MISE )
Se doveste imbattervi in questi nomi sappiate che si tratta di piattaforme marine e di teste di pozzo sottomarine
Sotto il profilo della ubicazione
Entro il limite delle 12 miglia (92)
Oltre il limite delle 12 miglia (43)
Tipologicamente sono
Piattaforme con struttura emersa (122)
Strutture distinte per attività in corso
Piattaforme di produzione eroganti (79)
Piattaforme di produzione non eroganti (40)
Piattaforme di supporto alla produzione (8)
Ma i pozzi marini inquinano?
Ecco la risposta.
Delle oltre 130 piattaforme operanti in Italia , sono stati consegnati a Greenpeace solo i dati relativi ai piani di monitoraggio delle piattaforme attive in Adriatico che scaricano direttamente in mare, o iniettano/re-iniettano in profondità, le acque di produzione.
Si tratta di 34 impianti (33 nel 2012 e 2014)che estraggono gas, tutti di proprietà di ENI. I dati si riferiscono agli anni 2012, 2013 e 2014.
Per quel che riguarda le altre 100 piattaforme operanti nei nostri mari , Greenpeace non ha ottenuto alcun dato dal Ministero . La mancanza di dati per queste piattaforme può essere dovuta all’assenza di ogni tipo di controllo da parte delle autorità competenti o al fatto che il Ministero ha deciso di non consegnare a Greenpeace tutta la documentazione in suo possesso.
I dati ottenuti da Greenpeace sono resi pubblici per la prima volta in questo rapporto: sino a oggi il Ministero non li ha resi disponibili sui suoi organi di comunicazione ufficiali.
I monitoraggi sono realizzati da ISPRA (l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, un istituto di ricerca pubblico sottoposto alla vigilanza dl Ministero dell’Ambiente) con la committenza di ENI(sulla base di una apposita convenzione ENI-ISPRA).
I monitoraggi prevedono analisi chimico-fisiche su campioni di acqua, sedimenti marini e mitili (Mytilus galloproncialis, le comuni cozze)che crescono nei pressi delle piattaforme.
Dal lavoro di sintesi e analisi di questi dati svolto da Greenpeace emerge un quadro perlomeno preoccupante. I sedimenti nei pressi delle piattaforme sono spesso molto contaminati.
A seconda degli anni considerati, il 76% (2012), il 73,5% (2013)e il 79% (2014) delle piattaforme presenta sedimenti con contaminazione oltre i limiti fissati dalle norme comunitarie per almeno una sostanza pericolosa. Questi parametri sono oltre i limiti per almeno due sostanze nel 67% degli impianti nei campioni analizzati nel 2012, nel 71% nel 2013 e nel 67% nel 2014. Non sempre le piattaforme che presentano dati oltre le soglie confermano i livelli di contaminazione negli anni successivi,ma la percentuale di piattaforme con problemi di contaminazione ambientale è sempre costantemente elevata. 1
http://unmig.mise.gov.it/unmig/strutturemarine/piattaforme.pdf
Tra i composti che superano con maggiore frequenza i valori definiti dagli Standard di Qualità Ambientale (o SQA, definiti nel DM 56/2009e 260/2010)fanno parte alcuni metalli pesanti, principalmente cromo, nichel, piombo (e talvolta anche mercurio, cadmio e arsenico), e alcuni idrocarburi come fluorantene, benzo[b]fluorantene, benzo[k]fluorantene,benzo[a]pirenee la somma degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Alcune tra queste sostanze sono cancerogene e in grado di risalire la catena alimentare raggiungendo così l’uomo e causando seri danni al nostro organismo.
La relazione tra l’impatto dell’attività delle piattaforme e la catena alimentare emerge più chiaramente dall’analisi dei tessuti dei mitili prelevati presso le piattaforme.
Gli inquinanti monitorati in riferimento agli SQA identificati per questi organismi(appartenenti alla specie Mytilus galloproncialis), sono tre: mercurio, esaclorobenzene ed esaclorobutadiene. Di queste tre sostanze solo il mercurio viene abitualmente misurato nei mitili nel corso dei monitoraggi ambientali
I risultati mostrano che circa l’86% del totale dei campioni analizzati nel corso del triennio 2012-2014 superava il limite di concentrazione di mercurio identificato dagli SQA.
Per quel che riguarda gli altri metalli misurati nei tessuti dei mitili non esistono limiti specifici d
Che cosa accade in caso di vittoria del “sì” al referendum.
Una vittoria referendaria del “sì” non modificherebbe nulla relativamente alle attività oltre le 12 miglia marine, tantomeno la possibilità di cercare e sfruttare nuovi giacimenti sulla terraferma. Quindi sgombriamo il campo da chi grida “ al lupo, al lupo! ”.
Parliamo solo delle trivellazioni vicine alla costa, quelle che non si possono più fare perché vietate dalla legge (art. 6, comma 17°, del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i.).
Se al referendum dovessero vincere i “sì”, semplicemente alla scadenza delle concessioni, gli impianti elencati nella tabella dovrebbero chiudere, i primi tra 5 anni, gli ultimi tra circa venti.
Quali le conseguenze?
La prima cosa che i dati mostrano è che non si tratta di un referendum sulle trivellazioni di gas o petrolio, si tratta solo di decidere se ciò che è vietato fare ora entro le dodici miglia in mare, sia giusto permettere che continui fino ad esaurimento per gli impianti esistenti. Inutile quindi delineare apocalittici scenari di suicidio energetico o di fine prematura di una industria. Fuori luogo anche paventare effetti nefasti sul quadro energetico nazionale: i consumi fossili per fortuna stanno lentamente calando in Italia e se prendiamo sul serio gli impegni che il nostro governo ha sostenuto a Parigi lo scorso dicembre per evitare un aumento medio della temperatura entro i 2 gradi (magari 1,5), dovremo consumarne sempre meno e a livello globale dovremo lasciare sotto la crosta terrestre gran parte del petrolio.
(dahttp://sbilanciamoci.info/wp-content/uploads/2016/04/Meregalli_referendum17aprile.pdf)
Allora è utile ricordare che in Italia ci sono 867 pozzi produttivi di cui 355 in mare e che le trivelle hanno più pozzi ( fonte DGRME-MISE )
Entro il limite delle 12 miglia (92)
Oltre il limite delle 12 miglia (43)
Tipologicamente sono
Piattaforme con struttura emersa (122)
Strutture distinte per attività in corso
Piattaforme di produzione eroganti (79)
Piattaforme di produzione non eroganti (40)
Piattaforme di supporto alla produzione (8)
Ma i pozzi marini inquinano?
Ecco la risposta.
Delle oltre 130 piattaforme operanti in Italia , sono stati consegnati a Greenpeace solo i dati relativi ai piani di monitoraggio delle piattaforme attive in Adriatico che scaricano direttamente in mare, o iniettano/re-iniettano in profondità, le acque di produzione.
Si tratta di 34 impianti (33 nel 2012 e 2014)che estraggono gas, tutti di proprietà di ENI. I dati si riferiscono agli anni 2012, 2013 e 2014.
Per quel che riguarda le altre 100 piattaforme operanti nei nostri mari , Greenpeace non ha ottenuto alcun dato dal Ministero . La mancanza di dati per queste piattaforme può essere dovuta all’assenza di ogni tipo di controllo da parte delle autorità competenti o al fatto che il Ministero ha deciso di non consegnare a Greenpeace tutta la documentazione in suo possesso.
I dati ottenuti da Greenpeace sono resi pubblici per la prima volta in questo rapporto: sino a oggi il Ministero non li ha resi disponibili sui suoi organi di comunicazione ufficiali.
I monitoraggi sono realizzati da ISPRA (l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, un istituto di ricerca pubblico sottoposto alla vigilanza dl Ministero dell’Ambiente) con la committenza di ENI(sulla base di una apposita convenzione ENI-ISPRA).
I monitoraggi prevedono analisi chimico-fisiche su campioni di acqua, sedimenti marini e mitili (Mytilus galloproncialis, le comuni cozze)che crescono nei pressi delle piattaforme.
Dal lavoro di sintesi e analisi di questi dati svolto da Greenpeace emerge un quadro perlomeno preoccupante. I sedimenti nei pressi delle piattaforme sono spesso molto contaminati.
A seconda degli anni considerati, il 76% (2012), il 73,5% (2013)e il 79% (2014) delle piattaforme presenta sedimenti con contaminazione oltre i limiti fissati dalle norme comunitarie per almeno una sostanza pericolosa. Questi parametri sono oltre i limiti per almeno due sostanze nel 67% degli impianti nei campioni analizzati nel 2012, nel 71% nel 2013 e nel 67% nel 2014. Non sempre le piattaforme che presentano dati oltre le soglie confermano i livelli di contaminazione negli anni successivi,ma la percentuale di piattaforme con problemi di contaminazione ambientale è sempre costantemente elevata. 1
http://unmig.mise.gov.it/unmig/strutturemarine/piattaforme.pdf
Tra i composti che superano con maggiore frequenza i valori definiti dagli Standard di Qualità Ambientale (o SQA, definiti nel DM 56/2009e 260/2010)fanno parte alcuni metalli pesanti, principalmente cromo, nichel, piombo (e talvolta anche mercurio, cadmio e arsenico), e alcuni idrocarburi come fluorantene, benzo[b]fluorantene, benzo[k]fluorantene,benzo[a]pirenee la somma degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Alcune tra queste sostanze sono cancerogene e in grado di risalire la catena alimentare raggiungendo così l’uomo e causando seri danni al nostro organismo.
La relazione tra l’impatto dell’attività delle piattaforme e la catena alimentare emerge più chiaramente dall’analisi dei tessuti dei mitili prelevati presso le piattaforme.
Gli inquinanti monitorati in riferimento agli SQA identificati per questi organismi(appartenenti alla specie Mytilus galloproncialis), sono tre: mercurio, esaclorobenzene ed esaclorobutadiene. Di queste tre sostanze solo il mercurio viene abitualmente misurato nei mitili nel corso dei monitoraggi ambientali
I risultati mostrano che circa l’86% del totale dei campioni analizzati nel corso del triennio 2012-2014 superava il limite di concentrazione di mercurio identificato dagli SQA.
Per quel che riguarda gli altri metalli misurati nei tessuti dei mitili non esistono limiti specifici di legge che consentano una valutazione immediata dei livelli di contaminazione. Per verificare il possibile impatto ambientale delle attività offshore sull’accumulo di questi inquinanti è stato perciò effettuato un confronto con dati presenti nella letteratura scientifica specializzata. In particolare, si sono confrontati i livelli di concentrazione di queste sostanze nei mitili impiegati per i monitoraggi delle piattaforme con i livelli di concentrazione rilevati in altre aree dell’Adriatico, estranee alle attività di estrazione di idrocarburi.
Per avere certezza di non sovrastimare i risultati di tale raffronto, sono stati utilizzati come termine di parago nei valori medi stagionali di concentrazione più alti riportati in questi studi.
I risultati mostrano che circa l’82% dei campioni di mitili raccolti nei pressi delle piattaforme presenta valori più alti di cadmio rispetto a quelli misurati nei campioni presenti in letteratura;altrettanto accade per il selenio (77% circa) e lo zinco (63% circa).
Per bario, cromo e arsenico la percentuale di campioni con valori più alti era inferiore (37%, 27% e 18% rispettivamente
Pubblicato in
Italia
APPELLO NAZIONALE CONTRO IL SISTEMA DEL MERCATO DEL LAVORO NEI CALL CENTER E DELLE SEDI OPERATIVE ITINERANTI
Ill.me Eccellenze:
Presidente del residente Consiglio dei Ministri
Presidente del Senato
Presidente della Camera
Ministri e Sottosegretari della
Repubblica
Parlamentari Italiani
c.a. Senatori eletti in Calabria:
AIELLO Piero, AP (NCD-UDC)
BILARDI Giovanni, AP (NCD-UDC)
CARIDI Antonio Stefano, GAL
D'ASCOLA Nico, AP (NCD-UDC)
GENTILE Antonio, AP (NCD-UDC)
LO MORO Doris, PD
MINNITI Marco, PD
MOLINARI Francesco, M5S
MORRA Nicola, M5S
SCILIPOTI ISGRO' Domenico (FI)
c.a. Deputati eletti in Calabria
-AIELLO Ferdinando PD
BARBANTI Sebastiano M5s
BATTAGLIA Demetrio PD
BIANCHI Dorina NCD –UDC
BINDI Rosy PD
BRUNO BOSSIO Vincenza PD
BRUNO Franco (CD)
CENSORE Bruno PD
D'ATTORRE Alfredo PD
DIENI Federica M5S
GALATI Giuseppe (FI)
MAGORNO Ernesto PD
NESCI Dalila M5S
OLIVERIO Nicodemo Nazzareno PD
PARENTELA Paolo M5S
OCCHIUTO Roberto (FI)
SANTELLI Jole (FI)
SCOPELLITI Rosanna NCD –UDC
STUMPO Nicola PD
Presidente Regione Calabria
Prefetto di Catanzaro
Segretari nazionali OOSS di settore
Confindustria
Spett.le WIND SPA
e p.c. Spett.le CONSOB
SEDI ISTITUZIONALI
Oggetto:
- richiesta riconoscimento garanzie costituzionali agli addetti delle ditte di call center appaltatrici dei grandi operatori; regolamentazione del settore;
richiesta riconoscimento clausola di salvaguardia e mantenimento delle sedi operative nei territori dove insistono attualmente.
- Vicenda “INFOCONTACT SRL” e sede operativa di Lamezia Terme;
commessa WIND spa; richiesta tutela concreta; PROPOSTE RISOLUTIVE.
L’associazione “Città delle Idee”, da Lamezia Terme, presenta il seguente appello propositivo, affinché venga rivista l’attuale disciplina normativa relativa al mercato del lavoro nei Call Center.
Ad oggi, grandi società operanti in Italia appaltano liberamente, a società di call center, servizi essenziali per la propria attività d’impresa, senza dover tenere conto dei diritti dei lavoratori assunti dalle società appaltatrici.
Allo scadere di una commessa, se lo stesso lavoro viene aggiudicato ad altri soggetti, questi non devono preoccuparsi dei lavoratori che vi lavorano fino al giorno prima.
In questo modo, è possibile che nuovi offerenti, avvalendosi delle diverse agevolazioni che consentono o hanno consentito detrazioni o benefici fiscali per l’assunzione di disoccupati o residenti in aree beneficiarie degli sgravi, possano presentare offerte economiche più basse di quello che sarebbe possibile senza le suddette agevolazioni.
Per i primi anni i vantaggi sono per tutti: grandi società appaltanti, che beneficiano di servizi a costi più bassi di quelli che dovrebbero essere; società appaltatrici, che ottengono commesse spesso milionarie; nuovi lavoratori, che riescono a inserirsi in un mercato del lavoro. E magari anche per alcuni “politici” ai quali, se hanno “un’ascendente” sulla società che deve assumere, il sistema del precariato diffuso va più che bene.
In questo sistema, però, anche i contratti di lavoro a tempo indeterminato, di fatto, sono radicalmente incerti e precari, vincolati a circostanze sulle quali i lavoratori non possono avere alcuna influenza.
PRINCIPI COSTITUZIONALI VIOLATI
Ricordiamo a tutti però l’art. 1 della Costituzione, ma ancor di più l’art. 4: “LA REPUBBLICA RICONOSCE A TUTTI I CITTADINI IL DIRITTO AL LAVORO E PROMUOVE LE CONDIZIONI CHE RENDANO EFFETTIVO QUESTO DIRITTO”.
Peraltro, l’unione Europea tutela i diritti acquisiti, come dovrebbero essere quelli maturati da chi è regolarmente inserito in un settore produttivo non soggetto a crisi o riduzione del volume d’affari, e lavora diligentemente e produttivamente.
Alla luce di quanto sopra evidenziato, l’ associazione politico/culturale CITTÀ DELLE IDEE (CDI), dopo approfondimenti in tavoli tecnici (che hanno visto la partecipazione di avvocati, dottori commercialisti e consulenti del lavoro), intende sottoporre all’attenzione dei soggetti in indirizzo (ognuno per quanto di propria competenza) il seguente
APPELLO:
- A TUTTE LE FORZE POLITICHE NAZIONALI:
si chiede l’adozione di una apposita normativa ad hoc, che renda effettive e concrete anche per i lavoratori in questione le garanzie costituzionali.
Città delle Idee, PROPONE di disciplinare:
1. l’obbligo di salvaguardia dei posti di lavoro degli operatori di call center, in modo che in caso di avvicendamento tra soggetti gestori del medesimo servizio, il nuovo debba dare attuazione all’art. 4 della Costituzione e assumere il personale già in forza al precedente gestore;
2. l’obbligo per il nuovo gestore di mantenere l’unità produttiva/operativa ad una ragionevole distanza da quella dove attualmente insistono i call center, in modo da salvaguardare i diritti dei lavoratori che hanno oramai stabilito la propria residenza nei diversi comprensori.
- ALLE FORZE SINDACALI NEGOZIATRICI A LIVELLO NAZIONALE DEI CONTRATTI COLLETTIVI DI CATEGORIA:
Città delle Idee PROPONE di prevedere, nei prossimi tavoli di rinnovo dei CCNL di categoria, la effettività della tutela, per mezzo della previsione di apposite clausole di salvaguardia occupazionale, conformemente a quanto avviene in tanti altri settori produttivi (tra i vari, ricordiamo l’art. 6 del CCNL Igiene Ambientale, l’art. 4 del CCNL Multiservizi); con la conseguenza di esporre eventuali soggetti inadempienti alle azioni legali finalizzate alla tutela reale dei lavoratori.
URGENTE VICENDA INFOCONTACT SRL E #1800SENZAFUTURO
Nel vuoto normativo lamentato, esemplificativa nella drammaticità è la situazione della società di call center Infocontact Srl di Roma, operante in Calabria, finita da diversi mesi in amministrazione straordinaria.
Negli ultimi anni, grazie alle agevolazioni sulle stabilizzazioni di disoccupati residenti in aree svantaggiate, l'Infocontact ha assunto lavoratori in Calabria, prestando servizi in favore di numerose e grandi società, a vantaggio delle quali ha praticato prezzi molto convenienti (tra le varie società, WIND, ENEL, ENI, TELECOM, VODAFONE, POSTE MOBILI, INFOSTRADA, 1244, DIRECT
ASSISTANCE, POSTECOM, CON TE ASSICURAZIONI, TELETU).
Oramai, però gli sgravi e i prezzi bassi sono finiti, la società è in amministrazione straordinaria e non viene invitata a nuove gare, e nessuno si preoccupa della fine dei 1800 lavoratori.
I lavoratori stessi, temendo a ragion veduta il peggio, hanno avviato la protesta #1800senzafuturo, che merita la massima attenzione ed intervento nazionale.
Perché, come visto, il problema è del sistema italiano del mercato del lavoro nei call center.
COMMESSA WIND SPA IN SCADENZA
La WIND spa, che da tempo si avvale dei lavoratori Infocontact srl della sede di Lamezia Terme, ha il contratto in scadenza.
Ha pubblicato un nuovo bando per cercare il nuovo appaltatore con il prezzo più basso, non ha invitato la infocontact (in quanto in amministrazione straordinaria), e non ha previsto alcunché per le centinaia di lavoratori che ad oggi ancora stanno lavorando per la stessa Wind.
In altre parole, a breve i lavoratori potrebbero ricevere una lettera di licenziamento, ed il loro lavoro essere affidato a chissà chi e dove.
Magari addirittura, come capita con sempre più commesse, in paesi stranieri come l’Albania o la Romania.
Non essendo accettabile un epilogo del genere, CITTÀ DELLE IDEE, nell’immediato, PROPONE alla WIND SPA di integrare il bando pubblicato prevedendo:
1. l’obbligo per il soggetto aggiudicatario di assumere direttamente il personale attualmente impegnato sulla commessa;
2. l’obbligo contestuale, per il soggetto aggiudicatario, di mantenere la sede operativa nel territorio comunale di Lamezia Terme (dove gli immobili idonei non mancano e da dove attualmente viene gestita la commessa).
Ancor più, in considerazione della situazione di fatto e degli interessi in campo (quello di WIND di avere un buon servizio al minor costo possibile, e mantenere agli occhi dei propri investitori di borsa l’immagine di società seria; i LAVORATORI a mantenere la propria fonte di reddito e continuare a lavorare diligentemente), si
PROPONE A WIND SPA
3. di prorogare il termine di scadenza dell'appalto, essendo nelle sue facoltà;
4. di consentire ai lavoratori che attualmente operano sulla commessa di organizzarsi in forma di società cooperativa di lavoratori, ricevendo poi direttamente l'affidamento della gestione del servizio.
5. In alternativa, di farsi carico di tutto il personale impiegato ed assumerlo direttamente, adibendolo a quei numerosi servizi di call center di cui la stessa Wind necessita costantemente.
Si evidenzia, per altro, che la forma giuridica di società cooperativa, non avendo finalità di lucro bensì esclusivamente finalità di tipo mutualistico, rappresenta lo strumento che rende possibile la prestazione del sevizio con standard qualitativi elevati al costo più basso possibile.
In ordine poi alla qualità e professionalità dei lavoratori sulla commessa specifica, ricordiamo che i lavoratori in questione sono stati formati ed istruiti direttamente da Wind, seppure nei locali della Infocontact srl. Sono perfettamente idonei a erogare i servizi attuali, ovvero essere formati per erogarne ulteriori.
In mancanza di atti e riscontri urgenti e concreti, sarà necessario attivare le forme più coerenti per raggiungere l’obiettivo di tutela reale dei lavoratori.
Con osservanza. Lamezia Terme, lì 15.01.2015 CITTÀ DELLE IDEE Il Presidente Andrea Falvo
Ed arriva da pochi minuti la notizia che “il MISE convocherà le organizzazioni sindacali a Roma per discutere il 22 gennaio della Vertenza Infocontact. In attesa della convocazione formale che giungerà alle segreterie nazionali e regionali di categoria, i lavoratori potranno godersi questa prima conquista, che comunque non è che il primo passo verso una risoluzione positiva di una vertenza che impatta 1800 famiglie calabresi".
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Calabria