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La Consulta ha giudicato inammissibile il ricorso presentato dal Pd sulle procedure di approvazione della manovra.

Dopo avere cantato “Balla ciao” fuori dal Parlamento, i democratici hanno presentato ricorso alla Consulta

 

per la violazione dell’articolo 72 della Costituzione , il quale prevede “l’esame di una Commissione e poi della Camera stessa, e l’approvazione articolo per articolo per ogni disegno di legge”.

Articolo che non sarebbe stato rispetto al Senato secondo gli esponenti del Pd.

Di qui la decisione di procedere al ricorso, una mossa sbagliata in partenza perché il Pd, non essendo un organo dello Stato ma un partito politico, non è soggetto idoneo a rivolgersi alla Corte costituzionale.

Cosa ha detto la Consulta

“La contrazione dei lavori per l’approvazione del bilancio 2019 – osserva la Corte Costituzionale – è stata determinata da un insieme di fattori derivanti sia da specifiche esigenze di contesto sia da consolidate prassi parlamentari ultradecennali sia da nuove regole procedimentali”.

Tutti questi fattori “hanno concorso a un’anomala accelerazione dei lavori del Senato, anche per rispettare le scadenze di fine anno imposte dalla Costituzione e dalle relative norme di attuazione, oltre che dai vincoli europei”.

In queste circostanze, la Consulta “non riscontra nelle violazioni denunciate quel livello di manifesta gravità che, solo, potrebbe giustificare il suo intervento”.

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Diciamolo con chiarezza: la valanga di No è stata un voto per difendere la Costituzione unitamente a una critica esplicita alle politiche sociali messe in atto dal governo in questi anni”.

 

Questo è quanto dice Maurizio Landini il popolare segretario generale della Fiom, i metalmeccanici della Cgil, uomo di punta del sindacato nelle battaglie sociali e di questa, ultima, referendaria. Ora gira le fabbriche spiegando ai lavoratori il nuovo contratto delle tute blu, il primo unitario dopo anni.

 

Poi continua “ La vittoria referendaria dimostra che per i cittadini italiani la Costituzione è una questione molto importante. In dieci anni l’hanno difesa in ben due referendum con governi di diverso segno. Ma non solo conta il risultato, eccezionale, ma anche il fatto che sia andata a votare una quantità impressionante di persone”.

E fra poco, dopo il parere della Consulta che giorno 11 febbraio 2017 deciderà sull'ammissibilità delle richieste relative ai tre referendum popolari abrogativi in materia di lavoro e jobs act promossi dalla Cgil raccogliendo oltre 3 milioni di firme, tre nuovi referendum.

 

In caso di risposta positiva della Consulta, il governo dovrà fissare una data per il voto, tra il 15 aprile e il 15 giugno. A meno che in quel lasso di tempo non venissero indette le elezioni: in qual caso slitterebbe tutto di un anno.

I tre quesiti mirano sostanzialmente al ripristino dell'articolo 18, alla cancellazione dei voucher e al ritorno della responsabilità in solido di appaltatore e appaltante in caso di violazioni nei confronti del lavoratore.

Il primo quesito riguarda la materia degli appalti, e prevede che in caso di violazioni nei confronti del lavoratore rispondano sia la stazione appaltante che l'impresa appaltatrice.

Si tratta, sostanzialmente, di intervenire sulla legge Biagi, così come modificata dalla legge Fornero e ripristinare le garanzie per i contributi dei lavoratori delle aziende che subappaltano lavori.

Il secondo quesito, "Abrogazione delle norme che limitano le sanzioni e il reintegro in caso di licenziamenti illegittimi", chiede un ripristino dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori abrogando la norma del Jobs Act che ha liberalizzato i licenziamenti economici.

Il terzo e ultimo quesito, infine, riguarda la questione "voucher", ossia il lavoro accessorio, definito dalla Cgil la "nuova frontiera del precariato".

Volete voi l'abrogazione degli articoli 48, 49 e 50 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, recante "Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183"?

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