Le leggende non muoiono mai.
Al più, nel tempo, cambiano, si modificano, si trasformano, si edulcorano, man mano che si tramandano di generazione in generazione.
Quella che vi raccontiamo stasera è la leggenda del fantasma di Catocastro.
Era una leggenda che si raccontava ancora metà degli anni cinquanta, quando il quartiere era abbastanza popolato, ed i vicoletti scarsamente illuminati presentavano, alternate,più illuminate e zona d’ombra capaci, queste, di suggestionare, se volete, chi li percorreva ,ma che offriva al fantasma la solita opportunità di mostrarsi senza farsi tanto vedere
I catocastresi avevano nei confronti del fantasma una doppia posizione.
C’era chi lo temeva e ne aveva paura
E c’era chi ne era affascinato e non aspettava altro che di incontrarlo
I più anziani sostenevano che si trattasse del fantasma di Vittoria Gracchi
Una donna bellissima e di cui si raccontava che sia stata la donna più bella che mai abbia abitato il vecchio quartiere.
I Gracchi giunsero ad Amantea a metà circa del quindicesimo secolo praticamente dopo che il Re Alfonso d’Aragona concesse ai fratelli Antonio e Giacomo l’autorizzazione ad esercitare la pesca del tonno e ad impiantare uno stabilimento per la sua conservazione.
Come scrive Enzo Fera è da ritenere che la antica tonnara si debba allocare nel tratto di mare che va dalla foce del torrente Catocastro, al tempo invasa dalle acque marine, agli scogli di Isca.
I Gracchi si insediarono, quindi, ad Amantea e vi costruirono la propria abitazione nei pressi del ponte levatoio di ingresso nella zona di Catocastro, nel centro storico.
La casa era di fronte alla antica chiesa di San Nicola dell’Eremo, ancora esistente, sottostante l’attuale collegio dei Gesuiti
Di questa casa esiste soltanto una stanza segreta sottostante il cortile antistante la chiesa di San Nicola.
Il resto del fabbricato crollò per incuria ed abbandono anche se si rileva la sua esistenza sino agli anni cinquanta.
Di questa stanza si raccontava che fosse da quel tempo l’abitazione del fantasma
E la prova, ancora oggi, sarebbe nel fatto che mai alcuno ha avuto l coraggio di entrarvi.
Nemmeno gli archeologi che pur in massa sono stati presenti nella nostra cittadina.
Dei Gracchi allora è rimasto qualche accenno nella storia locale ed una leggenda
La leggenda del fantasma di casa Gracchi risale alla seconda metà del quindicesimo secolo.
Un cinquantennio iniziato con la stampa della Bibbia da parte di Johannes Gutemberg su fogli di canapa prodotti in Italia e conla caduta dell'Impero Romano d'Oriente.
Si racconta che agli inizi della seconda metà del secolo, Vittoria Gracchi, la bellissima figlia di Antonio, partì da Napoli alla volta di Amantea.
Prima ancora di giungere nella sua nuova patria la nave che la trasportava venne investita da una violenta tempesta e sbattuta contro lo scoglio piccolo di Isca, quasi di fronte al vecchio porto.
Vittoria si aggrappò ad una fiancata della nave e riuscì a giungere a terra nei pressi della grotta del parco omonimo dove venne soccorsa e portata nella sua casa.
Restò in coma per diversi giorni, poi ,miracolosamente, uscì dal profondo torpore nel quale era caduta, aprì gli occhi, e balbettò alcune parole sconnesse ed incomprensibili.
Ma le sue parole rimasero sempre incomprensibili, così come il suo comportamento.
La si poteva trovare per gran parte del giorno sul piccolo terrazzo di casa sua a guardare il mare dove i pescatori di casa Gracchi pescavano i tonni con la antica tecnica delle grandi reti legate tra gli scogli antistanti Amantea , secondo la tecnica già descritta da Al Idrisi nel dodicesimo secolo e riportata anche Michele Amari,nella sua Storia dei Musulmani.
Ogni tanto durante le giornate più belle Vittoria veniva presa per mano e portata sulla fronteggiante collina di Camoli da dove si poteva vedere gran parte della costa tirrenica e le stesse isole Eolie.
Vittoria sembrava apprezzare la cosa e tornava a casa più serena.
Erano, quelli, i momenti più felici per la intera famiglia.
Ma Antonio e Giacomo cercarono di guarirla in ogni modo.
Non mancando loro certo i soldi fecero venire ad Amantea i migliori medici di Napoli, ma senza alcun risultato.
Poi si sparse la voce delle particolari virtù magiche e misteriose, dipendenti dal tipo di materia utilizzata e dal soggetto della raffigurazione, dei cammei ed intagli, quelli che furono ricercati, con fervore, da pontefici, principi e cardinali, scatenando in alcuni casi aspri conflitti tra estimatori, pronti a spendere cifre molto elevate pur di aggiudicarsi il pezzo desiderato.
Fu così che Antonio fece venire ad Amantea un bravissimo e famoso intagliatore.
Con l’ arrivo ad Amantea del giovane Filippo, si racconta, che Vittoria sembrò prendere vitalità, usci dalla sua profonda tristezza e cominciò a sorridere, per quanto ancora pronunciasse parole sconnesse , ma alternate a piccole frasi che lasciavano presagire la possibilità di un recupero totale della giovinetta.
Il cammeo la raffigurava.
Filippo era affascinato dalla bellezza di Vittoria anche se turbato dalle sue condizioni psichiche .
Filippo cominciò a sorridere a Vittoria dopo aver visto che lei istintivamente , e secondo i congiunti per la prima volta dal naufragio, gli rispondeva con il suo bellissimo e misterioso sorriso di cui lui aveva bisogno per imprigionarlo nel cammeo.
Ma nessuno si accorse che la giovane si era follemente innamorata del bellissimo giovane. Nemmeno lo stesso Filippo.
Ma stando a quale che si dice non soltanto lei amava il giovane napoletano.
Casa Gracchi in quel periodo, infatti, venne frequentata dalle più belle giovani amanteane, alcune anche sposate.
Poi quando il cammeo fu ultimato Filippo riprese la nave per ritornare a Napoli dove era richiesto il suo lavoro.
Vittoria ridivenne, se possibile, ancora più triste ed ancora più scontrosa
La sua dama non poteva lasciarla sola un attimo per paura che Vittoria facesse qualche fesseria.
Non se lo dicevano ma ormai erano tutti convinti che avrebbe tentato il suicidio.
E così fu.
Avvenne il giorno in cui stava per arrivare di nuovo Filippo richiamato proprio per aiutare, se e come possibile, Vittoria, che era ignara del suo arrivo ed alla quale il padre Antonio voleva fare una bella sorpresa.
La nave stava per entrare nel porto della città ed il giovane Filippo sulla prua salutava in direzione di casa Gracchi.
Tutti da terra rispondevano al saluto.
Tutti meno Vittoria che, chiusa nel suo mondo di fantasmi, approfittò di questo momento di distrazione collettiva e si buttò nel sottostante fiume dove la barca con a bordo Filippo nave stava per attraccare.
Il grido lanciato da Vittoria fu talmente disperato che Filippo e si mise a piangere sospettando la tragedia.
Si spense così questa giovane vita, proprio nel momento in cui, forse, avrebbe potuto avere quell’amore disperatamente cercato.
Nacque così la leggenda di una giovane che era stata incapace di attendere il suo amato e che si era buttata per raggiungerlo prima.
Filippo la raggiunse , la prese tra le braccia e la cullò dolcemente per due giorni interi cantandole le canzoni più belle che conosceva e parlandole del suo amore mai dichiarato.
Si racconta che il fantasma di Vittoria da quel tempo esca dalla stanza misteriosa e si aggiri, silenziosamente, tra i vicoli di Catocastro, a volte insieme con Filippo che le tiene la mano.
E si racconta che molti anni i ragazzi e le ragazze del quartiere,che avevano momenti di crisi d’Amore, la abbiano utilmente invocata.
Di Vittoria non è rimasto niente, nemmeno il bellissimo cammeo.
Solo il fantasma e la leggenda.
Una leggenda che non morirà mai.
Sta morendo invece il quartiere che ne ha visto la sua meravigliosa storia d’amore e la sua drammatica fine.
Eppure questo meraviglioso ed antico quartiere amanteano, tutto ancora da scoprire, è ricco di storie e di leggende.
Questa è una, forse la più bella.
Scrive Ugo Dattis cittadino onorario di Amantea, sposato con una amanteana, che ancora passa l’estate ad Amantea dove ha comprato casa ha voluto descrivere la Amantea degli anni sessanta.
Ecco il testo :
NEPETIA MON AMOUR
Il pino di Posillipo affacciato sulla baia di Napoli è stato, per centoventinove anni, l’albero più famoso d’Italia, immortalato in decine di film e in migliaia di cartoline spedite dai turisti in tutte le parti del mondo.
Meno famoso, ma non meno immortalato, quello posto ai margini della strada statale all’ingresso di Amantea che sembrava darti il benvenuto nella cittadina che, da sempre, rivaleggiava con Paola per fregiarsi dell’appellativo, certamente esagerato, di “perla del Tirreno”.
Entrambi non ci sono più, abbattuti per una di quelle malattie che aggrediscono gli alberi e che spesso sono incurabili esattamente come accade per gli esseri umani.
Forse è stata una fortuna che se ne siano andati così e non distrutti in uno dei tanti incendi che stanno devastando, in questa terribile estate, il patrimonio boschivo calabrese.
Sarà per questo che l’estate del 2017 mi sembra meno estate di quelle che l’hanno preceduta o forse sarà l’età avanzata che mi spinge verso stati d’animo melanconici e a lodare il passato, per dirla alla Baldasarre Castiglione, tempo in cui in cui l’incendio di una collina o di un bosco era evento raro e per lo più dovuto al lancio di un mozzicone di sigaretta da parte di qualche automobilista incazzato per essere stato sorpassato da un auto di cilindrata inferiore alla sua.
Dal 1968 Amantea è stata la mia meta vacanziera preferita, nonostante avessi casa a Torremezzo, minuscola frazione del comune di Falconara, che aveva guadagnato fama internazionale a causa della volubilità che caratterizzava i suoi abitanti.
Questa non invidiabile nomea divenne tanto proverbiale che era in uso definire “amici da Farconara” le persone incostanti e mutevoli e che non davano alcun affidamento e “compagni da Farconara” quelle che cambiavano, in maniera disinvolta, schieramento politico da sinistra a destra secondo la loro convenienza.
Probabilmente non era vero niente perché la cattiva fama di Falconara non si basava su alcun elemento accertato scientificamente e certo era solo un modo di dire.
Identico a quello che ha marchiato in maniera indelebile un piccolo paese dell’entroterra cosentino i cui abitanti, secondo la leggenda, non spiccavano per intelligenza e sagacia, tanto è che nel capoluogo se volevi dare del fesso a qualcuno in maniera elegante lo apostrofavi come “spiartu i Mangone”.
Esattamente come, ancora oggi, accade in Olanda per i cittadini di Marken, villaggio di meno di duemila anime, che rimase isolato per decenni dal resto del Paese per il cedimento di una diga, costringendo gli abitanti a contrarre matrimonio con i loro consanguinei con tutte le conseguenze che si possono facilmente immaginare.
A differenza di Mangone e Marken, i nativi di Amantea avevano, al contrario, fama del tutto diversa e, come gli ateniesi, godevano, certamente, del favore della dea Minerva che, come è noto, nell’entroterra cosentino e in quella parte dell’Olanda dove crollavano le dighe non aveva mai voluto mettere piede.
Come tutti i paesini calabresi, anche Amantea aveva assistito al terribile fenomeno della emigrazione e molti suoi figli, come ricordavano commossi gli esponenti politici nei comizi elettorali che si tenevano in piazza Commercio, erano partiti per il Venezuela, il Brasile o gli Stati Uniti, dove avevano fatto “fortuna”, grazie alla loro indiscussa capacità imprenditoriale.
Quelli che erano rimasti in Patria nella amatissima Nepetia, così veniva chiamata Amantea dagli esponenti politici sempre più commossi nei comizi elettorali che si tenevano in Piazza Cappuccini, non volendo essere da meno dei loro concittadini emigrati, grazie ad una innata vocazione per il commercio e per il turismo, erano stati tanto bravi da trasformare un piccolo centro di pescatori in una città così ricca di negozi e alberghi da richiamare migliaia di persone alla ricerca di prodotti e servizi di qualità a prezzi competitivi.
Quello che sembrava un cammino inarrestabile verso traguardi sempre più ambiziosi, poi, si è interrotto bruscamente a causa di un fenomeno presente da sempre in tutte le realtà meridionali: la insipienza e la arroganza della classe politica che non ha saputo o voluto amministrare il bene collettivo e l’interesse pubblico che doveva convivere con l’interesse privato senza mai, però, esserne succube. Proprio a causa di questa calamità, Amantea, che poteva essere come Rimini, oggi è una città come tante altre, soffocata dal traffico, massacrata da una politica urbanistica senza senso, ripiegata su se stessa per l’immenso debito pubblico accumulato negli anni.
Una città che con il trascorrere del tempo, ha assistito, impassibile se non rassegnata alla perdita della sua identità culturale, alla morte di alberi simboli di appartenenza tribale, alla scomparsa di attività che erano quasi “un marchio di fabbrica” come la Fiat a Torino“.
Non c’è stata estate, negli ultimi cinquanta anni, trascorsa senza ritornare almeno una volta. Non c’è stato giorno in quei brevi periodi in cui la mente non tornasse al passato per chiederti come sia stato possibile un cambiamento in peggio così radicale.
L’Amantea famosa per i suoi ristoranti “Cavalla” o “Dal Catanese” più simili a taverne medioevali o stazioni di posta che accoglievano, per lo più, gente di passaggio, perché era ancora da venire il tempo in cui, come avviene oggi, si va a “mangiare fuori” per puro diletto o per trascorrere una serata, non esiste più.
Non esiste più l’Amantea orgogliosa della sua Arena Perna, stupenda costruzione in legno di forma circolare dove negli anni sessanta si esibivano cantanti di fama internazionale, meta di viveur nostrani e improvvisati play boy con i pantaloni bicolore a zampa di elefante. Si andava non solo per ascoltare musica ma, anche come in tutte “le rotonde sul mare” degni di rispetto, a ballare.
Da giovani squattrinati come eravamo allora non potevamo certo permetterci il costo del biglietto di ingresso e quindi ascoltavamo la musica dalla spiaggia vicino al campo sportivo, nella cui infermeria, dotata di un piccolo letto ad una piazza, avevamo una volta dormito in due, perché non possedevamo nemmeno le trecento lire per pagare l’ospitalità in una piccola pensione.
Confesso che non passo più da tempo da via degli Orti, la strada che conduce al cinema all’aperto Sicoli, dove seduti su terribili sedie in ferro assistevamo alla proiezione dei film che non avevamo potuto vedere durante l’inverno. Il cinema è chiuso da tempo e la recinzione in mattoni rappresenta per me un vero e proprio “muro del pianto” tanti sono i ricordi indelebili che mi legano a quel luogo.
Ora passo le mie giornate estive passeggiando in centro dove, diligentemente, svolgo i miei riti quotidiani.
Un deferente inchino alla sede della Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania, uno sguardo alla vicina profumeria di Renato e al negozio di scarpe di Bruno, un caffè al bar Caruso.
L’ultima tappa, quella più importante, per salutare Rocco e Carlito Capanna e per comprare i giornali dall’amico di sempre Claruzzo.
Sorridendo gli chiedo “L’Unità” anche se da tempo non è più in vendita. E’ un gioco infantile perchè anche prima era impossibile comprare il giornale nel suo locale.
L’Unità, Claruzzo, la vendeva per strada per conto del partito e ne ha venduto tante, come orgogliosamente mi ricorda ogni anno, da meritare un viaggio premio in Unione Sovietica e un calcio nel sedere dall’illustre genitore incarognito per la testardaggine del figlio che, unico caso al mondo, si faceva concorrenza da solo.
Bei tempi!
Troverete il termine Nepetus coatto e quello di Nepetus Sapiens.
Sottendono, se abbiamo ben capito, i due tipi di Amanteani.
L’uomo sapiens è quello libero, magari anche pieno di dubbi, che si interroga, che cerca la soluzione a problemi che forse solo lui riesce ad intravvedere come tali, l’uomo che non attende che altri parlino per lui e che gli dicano che cosa è giusto e non lo è, che cosa deve pensare, che cosa deve dire.
L’uomo coatto è esattamente il contrario. E’ quello che accetta quello che gli viene imposto con la forza, dall’alto di una assunta ma inesistente autorità, etica, morale, culturale. Un uomo che accetta passivamente e senza riflessioni e critiche quello che dicono altri che si pongono come tribunali della società
In siffatte condizioni si forma l’uomo coatto, cioè anche quello che vive dentro le idee coatte, cioè quei fenomeni “di ideazione anormale che il soggetto riconosce come tale ma da cui non sa liberarsi”.
Ma ecco il testo provocatorio che contiene anche l’annuncio di una verità che altri sanno ma che pochi vogliono che si conosca!
“Nepetus Coatto Vs Nepetus Sapiens = 13000-26
Perdiamo esattamente per 12974 punti.
Sconfitta schiacciante.
La sconfitta della sensatezza.
Un amico mi dice che i miei articoli sono lunghi. Sbagliato. Lunghi sono gli scritti noiosi. Invito tutti a leggere un libro di Gabriel Garcia Marques che si chiama: Cuentos Peregrinos. Opera minore che dimostra quanto straordinario sia arrivare al cuore della gente con parole semplici. Questo si può fare solo quando si hanno le idee chiare. Io naturalmente mi rivolgo al Nepetus Sapiens. Sulla scuola media dove genitori urlatori accusano senza voler capire, Partiti politici insinuano ,mediano ed evitano di parlare di errori grossolani commessi, non farsi nemici perché non funzionale ad un eventuale presa del potere , soprattutto nessuno legge.
Il fatto è che siamo un piccolo popolo terzomondista come i nostri politici.
Frutto dell’omertà anche da parte degli emergenti che pensano ad eventuali poltrone.
Ma perché questo paese non ha un po' di coraggio?
Nei prossimi giorni farò il mio ultimo articolo sulla scuola media.
Dopo a meno che non decida di spiegarlo a fumetti come era necessario con Calderoli, lascerò perdere.
Perché è ciò che merita la comunità Nepetina.
Nessuno finora ha contestato pubblicamente ciò che ho scritto in merito alla scuola media.
Cioè che è facilmente adeguabile.
A nessuno è venuto in mente di approfondire.
Ho cercato di dialogare con più soggetti per sensibilizzarli. Lasciamo perdere. Unica nota positiva. Ieri sera dopo cena al centro ho avuto il piacere di conoscere una persona, una signora che ha dentro passione coraggio ed intelligenza.
Una persona che si fa domande.
Per una questione di privacy non dirò il suo nome ma mi ha insegnato alcune cose su come vengono gestiti i lavori pubblici.
Grazie
Devo ringraziare pubblicamente il creatore del “ nepetus coatto”