
Redazione TirrenoNews
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Roma. Congolese la palpeggia e lei lo arresta per violenza sessuale.
Sabato, 10 Marzo 2018 19:48 Pubblicato in ItaliaBellissimo. Arresto per violenza sessuale sul bus della linea 64. M.F.J, un 39enne di origine congolese, si è avvicinato ad una donna ed ha iniziato a palpeggiarla nelle parti intime con morbosa insistenza, appoggiandosi a lei.
L’uomo in questione di certo non immaginava di aver scelto come vittima un’assistente capo della Polizia di Stato in servizio alla squadra mobile, proprio nella sezione reati contro le violenze sessuali.
La poliziotta, che stava rincasando al termine del turno di lavoro, con decisione si è prima qualificata e poi ha intimato più volte all’uomo di fermarsi.
Nonostante ciò questo ha continuato a toccarla tentando anche di baciarla.
A quel punto la donna ha reagito e, dopo averlo immobilizzato con fermezza, lo ha arrestato ed è scesa con lui alla fermata della stazione Termini.
Nonostante l’uomo cercasse di divincolarsi, l’agente ha chiamato il NUE 112 per avere l’ausilio di una pattuglia delle volanti che è subito intervenuta sul posto.
Nello stesso momento una cittadina polacca si è avvicinata timidamente alla poliziotta e, probabilmente incoraggiata dalla scena a cui aveva appena assistito sul 64, ha trovato il coraggio di denunciare di aver subito, qualche minuto prima, gli stessi terribili abusi da parte dell’uomo.
Al termine degli accertamenti, M.F.J è stato arrestato per violenza sessuale.
Dimostrazioni di coraggio sempre più frequenti, nell'agire e soprattutto nel denunciare, anche grazie anche al progetto della Polizia di Stato “….Questo non è amore” e la presenza del “Camper Rosa” in varie province d’Italia dove, sempre più donne denunciano episodi di violenza sia fisica che psicologica.
Efficaci i momenti d’ incontro per rompere l’isolamento e il dolore delle vittime di violenza di genere e per offrire il supporto di un’equipe di operatori specializzati: oltre a personale di Polizia anche.
Ndr Se prima li arrestate è meglio e risparmiate i costi del personale . Meglio poliziotti che medici, psicologi e rappresentanti dei centri antiviolenza.
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L'Unione applica una tariffa media sulle importazioni del 5,3%. Gli Usa si fermano al 3,5%. Ma lo scontro rischia di essere un boomerang per gli stessi Stati Uniti: i precedenti del 1930 e del 2002.
Donald Trump protezionista? Si', ma non è il solo. Anzi, se si guarda ai dati dell'Omc, l'organizzazione internazionale del commercio, è l'Unione europea quella che, nell'Occidente sviluppato, applica i dazi più elevati.
Secondo l'Omc, infatti, il dazio medio applicato dai paesi dell’Unione era del 5,3% nel 2016, superiore nettamente al 3,5% degli Stati Uniti, al 4,2% del Giappone, al 4,1% del Canada e al 2,7% dell’Australia. Per trovare medie più alte di quella europea bisogna guardare alle tariffe dei paesi emergenti.
I dazi di Trump
Dati che danno a Trump un motivo in più per imporre la sua linea dura su acciaio e alluminio. Il capo della Casa Bianca ha annunciato dazi del 25% sull'acciaio e del 10% sull'alluminio. Per ora, sono esentati dalle tariffe solo Messico e Canada, mentre il paese più colpito sarebbe la Cina. L'Ue spera di essere esentata, anche perché, stando a uno studio del Parlamento europeo, il rischio per la nostra economia è una perdita di 5,8 miliardi e di migliaia di posti di lavoro in tutto il Continente.
Per il momento, Bruxelles non ha ancora varato contromisure, sperando in una mediazione last minute. La via del ricorso all'Omc sembra in salita, perché il suo tribunale, che si dovrebbe occupare di dirimere la controversia, rischia di restare senza giudici nei prossimi mesi proprio per l'opposizione degli Stati Uniti a nominare nuovi componenti. L'Ue ha redatto una lista di possibili contro-dazi su beni importati dagli Usa come il bourbon, il succo d'arancia e le arachidi, ma la speranza è di evitare una guerra commerciale. Che, stando agli analisti e alla storia, non converrebbe a nessuno.
A chi conviene la guerra commerciale?
Una guerra commerciale, stando alle dichiarazioni degli analisti, non converrebbe a nessuno. Ogni paese sviluppato, infatti, rischia di subire contraccolpi. Tanto più chi, come l'Italia, esporta più di quanto importa, con un surplus nella bilancia commerciale di circa 50 miliardi. Diverso il discorso per gli Stati Uniti, che invece ha un deficit: importa più di quanto esporta, circa 640 miliardi di euro nel 2017.
Eppure, la storia insegna che il protezionismo è rischioso anche quando la bilancia commerciale è in negativo. L'esempio arriva proprio dagli Usa, che nel 1930 scatenarono una guerra commerciale internazionale. Come racconta l'Agi, il “Trump” di allora fu il repubblicano Reed Smoot, presidente della commissione Finanze del Senato. “Fin dal 1929 – scrive l'Agi - l'America si trova nell'occhio del ciclone, dopo il crack di Wall Street del 1929 e la successiva grande recessione. Smoot è convinto che bisogna salvare i posti di lavoro americani, in pericolo perché troppi paesi stranieri vendono i loro prodotti negli Stati Uniti, minando il benessere dei lavoratori americani”. Allora come oggi, gli Usa avevano un corposo surplus commerciale, poiché la crescita dell'export manifatturiero era più veloce di quella dell'import.
La "tragedia" del 1930
La ricetta di Smoot per restituire all'America i suoi posti di lavoro e il suo benessere è semplice: dazi stellari e protezionismo. Smoot convince il Congresso e una nazione prostrata dalla crisi che, con una stretta sui dazi, tutto tornerà a posto e cosi' riesce a varare nel giugno 1930 il famoso “Smoot-Hawley Tariff Act”, ratificato dal presidente Herbert Hoover, nonostante l'appello di oltre mille economisti a non firmarlo. Nel giro di una notte il provvedimento fa balzare al 60% i dazi su oltre 20 mila prodotti stranieri, in alcuni casi quadruplicandoli. Il risultato? Un'impennata del nazionalismo in tutto il mondo e una guerra commerciale di Washington con Canada, Francia, Impero britannico, Italia e Germania, che rispondono con misure di ritorsione all'impennata dei dazi Usa.
Le conseguenze economiche di questa guerra sono, a dir poco, disastrose. Nel giro di tre anni le importazioni degli Stati Uniti crollano del 66%, mentre le esportazioni si inabissano del 61%, insieme al commercio mondiale. Il tasso di disoccupazione triplica dall'8% al 25%. In barba alla "nuova era di prosperità" sbandierata da Smoot, la ricchezza degli Stati Uniti si dimezza.
La guerra commerciale non danneggia solo l'economia Usa ma è anche un boomerang politico per Washington. La legge ultraprotezionista viene smontata nel 1934, non appena Franklin Delano Roosvelt diventa presidente e sostituita con riduzioni delle tariffe legate ad accordi bilaterali.
Il precedente di Bush
Il caso dello “Smoot-Hawley Tariff Act” ha insegnato che le guerre commerciali sono più che rischiose (e controproducenti per chi le dichiara). Ma la lezione sembrava essere stata dimenticata da George W. Bush, che nel marzo del 2002 avviò una guerra dei dazi sempre per difendere l'acciaio americano. In realtà, ricorda sempre l'Agi, “si trattò più che altro di una guerra annunciata, visto che il presidente dovette presto fare marcia indietro, dopo la messa a punto da parte dell'Ue di contromisure volte a colpire i prodotti Usa, che andavano fino al 100% nel caso di succhi di frutta, T-shirt e slip”. Anche le altre potenze siderurgiche globali, all'epoca, risposero con contromisure per oltre 2 miliardi di dollari in grado di colpire frutta, legumi, tessili, scarpe, moto. Risultato: nel dicembre del 2003 Bush ritirò i dazi sull'acciaio.
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Trombati dal voto e ripescati col proporzionale: dalla Boldrini, a Sgarbi e Bersani
Sabato, 10 Marzo 2018 18:46 Pubblicato in ItaliaTrombati con l’uninominale, “ripescati” col proporzionale. È il destino di alcuni big dei candidati delle elezioni di due giorni fa, che sono usciti sconfitti dalla competizione nei loro collegi, ma che entreranno comunque in Parlamento dalla porta di servizio.
Il conteggio ufficiale dei seggi alla Camera ha visto l’assegnazione di 133 deputati al Movimento 5 Stelle, che si sommano agli 88 dell’uninominale (221 in totale): il Pd col 18,7% conquista invece 86 seggi nel proporzionale.
Tra chi si salva nelle file del Pd, due ministri come Dario Franceschini, che era stato sconfitto a Ferrara, e Marco Minniti. Anche Matteo Orfini, presidente del Pd, ce l’ha fatta. Entra in Parlamento anche Martina, che invece non era candidato nell'uninominale. Tra i nomi di un certo rilievo che riescono a "salvarsi" grazie al proporzionale, Lucia Annibali, sconfitta dal centrodestra a Parma, Micaela Biancofiore, finita ko dal confronto a Bolzano con la Boschi, e gli esponenti di Leu Laura Boldrini e Pier Luigi Bersani.
Buone notizie anche per Vittorio Sgarbi, che non aveva preso bene la sconfitta contro Di Maio nel collegio di Acerra, Piero Fassino, l'ex ministro Prestigiacomo, la Gelmini, Speranza, Boccia e Giulia Sarti, la esponente del M5S finita nel mirino per la storia dei rimborsi e che aveva denunciato l'ex fidanzato.
E ancora Fratoianni, Crosetto, Paita, Giorgetti, Pollastrini, Valentini, Rizzo Nervo, Cantone, Bergamini, Bonafede, Borghi, Baldelli, Morani, Saltamartini, Polverini, Giacomoni, Calabria, Del Basso De Caro, Cirielli, Carfagna, Migliore, Paolo Siani, Elio Vito, Enza Bruno Bossio, Santelli, Stumpo, Rampelli, Ruocco, Baroni, Daga, Angelucci, Anzaldi, Fassina, Campana, Rotondi, Pezzopane, Sibilia, Daniela Cardinale, Epifani, Giulia Grillo, Fiano, Manlio Di Stefano, Brambilla, Alfredo Bazoli, Guerini, Bitonci, Zan, Fedriga, Rosato, Serracchiani, Pini, Paola De Micheli.
I risultati dei «big» della politica riservano esiti scontati, ma anche sorprese in questa tornata elettorale. Era stata una batosta per il ministro dell'Interno uscente, Marco Minniti, che aveva perso a Pesaro contro Andrea Cecconi, al centro dello scandalo 'rimborsopoli' del Movimento 5 Stelle: in Parlamento ci entrerà lo stesso grazie al listino del proporzionale. Eletta con il 41,23% dei consensi la sottosegretaria Elena Boschi blindata nel collegio sicuro di Bolzano.
Quasi la metà dei ministri del governo Gentiloni aveva perso la sfida nel proprio collegio. Dario Franceschini (poi ripescato) è stato sconfitto nella sua Ferrara, il ministro del Mezzogiorno Claudio De Vincenti, candidato a Sassuolo, è arrivato solo terzo e la ministra dell'Istruzione, Valeria Fedeli, è stata superata a Pisa nel testa a testa con la candidata leghista Rosellina Sbrana. Terza, nel collegio di Genova, anche la ministra della Difesa, Roberta Pinotti, che però sarà in Parlamento in quanto capolista nel proporzionale in Piemonte.
Hanno, invece, conquistato il seggio alla Camera nella sfida uninominale Beatrice Lorenzin a Modena e Graziano Delrio a Reggio Emilia. Vittoria nel collegio uninominale 12-Siena, con il 36,17% dei voti, anche per il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan. Ottima la performance del ministro dello Sport, Luca Lotti, che secondo fonti Dem, risulta essere l'esponente del Pd che ha preso più voti (in numeri assoluti, non in percentuali) nel suo collegio: ha incassato 64.252 voti, pari al 40,49% (il Pd si è fermato al 36,80%).
Ministri a parte, le politiche 2018 fanno registrare la debacle di tre esponenti vip di Leu: Massimo D'Alema, candidato al Senato, ultimo nel suo collegio storico salentino, a Nardò; Piero Grasso, leader di Liberi e Uguali ed ex procuratore capo di Palermo e della Dna, nel collegio senatoriale 1 di Palermo dove è arrivato soltanto quarto (un altro ex magistrato, Antonio Ingroia, candidatosi con la lista del Popolo per la Costituzione, ha riportato sempre in Sicilia lo 0,10% alla Camera e lo 0,8% al Senato); e Laura Boldrini, che ha avuto analogo piazzamento nel collegio uninominale della Camera a Milano, ma che rientra tra i "ripescati". Brillante risultato, al contrario, per Emma Bonino che è riuscita a calamitare il 38,91% di preferenze ottenendo, grazie al meccanismo dell'uninominale, un seggio in Senato, sebbene la Lista +Europa non sia riuscita a superare la soglia del 3%.
Premiato dalle urne il premier uscente, Paolo Gentiloni, che nella corsa nel collegio uninominale di Roma 1 ha staccato di parecchio i candidati degli altri schieramenti. Tra i «debuttanti» della politica flop per la giornalista e scrittrice Francesca Barra in Basilicata, regione da sempre generosa di successi per il centrosinistra: ha raccolto solo il 18 per cento dei voti. Non ce l'ha fatta all'uninominale neppure Lucia Annibali, l'avvocatessa sfregiata con l'acido dall'ex fidanzato, che a Parma si è fermata al 30,37% contro il 35,13 della candidata del centro-destra Laura Cavandoli: il proporzionale la salva.
Tra i vip prestati dallo sport strada spianata verso il Senato per Adriano Galliani, l'ex amministratore delegato del Milan. Defaillance persino tra i trionfatori di queste elezioni: salta l'elezione al Senato, nelle fila dei Cinque stelle, per il comandante Gregorio De Falco, che la notte del 13 gennaio 2012 intimò in modo colorito a Francesco Schettino di risalire sulla Costa Concordia. Sotto la voce «insuccessi» finisce pure la Iena Dino Giarrusso, candidato per M5S all'uninominale a Roma.