
Redazione TirrenoNews
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Tutti stanno comprando un cappello per la prossima nave.
Giovedì, 28 Dicembre 2017 22:05 Pubblicato in Economia - Ambiente - EventiPotete anche non credermi, se volete. Ma il sospetto è molto forte.
Io credo che gli incontri di ieri e di oggi tra politici e parapolitici non siano stati casuali. Affatto.
Al contrario, io credo che questi scambi di informazioni
siano finalizzati a percepire se davvero la nave stia entrando nella rada ( se mai ne sia uscita) per restarvi ferma ed inutile o se non stia addirittura affondando.
Non è vero ,cioè, che i “topi” siano solo sulla nave di cui al nostro articolo la nave nella tempesta http://www.trn-news.it/portale/index.php/primopiano/item/9624-la-nave-nella-tempesta
Ci sono quelli che erano scesi da altre navi già affondate e/o che non si sono imbarcati su questa ultima.
E non importa che non si siano voluti imbarcare o non siano stati fatti salire.
E poi ci sono i grandi topi , cioè quelli che hanno aspettato semplicemente che si arrivasse a questo punto , convinti, come erano, che una nave destinata ad una navigazione difficile non sarebbe mai arrivata in porto, tanto più senza un buon equipaggio.
Se non, come sembra, che affondi prima di giungere nel porto di destinazione.
Vi state chiedendo cosa c’entrano i cappelli da marinaio, vero?
C’entrano , c’entrano! Ci si sta preparando ad un nuovo viaggio e quindi ad una nuova nave.
E siccome occorrerà un nuovo capitano, tanti nuovi ufficiali, nuovi nostromi e nuovi marinai, ognuno sta comprando un cappello per trovarsi pronti .
E come al solito ci saranno, o potranno essere, tanti pseudo nuovi capitani , ufficiali, nostromi e marinai.
Scommetto che vi state chiedendo se occorra la patente nautica, vero?
E perché mai?
La politica non è una cosa seria e tantomeno è fatta da persone serie.
Dovunque , ad Amantea ancora più, la politica è un gioco che prima o dopo finisce , ma sempre un gioco!
Avete mai visto qualcuno che è stato punito per aver sbagliato?
Mai. E mai lo vedrete.
Figurarsi! Come potrebbe mai essere che qualcuno paga per avere portato Amantea alla distruzione?
E, poi, chi sarebbe il giudice?
Il popolo?
Dai non scherziamo. Il popolo vuole il gran pavese. Il popolo vuole le belle divise da marinai. Il popolo vuole il sorriso e la strizzatina d’occhi di complicità che gli rivolge il politico che guiderà o potrebbe guidare la nuova nave .
Non è che gliene freghi tanto se la nave davvero partirà o resterà nel porto.
E poi, non scherziamo!
Siamo o non siamo il paese con il porto chiuso?
Ed allora?.
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Dall’alto , dal centro storico , oggi, si apprezzava una brutta tempesta .
Onde potenti e gigantesche che rubavano la poca spiaggia ancora esistente con i rischi che ne derivavano per la strada SS 18 e per il rilevato ferroviario.
Onde che rompevano rumorose e continue sulla spiaggia e sui massi.
Mi sono chiesto cosa avrebbe provato il popolo di naviganti che si fosse trovato su una nave in mezzo a questa tempesta.
Paura? Paura di affondare, di perdere la vita, di restare intrappolati nella nave e di raggiungere con essa il fondo del mare?.
Forse si!
Poi sono sceso a mare e sono salito sul rilevato ferroviario, protetto alla meglio dalla lunga fila di massi, ho provato a guardare verso la città.
Non mi sono sentito tranquillizzato. Affatto.
Anzi, mi è parso che anche la nostra città si trovasse nel bel mezzo di una tempesta e corresse il rischio di affondare.
E con lei tanti Amanteani.
Una tempesta difficile da affrontare quella che sta affrontando Amantea.
Non solo per gli alti marosi che la circondano , ma soprattutto per essere a bordo di una nave senza equipaggio o con equipaggio impreparato, disorganizzato, senza un vero comandante, senza veri ufficiali, senza veri nostromi, ed addirittura senza veri marinai.
Una nave piena di falle, nemmeno conosciute, e quindi mai riparate.
Una nave potenzialmente in pericolo, tanto che i topi se ne sono accorti e pur essendoci ancora abbastanza per i loro denti stanno decidendo di abbandonarla.
Ma la cosa incredibile è che non sembra ci siano salvagenti da indossare.
Ed ancora più tragico è che tutti pensano di potersi salvare saltando sull’unica scialuppa in dotazione.
Nessuno , però, sembra che la ha controllata per verificarne la tenuta del mare.
La vergogna, poi, è che in fila, davanti alla scialuppa, ancora sul ponte, ci sono il comandante e gli ufficiali .
E tutti stanno aspettando che nostromi e marinai la calino perché LORO si salvino.
???????
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Le tradizioni sono solo un ricordo di Francesco Gagliardi
Giovedì, 28 Dicembre 2017 20:34 Pubblicato in Basso Tirreno
Provate a leggere queste righe di Francesco Gagliardi.
Raccontano un mondo sereno, felice, che , purtroppo, non c’è più. Di un mondo sostituito da una modernità fatta di consumi, di un mondo che ha perso i valori. Non solo quelli del Natale, ma soprattutto quelli della società che si rispettava, se, non si amava.
Forse non sarà facile recuperare quei tempi, ma che almeno siano ricordati.
E’ questo il messaggio di Francesco Gagliardi
“Il Natale di oggi, quello appena trascorso, all’apparenza sembra uguale agli altri. Ma non è così. Se ne è accorto finanche il Santo Padre, il quale proprio ieri, mercoledì 27 dicembre, nell’udienza generale, ha detto così:- Il Natale l’hanno snaturato per un falso rispetto di chi non è cristiano e si è eliminato Gesù -. E ha difeso le luci, i cibi della festa e le varie tradizioni locali. Continua ad impazzire ancora la corsa alla ricerca dei regali da fare ed i negozi sono affollati e restano aperti tutto il giorno finanche la Domenica. E’ stato un Natale ricco e dispendioso, all’insegna delle folle spese e dello shopping. Le strade, le vie, le piazze, i negozi sono illuminati a festa e le vetrine sfavillanti di luce e di colori sono piene di figure natalizie. Ogni tanto, ma raramente, si è visto qualche zampognaro infreddolito che si fermava davanti ai negozi intonando “Tu scendi dalle stelle”.
Ai lati delle strade si vedeva ancora qualche vecchietta che vendeva il vischio, il muschio e il pungitopo. L’agrifoglio no, perché è proibito raccoglierlo. Ma le famose tradizioni e i simboli di questa festa che fine hanno fatto? Tutto dimenticato.
“Sona zampugna, portami luntanu / alli tiempi felice e quatraranza. / A nonna chi filava chianu chianu, / ‘ntramente me cuntava na rumanza../ A ru zuccu chi ardia sempre cchiù chiaru / sutt’a camastra de ‘nu fuocularu!”
Tempi felici quelli, bastava un fico secco scaldato sulla brace ed una fiaba raccontata dalla nonna e noi bambini eravamo felici e contenti. Quanta allegria c’era in quelle case povere, ma ricche di valori, persi ormai per sempre. Tutto si è perso o dimenticato, ma quello che è peggio moltissimi non ne sono a conoscenza. Oggi si parla di regali sfarzosi, di tredicesime, di panettoni, di torroni, di luminarie, di balli, di cenoni, di spettacoli musicali in piazza, tutto orientato al consumismo sviscerato.
Nessuno si dedica più alla riscoperta e alla ricerca dei valori perduti che un tempo non lontano portavano festa ed allegria in ogni casa ed in ogni parte del mondo, perché era nato Gesù, il figlio di Dio, in una povera stalla riscaldato dal fiato di un bue e di un asinello.
Ma le famose tradizioni e i simboli di questa festa che una volta era prettamente religiosa che fine hanno fatto?
Nelle case, nei negozi, nelle scuole, nelle piazze non si costruisce più il presepe come una volta perché come ha detto il Santo Padre – per un falso rispetto di chi non è cristiano -. Quanto tempo dedicavamo alla realizzazione del presepe! E che gioia andare nei boschi alla ricerca del muschio. Nel presepe c’era la grotta che accoglieva Gesù Bambino, la Madonna e San Giuseppe, e fuori gli zampognari, i pastori che portavano i doni a Gesù ed infine le montagne cosparse di farina per dare l’idea della neve con le pecorelle che brucavano l’erba.
E gli zampognari che fine hanno fatto?
Nel mio paese, San Pietro in Amantea, venivano il giorno dell’Immacolata Concezione e il giorno di Santa Lucia. Suonavano in chiesa ma anche per le vie del paese. E ora ricordo la bellissima poesia di Giovanni Pascoli che facevo imparare a memoria ai miei marmocchi :-Le Ciaramelle – Ed ecco alzare le ciaramelle il loro dolce suono di chiesa. Suono di chiesa, suono di chiostro, suono di casa, suono di culla, suono di mamma, suono del nostro dolce e passato pianger di nulla .-
A mezzanotte dopo aver mangiato tredici cose, così era la tradizione, tutti andavamo in chiesa ad ascoltare la Santa Messa, mentre sul sagrato della chiesa ardeva un grande falò. La legna bruciava tutta la notte e la gente si riuniva intorno al falò prendendosi cura perché almeno un tizzone vi restasse acceso la mattina.
I tizzoni che avanzavano venivano conservati come oggetti sacri, e quando si sentiva nell’aria minaccioso il brontolio dei tuoni, precursori delle tempeste, si esponevano fuori sul davanzale delle finestre o dei balconi, credendo vi fossero in essi la virtù di scagionarli. La mattina, poi, le contadine vestite a festa, andavano nelle case dei loro padroni portando loro doni e non erano ricambiati.
Era consuetudine allora rendere omaggio ai padroni specialmente se abitavano nello loro turre di campagna.
Quanti ricordi! Quanti ricordi di tempi felici e belli! E non c’è maggior dolore che ricordarsi dei tempi felici anche se nella miseria: Il Natale dei presepi, degli zampognari, dei falò, dei dolci caserecci, dei cullurielli e delle grispelle, delle canzoncine, delle tombolate, delle recite nelle scuole e della letterina ai genitori che nascondevamo sotto il piatto delle strine.
Lo strinaro era una figura caratteristica del Natale scomparso, che andava cantando accompagnato dalla chitarra, a chiedere da bere. Se le porte delle case non si aprivano, non solo faceva un gran chiasso, ma il suo canto diventava dispettoso ed ingiurioso..
Per gli anziani queste tradizioni sono solo un ricordo, per i giovani soltanto cose futili ed inutili. Ricordarli, però, fa sempre bene, per essere vivi nella storia della nostra Calabria, per capire meglio la società di una volta diversa da quella di oggi, dove si parlava un linguaggio diverso, dove gioia e dolore venivano divisi con gli altri, dove tutti si aiutavano a vicenda, dove la parola “shopping” non era stata ancora importata in Italia e la gente non impazziva per i regali e per un Natale ricco e dispendioso.
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