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Redazione TirrenoNews

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La situazione amanteana( calabrese, italiana, europea, mondiale) è drammatica. Disoccupazione, disagi familiari e sociali, droga, perdita di fiducia nelle istituzioni, perdita di speranza nel futuro, indecenza, immoralità e chi più ne ha, più ne metta. Ed altrove non va meglio, infanticidi, femminicidi, prostituzione, suicidi.

Ed allora per distrarre la gente, ed evitare che si uccida od uccida, niente meglio che il “dore, dore, ciak, gulp”. Quattro canzoni per dimenticare, quattro ballerine seminude per distrarsi, quattro barzellette, per cavare una specie di sorriso, le vicende del Bunga Bunga, come se fossero droghe . insomma come diceva il vecchissimo slogan “ tutto fa brodo”

“Dore, dore, ciak, gulp”. Una droga terribile che serve per distrarsi .

Per dimenticare che ad Amantea i negozi chiudono , l’economia va a rotoli, gli alberghi restano semivuoti( e negano i dati), che le tasse si verticalizzano, che gli abusi e le illegalità visibili e soprattutto invisibili crescono a dismisura.

E mentre c’è chi pietisce il suo quotidiano pezzo di “pitta” , chi sogna di passare avanti nella fila dei peones in attesa davanti alla casa od all’ufficio del politico di turno, chi è convinto che prima o poi verrà il suo turno, chi aspetta il cenno, chi il suo riscatto, chi la sua vendetta, c’è anche qualcuno che scrive senza firmare, di sè e di altri, e chi intona il ritornello “Dore, dore, ciak, gulp”

Intanto le iene stanno preoccupandosi degli ultimi brandelli di carne amanteana pregustando ben altre prelibate prede come il mega porto da 80 milioni di euro di cui gran parte costituito da case da vendere ai ricchi italiani ed europei ( è il solo mercato che regge), all’interno di un piano regolatore generale che permetterà di violentare ancora più questo territorio dove non sono stati mai rispettati i parametri di urbanizzazione, primaria e secondaria, senza che nessuno li pretendesse e la magistratura li imponesse

E nel mentre, c’è chi guarda i resti del fuoco che ha bruciato la decenza, la morale, l’etica, di una intera città e di alcune generazioni, c’è chi tenta di ricordare la grande storia di Amantea e raccoglie firme per salvarne un nobile pezzo che per fortuna non è stato ancora inciso dall’uomo ma solo dal tempo: il castello. Così non si ha tempo di capire se ci sia stato mai un nerone in questa città.

Ed a cantare per primi il ritornello “Dore, dore, ciak, gulp” , quello che inibisce la mente dal ricordare, il cervello dal pensare, il cuore dall’ amare, ci sono soprattutto quelli che questa Amantea se la sono mangiata, che vi hanno banchettato ed oggi pretendono di essere ricordati come eroi, come santi, od almeno come prossimi alla beatificazione. E’ questo l’effetto del palco o del cavallo.

Ed insieme a loro, se non sono loro, quelli che intendono mangiarsi quanto resta da mangiare, vendersi quanto resta da vendere, rubare quanto resta da rubare, convinti di essere intoccabili.

E forse lo sono fintanto che il palazzo resta nelle loro mani, fintanto che gli accattoni ed i questuanti sono la loro claque e fanno ala al loro passaggio, anche se questa gente senza morale è sempre pronta a denigrare, a bollare, a svergognare, quelli che oggi osannano e riveriscono in un servile gioco tra inno al potere e tendenza alla prostituzione economica, sociale e morale.

Nessuna paura dietro gli accattoni malvestiti ci sono ancora teatranti e sbandieratori al soldo del potere, quelli che aspettano un palco od una poltrona; nobili questuanti, nobile claque, fan del potere, gente che all’occorrenza può diventare ancora più falsa, ipocrita, amorale.

“ Dore, dore, ciak, gulp” , allora, oggi e domani. E purtroppo lo canteranno tutti, anche coloro che in fondo hanno ogni tanto conati di vomito a ricordare che a furia di mangiare avanzi dei banchetti, restando sul tavolo pezzi di osso, brandelli di carne, cenci di pelle, roba indigeribile, lo stomaco reagirà.

E che sa chiaro , con il “Dore, dore, ciak, gulp” non ci saranno rivoluzioni. Perché ci sia una vera rivoluzione è necessario ci sia un popolo, di uomini e non mi pare di vederne tanti. Gulp! Giuseppe Marchese

Roma. Filippo P., ha 34 anni e disoccupato, moglie e figlio di 4 anni da mantenere

E’ sul lastrico

È dal 2010 che non lavora. Con la crisi ha perso anche l’ultimo lavoro precario

Due settimane fa ruba del pane, del latte ed una confezione di prosciutto; quanto basta per sfamare la famiglia

Viene arrestato, processato per direttissima e condannato a cinque mesi con la condizionale, e liberato con l'obbligo di firma.

Nei giorni scorsi va al Conad di Corso Francia.

Viene sorpreso con sotto i vestiti una fetta di carne, un pezzo di formaggio ed una bottiglia d’olio.

Il giudice dell'ottava sezione penale, Fabio Mostarda, pur comprendendo il dramma personale dell'imputato, non può far altro che confermare l’arresto e dispone la custodia cautelare in carcere. Filippo, difeso dall'avvocato Gianluca Arrighi, patteggia una condanna a 6 mesi di reclusione.

di Riccardo Noury. Dieci componenti di una stessa famiglia uccisi in 15 anni. Una storia drammatica, quella dei Barrios, in Venezuela.

L’ultimo omicidio risale appena al 16 maggio: la vittima si chiamava Roni Barrios e aveva 17 anni. Il suo corpo è stato ritrovato con ferite alla testa e al collo che hanno fatto pensare a un’aggressione a colpi di machete o di ascia.

Il ragazzo viveva e lavorava nella capitale Caracas ( nella foto) ma era appena rientrato nella sua città natale, Guanayén, nel sud del paese.

È qui, a Guanayén, che ha inizio la storia dolorosa della famiglia Barrios. Il 28 agosto 1998 la polizia fa irruzione nell’appartamento dove Benito Antonio Barrios, 28 anni, vive insieme ai due figli, Jorge Antonio e Carlos Alberto. Quattro agenti di polizia picchiano Benito Antonio e lo portano via. Il suo corpo viene rinvenuto all’ospedale locale, con ferite mortali d’arma da fuoco al petto e all’addome. La polizia giustifica l’irruzione (non ciò che è accaduto dopo, che resterà e resta tuttora un mistero), sostenendo di aver ricevuto una telefonata in cui si segnalava una rissa tra due uomini.

Cinque anni dopo, l’11 dicembre 2003, la polizia arresta Jorge Antonio, uno dei due figli di Benito Antonio Barrios. Lo zio Narciso e il cugino Nestor seguono gli agenti, ritrovano Jorge Antonio che alla fine viene rilasciato. Gli agenti però uccidono Narciso Barrios, sparandogli diverse volte alla testa, di fronte a Nestor.

Il 21 settembre 2004 Luis Alberto Barrios, fratello di Benito Antonio, testimone oculare dei fatti del 28 agosto 1998, viene raggiunto da una serie di colpi d’arma da fuoco alla testa e muore. Il giorno prima aveva ricevuto una telefonata minacciosa dalla polizia.

Pochi mesi dopo, siamo nel gennaio 2005, dopo quattro giorni di agonia muore il sedicenne Rigoberto Barrios. Prima di spirare, accusa un poliziotto di avergli sparato. Sua madre dichiara di aver ricevuto minacce di morte dalla polizia.

Quell’anno, la maggior parte dei Barrios lascia Guanayèn. Ma la storia non finisce qui.

Negli anni successivi, una seconda generazione dei Barrios perde la vita: Oscar José, 22 anni; Wilmer José, 19; Juan José, 28, Victor Tomas, 16, Jorge Antonio (figlio di Benito Antonio), 24; e, 10 giorni fa, come detto, Roni.

I Barrios ancora in vita sono terrorizzati. Alcuni di loro, i più tenaci nella ricerca della giustizia, sono stati ripetutamente minacciati. Si sono anche rivolti agli organi di giustizia regionali, che in diverse occasioni, a partire dal 2004, hanno ordinato al governo venezuelano di fornire protezione alla famiglia. Ordine non eseguito.

Nel novembre 2011, la Corte interamericana dei diritti umani ha stabilito che il Venezuela è responsabile dell’assenza di indagini efficaci e della mancata protezione. L’anno scorso, peraltro, il Venezuela ha annunciato il ritiro dalla Convenzione americana dei diritti umani e, di conseguenza, dalla giurisdizione della Corte.

Negli ultimi 15 anni, le autorità di Caracas non hanno detto una sola parola sullo sterminio della famiglia Barrios.

Questo è l’amaro commento di Eloisa Barrios (terza da destra in una foto scattata in occasione di un’udienza della Corte interamericana dei diritti umani), sorella di Narciso e zia di Roni: “Quando ho iniziato a chiedere giustizia per la morte di Narciso, il secondo dei miei fratelli a essere ucciso, non avrei mai immaginato che così tanti altri parenti sarebbero stati assassinati sotto i miei occhi. Ritenevo che cercando giustizia avrei protetto meglio gli altri. Ora mi rendo conto che è stato persino peggio”.

Quanti altri Barrios dovranno essere uccisi prima che il governo venezuelano si decida ad agire? ( da Il corriere della Sera)

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