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GIGMi stressa tanto guardare e annusare il marcio delle cose. Il marcio che emerge dal profondo di questo bistrattato paese.

 

 

Siamo ad un punto di non ritorno.

Questa vicenda è così grave, farà rompere ogni indugio agli indecisi.

E anche per molti loro sostenitori quello che è accaduto è troppo. Sono sicuro che molti si stanno chiedendo cosa fare, fra qualche mese, alle urne.

La frase “C’è del marcio in Danimarca” viene utilizzata per indicare azioni disoneste o imbrogli che si vogliono nascondere.

Tradotta dall’inglese “Something is rotten in the state of Denmark”, tale citazione è presa dall’Amleto. L’opera teatrale, scritta ad inizio Seicento dal drammaturgo e poeta inglese William Shakespeare.

La citazione “C’è del marcio in Danimarca” viene pronunciata dalla guardia del Re Marcello durante la quarta scena del primo atto, rivolgendosi ad Orazio, l’amico fidato di Amleto. Tale frase fa riferimento agli intrighi, tradimenti, inganni e alle brame di potere che aleggiavano sul trono di Danimarca, nazione in cui è ambientata la tragedia.

Dopo oltre quattrocento anni dalla nascita di quest’opera, la suddetta citazione è ancora oggi di uso comune, mantenendone intatto il significato originario, ovvero quello di indicare il sospetto di qualcosa di losco in relazioni, istituzioni e sistemi apparentemente rispettabili e sani.

“C’è del marcio in Danimarca”, fa riferimento non solo agli strani avvenimenti e alla presunta pazzia del principe, ma anche al precedente commento di Amleto che afferma che Danimarca e il mondo stesso sono “un giardino incolto, pieno tutto di malefiche piante”.

Che il marcio abbia sommerso Amantea negli ultimi 30 anni non vi sono dubbi. Anni fatti da migliaia di promesse mai mantenute, nepotismi, favoritismi, incuria e prepotenze. Le diverse ed annose criticità della città avrebbero dovute essere portate a soluzione e richiedevano piena consapevolezza da parte di una classe politica attenta e volitiva, il sindaco, gli assessori e i consiglieri proprio perché primi referenti dei territori avrebbero dovuto avere  piena conoscenza potendo essere determinanti nell’indicare valide alternative.

 

 

Oltre a ciò era possibile portare all’attenzione collettiva (chiaramente idea lontana anni luce dagli interessi particolari di chi governava) questioni che richiedevano la collaborazione dei cittadini che il generale distacco dalla politica ha reso indifferenti ed a volte poco sensibili.

Tematiche importanti come la tutela dell’ambiente, il rispetto della natura, la protezione del mare, dei fiumi, la prevenzione di incendi, ma anche la predisposizione all’accoglienza legata al turismo, l’attenzione verso le fasce più deboli, l’assistenza sociale e sanitaria, avrebbero dovuto trovare opportuna trattazione e spazio con il coinvolgimento di ogni comunità.

Questi signori delle passate Amministrazioni, ricicciano in questo periodo come la primavera. I loro Sparaballe sono già all’opera con le future promesse ai poveri indigenti e non solo.

La voce di Sparaballe, non fece in tempo a spargersi, che una lunga fila di bisognosi si presentò allo sportello.

I casi più drammatici, furono trattati a parte, come si conviene per carità cristiana, con chi soffre di più. Tra quelli con la coppola in mano, la tessera numero uno , uno dei casi più pietosi. A seguire, scorrendo la lista dei questuanti, rampanti immobiliaristi, costruttori, manager, società calcistiche, armatori, tutti uniti da un unico filo conduttore: l'amore, quello incondizionato per le generose mammelle amministrative, oltre ad essere una garanzia di appartenenza.

Ma si sa, le disgrazie sono sempre dietro l’angolo, e il caro Municipio, non si sa come o forse perché qualcuno non sa contare bene, sbaglia i conti e finisce in brutte acque. O, forse, c'è sempre stato. Fatto sta, che ad un certo punto, il livello dell'acqua aumenta di colpo e le risorse economiche verranno date per annegate sotto uno tsunami di liquidi inesigibili.

Molti pensano che sia ora dell'estrema unzione, ma, è risaputo, gli amici e parenti, si vedono nel bisogno.

Tutti accorrono al suo capezzale. mentre a piedi rimangono come sempre tutti gli altri, i cittadini del paese, uomini, donne, bambini, anziani, ragazzi e persino i poveri, quelli che non possiedono nulla. 

Dopo lo scioglimento della Giunta, ho ricominciato a sentire il marcio con quel suo inconfondibile odore.

Ma che odore ha il marcio di Amantea? Lo si ricava dalle impressionanti testimonianze raccolte per le strade della cittadina che raccontano nell’uso alienante di una lingua “di mezzo” gli afrori, le puzze, le abitudini dei gregari dell’immenso marciume: ascelle mal lavate, piedi sporchi, fiati vinosi, conati di vomito, perfino scoregge.

Tutto l’armamentario di quegli uomini “veri” che ubbidiscono a coloro che intrattengono rapporti col mondo che conta. E allora ecco che quella puzza viene coperta da profumi grevi, costosi e al feromone.

E intorno la desolazione di un marciume che prima che simbolico è reale: il solfuro di idrogeno proveniente da sistemi fognari delle acque reflue, noto anche come gas fognario; estremamente tossico per gli esseri umani; odore di periferie abbandonate, di immondizia, di pesce scongelato e di malaffare che rotola nel mare di Ulisse sotto forma di “massi” .

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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Prima scena

Protagoniste:

 

zi Maria

Giuvanna

Rosina

Cicchina

Fiorinella

                                              ************************

 

Tic, tac

Tic, tac

La sveglia sul comò , quella con il gallo che si muove , fa un rumore infernale , ma per la zia Maria e’ una compagnia, durante tutta la notte.

Lei ormai vive sola da diversi anni, da quando la buonanima del marito e’ volato in cielo, come dice lei.

Drin, drin, drin, drin.

Clic

Si accende la luce sul comodino.

 

La piccola abat jour diffonde una luce smorta sul vecchio letto, alto, con due materassi, come quello dei nostri vecchi.

Drin, drin, drin, drin.

La sveglia continua a trillare

La zia Maria poggia un piede per terra, poi l’altro; si fa il segno della croce e ringrazia il Signore per questo nuovo giorno che sta per arrivare

Drin, drin, drin, drin.

Cerca con i piedi le vecchie pantofole.

Alza le vecchie reni , si stira un poco .

Drin, drin, drin, dr........

Ecco, finalmente abbassa il pulsante rotondo sulla testa della sveglia, ed il suono finisce.

Si avvia verso la cucina che si trova vicina alla stanza da letto.

Accende la luce.

Riempie la macchinetta del caffè, quella piccola, e la mette sul fuoco

E’ ancora buio.

Ogni giorno la zia Maria si corica presto e si alza presto.

Lei e’ nata in campagna.

E la mattina, sin da quando era bambina, doveva mungere il latte per i fratelli più piccoli, bollirlo e preparare la colazione. prima che partissero a piedi, presto, per andare a scuola, che era lontana.

Da quando era giovinetta la zia Maria si alza presto.

Dopo la prematura morte per parto della ancora giovane madre, e’ stata lei la madre dei fratelli.

Ed e’ sempre da giovane che la zia Maria si avvicina automaticamente alla finestra, apre lo sportello sinistro e guarda fuori per vedere l’alba.

Ma ancora e’ notte fonda.

Fiiiiiiiish, fiiiiiiiiiish,

Ecco, comincia ad uscire il caffè.

Spegne il gas.

Prende la macchinetta e la poggia sul vecchio tavolino di legno, dove ha lasciato tante sue impronte esagonali.

Non si brucia, invece, zia Maria; ha le mani callose, da sempre.

“Ahh, chi cosa bona nu caffe’ i prima matina”

Si, una tazza di buon caffe’ ti ristora lo stomaco, ti da’ una sferzata di energia, anche quando sei vecchia.

Alza la tazzina alla bocca e guarda fuori, e’ ancora notte.

“Mah”

Poi prende i fagioli dal cestino e comincia a sbucciarli, piano, piano.

Le bucce sul grembiule ed i fagioli nella piccola casseruola dove quando cadono fanno tin, tin.

E, intanto, passa il tempo.

Anche in cucina zia Maria ha un vecchio pendolo che accompagna le sue giornate , col suo mesto , ininterrotto e ritmico rituale sonoro.

La zia Maria non ama la radio; un tempo, forse.

E non ha la televisione.

“ quannu u signuru ha nventatu i fasuli ha fattu daveru na cosa bona.

Da sempre li mangia zia Maria.

Ecco ha finito.

Mette le bucce nel vecchio secchio; più tardi li porterà nel cassonetto della spazzatura.

Poi si avvicina alla finestra.

E’ ancora notte.

“…tiegnu l’impressiona ca stamattina a sveglia ma fricatu”

Sussurra piano, piano le parole.

Guarda il vecchio pendolo; non e’ stato mai preciso.

“…sa carretta un va bona”

E si avvia verso la stanza da letto.

Guarda la sveglia.

tic, tac, tic, tac

Il tic tac la scuote

Non sente rumori strani, sembra funzionare.

Ritorna in cucina .

Si riavvicina allo sportello, e’ ancora notte.

Zac

Alza il chiavistello.

Apre la finestra e sporge la testa fuori, piano, piano, guardando con l’occhio, ancora, buono.

“E’ notte funna e fa freddu. Friddu ? E’ na cangarena !”

Poi il dubbio si scioglie .

“Ah , e’ capitu ! E’ cangiata l’ura. Peccio’. Mi signu risbigliata n’ura avanti”

Si convince da sola.

“Allura i mintu u stessu i fasuli ! Tantu mangiu n’ura prima”

Riempie la casseruola d’acqua,accende il gas, e mette a bollire i fagioli, a fuoco lento e con il coperchio.

Poi si mette a recitare il rosario, come ogni mattina.

Passa un po’ di tempo.

L’acqua comincia a bollire, alza il coperchio.

Aggiunge gli odori.

Zia Maria ha finito il rosario.

Alza gli occhi verso la finestra.

E’ ancora notte!.

Si alza, apre la finestra, si affaccia.

Fa freddo.

Di fronte vede Giovannella.

Anche lei dietro il vetro della finestra.

“Rapa, rapa” Le dice .

Giovanna vede solo che muove la bocca, come se fosse un pesce, ma capisce.

Apre la finestra.

“Buongiorno zi Mari’”

“Buongiorno, Giuvanne’. Sapissi l’ura ? Ca a sveglia mia a’ ddessiri rutta.”

“Se’, zi Mari, mi signu appena dazata . Su li sei e nu quartu.

“Va buo’; ca mo a cuonzu a sveglia”

Va nella stanza da letto, guarda la sveglia; fa le sei ed un quarto.

Ritorna in cucina; anche il vecchio pendolo fa le sei e un quarto.

Resta perplessa; si fa il segno della croce.

Si riavvicina alla finestra, s’affaccia.

Ma Giovannella e’ rientrata

Allora si avvicina all’altra finestra, quella che da’ sulla strada; la apre, si sporge e guarda fuori.

Tante luci sono accese nelle case, ma fuori non c’e ancora nessuno.

“E’sempri notte.

Va buonu ca signu nsurdata, ma un’ mi pari ca u cammiu da munnizza e’ passatu, eppure e’ sempri puntuali, alli sei e dieci.

Forse si su dazati tardi.

Pero’ e’ stranu ; a chist’ura , quannu passe lu cammiu e’ gia’ juornu” pensa la zia Maria ad alta voce .

“Allura si vide ca e’ cangiata l’ura. Pò esse, po’ esse.

Avijmu i mintiri arrieti l’orologiu”

Pensa ad alta voce la zia Maria .

Controlla la casseruola , aggiunge un altro po’ di sedano, un po’ di cipolla, un peperoncino secco; si sente già il profumo dei fagioli.

Ancora non sono cotti.

Prende un’altra tazzina di caffè’. E’ freddo. Il caffè freddo non le piace. Prende i grani del caffè e li mette nel vecchio macinino. Poi riempie la caffettiera e la mette sul fuoco .

Guarda fuori, e’ ancora notte !

“ Eh , no, unnè capitu”.“E’ na cosa ca un mi piace”

Il suo sesto senso la ha allarmata, ma che fare ? Niente, deve aspettare.

Lei e’ vecchia.

Non ha nemmeno studiato. Lei ha sempre lavorato; sia per la prima che per la seconda famiglia.

Si siede, si rialza, cammina per la cucina.

Guarda fuori.

Tic,tac, tic, tac.

Guarda il pendolo in cucina.

“ I sei e mezza su passati i nu bellu poco ed e’ ancora notta !”

“Signuru mia. Ottantanni domani ed unne’ visto mai na cosa i chista !

Si avvicina allo sportello

Vede Giovanna che parla con Rosina

Apre la finestra .

“ Giuvanne’, su li sette meno venti ?“

Chiede Rosina , ancora insonnolita.

Giovanna alza gli occhi e vede zia Maria

Zia Maria e’ pensosa.

Lei e’ la più anziana del quartiere, ha tanta esperienza; a lei spesso si sono rivolte per un consiglio.

“Zi Mari ! “

Dice Giovanna

E zia Maria, capendo.

“ Veniti, veniti ; ca è misu a fari u cafe’; fa veniri puru a Rosina”

Due donne con lo scialle in testa passano il vicolo, scambiano alcune parole con altre persone e si infilano per le scale di Maria.

La porta e’ aperta.

Entrano Giovanna e Rosina .

“E’ permessu ?”

E senza aspettare risposta entrano.

Maria ha messo la caffettiera grande; nemmeno lei sa perché.

“E’ permesso ?”

Maria guarda Giovanna e fa un segno con la testa.

“ Sunu Cicchina e Fiorinella”

“Ah trasiti, trasiti,”

Risponde zia Maria.

“Bonivenuti Aviti vistu ?,

Dice zia Maria.

E,poi, alle altre donne, anche esse sorprese, aggiunge

“Aviti ntisu u cammiu da munnizza ?“

Le donne si guardano; NO, non lo ha sentito nessuno.

“I ca’, passe sempri alle sei e dieci e doppu passe lu treno di lavuraturi, chillu ca fischije sempri quannu arrive alla staziona.

Ah , u trenu, sè”

Risponde Fiorinella.

“Appuntu”

Dice la zia Maria.

Poi il silenzio.

Le donne si guardano tra di loro.

La zia Maria mette il caffè nelle vecchie tazzine del suo antico corredo, qualcuna senza manico, ma ancora buone.

Mette lo zucchero nella sua, porge la zuccheriera alle altre, comincia a girare lo zucchero.

Beve lentamente il caffè.

Ancora una volta il miracolo di una sferzata di energia.

Poi parla.

“Secondo me e’ success’ ancuna cosa; na cosa cunne’ bona. U tiempu passe e lu sulu un si daze.

Oh Jesu, Jesu “

Risponde Fiorinella , che e’ sempre stata la più paurosa.

“ Oh Jesu, Jesu “

Continua in cantilena, e si porta le mani al viso

“Eh no, no “

Fa Giovanna.

“A chi sta pensannu, Mari ?”

Intanto si sente il primo tocco delle campane della vicina chiesa.

Si segnano tutte, velocemente .

E tutte guardano la sveglia, segna le sette.

Ecco i rintocchi del pendolo.

La sveglia ed il pendolo allora vanno bene, lo confermano le campane.

“U vi’, u vi cunne’ successu nenti , i campani sonunu” .

Ribatte Rosina.

Guardano zia Maria che scuote lungamente la testa.

“Unne’ na cosa bona. Iu unnu sacciu chi e’ successu, ma unne’ na cosa bona”

“Ottantanni dumani e nunne’ mai vistu na cosa comu e chissa”

“Oh Jesu, Jesu”

Fa eco Fiorinella.

“ Iu vaju; vaju alla casa, ve risbigliu a maritima”.

E scappa senza dire altro, e continuando per le scale

“ Oh Jesu, Jesu”

**********************

Seconda scena

Protagonisti

Vicienzu du bar

Annuzza, a mugliera

Cicciu, u funtanaru

Mariu, u benzinaru

 

Dice la moglie Annuzza

Vici’, ma a genti stamattina add’uve’

Ed il marito poggiato alla macchina del caffè per riscaldarsi la schiena fredda

Annu’, e chi……. ni sacciu. Sbia fora.

Annuzza esce appena dalla porta del bar e non vede nessuno. No, in fondo alla strada vede due persone.

Vici’, sulu dua, la’ ssùtta

Ed il marito

E china sunu ?

Risponde Anna

Unni scanagliu buonu. Una, mi pare Cicciu, u funtanaru du comunu e l’atru…., l’atru…mi pari Mariu, …..chillu da benzina”

E Vincenzo

“E chi fanu ?

Anna

Guardunu versu i nua.

Allora Vincenzo dice

Facci signu, facci signu, ca ni mbormamu” .

Ed Annuzza fa segno con la mano di avvicinarsi.

I due s’ incamminano verso il bar

Stanu veniennu! Ma pecchi’ m’ a’ dittu di fari veniri ?

Dice Annuzza.

Oj Annu’, Cicciu sicuramente sa pecchi’ unne’ passatu u cammiu da munnizza. Su li sei e mezza; e loru a chist’ura su sempri ca ; su sempri i primi a ssi pijiari u caffe’ …….e l’ammazzacaffe .

Fa Vicienzu

Ah !

Risponde la moglie

Intanto entrano Ciccio e Mario che salutano.

Buongiorno…. Buongiorno !!!!!

U cafe’ ?,

Chiede Vincenzo, da dietro il banco. E prima che possano rispondere Aggiunge

” Offro io”

E prepara due caffè.

“Mo, mu pigliu pur’io”. Nu pocu d’anice?. Cu’ ssu freddu….. ricirche”

RispondonoCiccio e Mario

Uhm, uhm.

Il profumo dell’anice riempie il bar.

Bevono il caffè; si compie il miracolo di dare energia e calore.

Sembra ce ne sia bisogno, nel bar c’è un’aria strana. Nessuno parla.

Pure Ciccio, che e’ sempre un chiacchierone e ne dice pure troppe, e’ silenzioso. Qualcosa lo preoccupa.

Ed infatti e’ lui che rompe il silenzio

“A voliti sapiri na cosa!

Dice ad un tratto .

E senza aspettare risposta , come un fiume :

“Signu jutu a mari,….. pe cumprari dua pisci alli varchi, ma i lampari erano ancora fora. Ed erunu gia’ i sei e nu quartu. Forsi c’e’ pigliatu u suonnu, …..e’ pensatu.Ma pua e’ vistu ca alla marina c’ere sulu iu e mi signu dittu , sulu sulu, comu nu ciutu. Mah,…… a matina c’e’ sempri na fera…. E pensatu ca jive mala sa cassarola “

Ed indica il vecchio orologio. Poi continua

” Allura mi signu ricuotu versu a casa…… ed e’ ncuntratu a Mariu, ca ma dittu ca puru illu facie la stessa ura. E ce’ puru chiestu a Mariu si i spazzini avjuno fattu a nafta e ma ddittu ca null’a vistu…………. E’ veru Ma’. E pu’ ….. nmienza a via un c’e nessunu.

L’unicu che vistu e’ lu Pachjicu.”

“China?, fa Vincenzo.

Eh, eh….., u Pachjicu, u Pachjicu; eh,…. chillu ca ogni matina appena fa juornu esce culla bicicletta .

Ere dintru u purtunu , culla bicicletta alli mani, guardave fora, e zumpettave supri i gammi.”

E cosi dicendo Ciccio saltella sulle gambe.

“ E pua chi friddu stamatina”

Un fiume di parole.

Gli altri si guardano, Ciccio aveva materializzato un sospetto che non avevano avuto il coraggio di esternare.

Anna, intanto, e’ fuori dalla porta, guarda a destra, a sinistra, tante luci nelle case, ma nessuno fuori.

Il silenzio riempie il bar.

Drin, drin, drin…..

Squilla il telefono e Vincenzo risponde

“Pronto. Si , si. Sette e sette. “Va bene. Uh , subito, subito, cinque minuti”.

Anna guarda Vincenzo

“ Ci va puorti? Arrieti ca’, alli carabinieri. Va subitu, ca c’e lu capitanu. Sunne’ capitu mali, ce’ ancuna cosa sutta.”

Vincenzo alza gli occhi interrogativamente e mette i polsi incrociati.

Anna esce e porta sette cappuccini e sette briosce.

Intanto Ciccio guarda l’orologio, quasi ogni minuto.

Pure Mario guarda l’orologio.

Stanno per scattare. Si sentono estranei al bar.

Ed insieme : “Grazie Vici’……….

Ma Vincenzo li ferma.

“Oh ,….ca mo vene Annuzza e ni cunte……”

Ciccio e Mario si guardano, sono curiosi, sorridono. La prima notizia si vende bene.

Arriva Anna.

Tutti la guardano.

Anna alza le spalle, fa un gesto con gli occhi.

“Stavunu escjiennu culli machini, e’ sentutu ca parravunu cull’altri stazioni e tutti stavunu pe’ descjiri”

Ciccio, Vincenzo e Mario si guardano.

E Cicciu:

“ unnaviti capitu ,…eh ?. Unnaviti capitu ! Loro sanu ancuna cosa. Loro sanu sempri tuttu , e prima, prima i nua!”.

“ Eh chi ?” , fa Mario.

E Ciccio “Ohi Ma’, su quasi i setti ed e’ ancora notti, su li setti e lu sulu ancora un se dazatu !”

Un vento freddo sembrò entrare nel bar, colpirli nelle spalle , penetrare loro nelle ossa .

“Vaju alla casa. Oj mi pigliu nu juornu”, disse Ciccio.

E Mario lo segue.

 

Terza scena

Protagoniste:

zi Maria

Giuvanna

Rosina

Fiorinella

altri

 

Sono tutte fuori, nel vicolo.

Altre donne si sono unite a loro.

Le più anziane avvolte nello scialle.

Qualcuna si accarezza le mani per riscaldarsi, qualcuna tiene le dita incrociate, come in preghiera, ma scosse da movimenti nervosi.

“ Pecchi’ un chiamamu u sinnicu?”, dice Giovanna

“E chi t’ha di diri , u sinnicu ?” , risponde zia Maria

«Eh, sempri u sinnicu du paisu e’», continua Giovanna.

E, sempre, zia Maria , Chillu magari ancora dorme, nua u risbigliamu ….e chi ci dicimu: Sinnicu,….. pecchi’ un nasce lu sulu? “

“E allura a china chiamamu ? “fa eco Fiorinella .

Le donne si guardano tra di loro.

“A don Franciscu, a don Franciscu, u prievitu”

Fa Rosina

E Giovanna un po’ delusa della proposta

“ Seh, …e chillu cumince, ca e’ nu signu divinu, ca nua simu peccaturi, ca u vangelu dice ca u munnu finisce quannu è tuttu chjnu i peccati . Accussi ognunu penzamu alli nuostri, china ha arrubbato, china ha fattu i corni allu maritu, china………”

Intanto le donne avevano tutte abbassato la testa.

E la zia Maria ,“ Forsi unne mali ca chiamamu u prievitu,……. si ni dice si cose; ca nu pocu i coscienza i chiù avissimu d’aviri tutti, forse . Iu mi spagnu, inveci , ca illu unni sa rispunniri i nenti e si spagne cume nua”.

Un attimo di silenzio, la paura adesso esce fuori. Come era successo con Fiorinella.

“E si chiamamu i carabinieri ?”, fa eco Fiorina .

Ed ecco che si materializzano.

I carabinieri vedono il gruppo di donne e si fermano.

Un attimo, e resta solo la zia Maria.

I carabinieri, allora, se ne vanno.

“ Guagliu’ “ Dice zia Maria, alzando la voce per farsi sentire dalle altre donne nascoste dietro le proprie porte .” Iu vaju alla ghiesia. Sapiti adduvu mi trovari…..,si succede ancuna cosa. Vua diciticcellu alli mariti vostri. Ah, unni risbigliati i guaglioni. Oj scola un ci nne’. Nua, forsi facimu buonu a pregari, cumu unn’avinmu mai fattu.”

 

Quarta scena

Protagonisti

Vicienzu du bar

Annuzza a mugliera

don Cicciu

u maresciallu di carabbinieri

u sinnicu

altri

 

Anna e’ sulla porta del bar.

Vici’, vicì a gente sta desciennu.

Ah, buonu, buonu, accussi cominciamu a fari nu pocu i cafe’.

Risponde Vincenzo.

E comincia macinare altro caffè.

La gente entra. Fa freddo. Un caffè riscalda il corpo, anche se e’ lo spirito che occorrerebbe riscaldare.

Il bar e’ pieno anche se e’ ancora notte e le luci della pubblica illuminazione sono accese.

Intanto si sente il secondo tocco della messa mattutina: sono le sette e un quarto.

Vincenzo, si accorge che la gente nel bar e’ silenziosa.

Ognuno ha un rapporto particolare con la propria tazzina di caffè.

Ognuno la guarda, la gira, la stringe nella mano, quasi a riscaldarsi, o forse per trovare sicurezza in una forma comune, ordinaria, quotidiana, antica…...

Ma non sembra che trovino ciò che cercano,anzi forse proprio la tazzina da’ corpo ai pensieri più nascosti, alle preoccupazioni più celate.

Vincenzo cerca di smuovere la situazione; e comincia con le sue barzellette.

Uno solo ride.

Tutti gli altri lo guardano senza vederlo.

Ognuno e’ con i propri pensieri.

Anna lava le tazzine, nervosa, poi esce fuori.

Giovanni la guarda come a chiederle che cosa vede.

Anna si avvicina e gli sussurra qualcosa negli orecchi.

Giovanni diventa serio.

Entra don Ciccio.

Più alto degli altri, corpulento, don Ciccio era sempre stato chiacchierato.

No, non che alcuno sapesse, ma uno come lui, che era notoriamente più intelligente degli altri, faceva un po’ paura.

Con lui pochi riuscivano a chiacchierare.

Se si trovava in buona compagnia era brillante, frizzante, simpatico.

Se qualcosa gli andava storto tirava certe botte! ; poche parole ma che sferzavano violente come sciabolate nell’aria.

E poi quando ti guardava pareva che ti leggesse dentro e ti mettesse a nudo.

Ma tutti lo accolsero con un “Buongiorno don Ci’”

E lui guardando tutti, “Buon giorno allu cazzu.”

“Adduve’ su juornu.? Mancu vua c’iaviti capitu nenti, eh ?.” E lu culu vi fa qua,qua.”

Ecco, era lui , sempre lo stesso. Attaccava .

“Don ci’ u cafe’.” , fa Vincenzo

“No,….nu cappuccinu”

Risponde don Ciccio

“Cullu cacau i supra ?”, fa Vincenzo

“No , Vici’, u sa cun mi piace.”Conclude don Ciccio e poi rivolto a tutti i presenti,

“Allura chi voliti sapiri ?”

Silenzio .Nessuna risposta

“Chi ni piensu iu ?. O miegliu , chi sacciu, iu ?”

Tutti stavano con la bocca aperta .

“Chi sapiti, don Ci’ ”

Dice il fesso di turno.

Intanto arriva il cappuccino e lui comincia a sorseggiarlo.

“Sacciu…….”

E via un altro sorso.

“ Eh, eh,…….. Sacciu …….

E tutti restano sospesi come in attesa di una parabola del Signore

Sacciu …….ca u sulu s’e fermatu “.

“ Cumu, cumu…? “fa Vincenzo

Intanto tra gli astanti, sottovoce .

“Cu dillu un sa mai si ti piglije pè culu o si sta diciennu a verita’ “.

“ Cittu, cittu, fammi sentiri “ , continua Vincenzo e don Ciccio continua

“ Sacciu ca u sulu s’e’ fermato . E’ telefonatu all’america . E là u sulu e’ mpittu allu cielu ca su sia o sett’ura “.

“ Cumu, cumu ?“. fanno in coro.

“ Eh chi vo’ diri ? don Cì, chi vo diri? “, sempre in coro.

Don Ciccio li guarda negli occhi, uno dopo l’altro, gli occhi e lo sguardo seri, poi esclama

“ Vo’ diri ca a terra un gire chiù “.

Silenzio. Intanto la gente era anche sulla porta del bar.

Un tam tam silenzioso aveva portato tanta gente vicino al bar. Le teste si alzavano; qualcuno in punta di piedi .

“E mo chi succede? “ , fa qualcuno dal fondo

“Difficile da dirsi.”, risponde don Ciccio

E tra gli astanti, “Minghia sta parranno sul serio; quannu parre in italiano u chiu’ di voti dice la verità.”

“E’ come se si fosse fermato il tempo”, fa don Ciccio “Ognuno conserva le condizioni che aveva in qual preciso istante in cui si è fermata la terra”.

“E mo adduve nua chi ura e’?”, chiede un astante.

“Se sono vere le informazioni che mi hanno dato, e’ circa mezzanotte “

“Allura u sulu d’escje n’atri sia uri ?”, continua il solito che non capiva mai niente

“Si , se la terra ricomincia a girare “ conclude don Ciccio

Poi uno dei presenti, “Don Ci’, don Cì…….. e sun n’asce “

Lui lo guardò, fulminandolo.

Sembrava che il tempo si fosse fermato due volte.

Anna era con le mani sotto la fontana, la testa bassa ma non riusciva a lavare più una tazza.

Giovanni non macinava più caffè, stava con le mani conserte e si toccava .

I presenti si guardavano l’un l’altro.

Ed infine don Ciccio:

“E sun’nasce ……su cazzi pè tutti. Ja , jativinni alla casa vostra e dicitici alli vuostri chillu ca e’ successu, e’ giustu ca u sanu. Pua china tene fida si mintisse a pregari “.

Ma prima di andare via si fermano alcune auto.

Entrano i carabinieri e Vincenzo .

Buongiorno. Marescia’ ch’è successu?.

Ed il maresciallo

“Ancora il comando non ci ha fatto sapere niente” .

E don Ciccio non potè trattenersi, “Marescia, puru vua siti allu scuru?”.

La risata fu spontanea e liberatoria; pure il maresciallo si mise a ridere .

Poi dal fondo

“Vu dicimu nua chillu’ ch’è successu”. U munnu s’è fermatu”.

E poi

“U sapiti ca all’america u sulu ancora addi puniri”

Ed ognuno diceva la sua o quello che gli veniva in mente.

Don Ciccio non era più nessuno.

Detto ai carabinieri, si poteva dire a tutti.

Trenta secondi ed il bar era vuoto.

“Don Ci’” fece il maresciallo. “ Ma e’ vero quello che hanno detto?”.

E don Ciccio

Potrebbe esserlo; e’ una spiegazione plausibile, logica, per quanto inverosimile.

Il maresciallo si avvicina a don Ciccio

Parlottano.

Poi il maresciallo gli tende la mano,

“Grazie don Ci’”

Ed escono.

Anna , svegliatasi. “Don ci, chi ciàviti dittu?”.

E don Ciccio scosse la testa.

“Quant’e’?. Chiese don Ciccio.

“Nenti , nenti don Ci’, offro io”. Disse Vincenzo “Ma va puozzu fari na domanda?”

Don Ciccio abbassò lievemente la testa

Nua c’amu i fari?. Continuati a fari cafè, si vi fermati puru vua amu fatti daveru culli cazzi!.

Restano solo in tre .

Al tocco della terza campana don Ciccio sta per uscire.

Entra il sindaco e fa “Buongiorno don Cì ”

“Buongiorno sindaco” risponde don Ciccio

Don Ci’, che vi offro?. Fa il sindaco

Grazie sindaco ho già preso un cappuccino

Risponde don Ciccio

Don Ci’ con questo freddo…. qualche cosa di caldo….

Insiste il sindaco .Era un invito, il sindaco voleva sentire se la voce che gli era arrivata era giusta

“Va bene grazie” dice don Ciccio

E rivolto a Vincenzo :

“Un altro cappuccino,………. senza cacao“

Anche per me , dice il sindaco.

E don Ciccio

“Ci sediamo ? “

“Certo“ risponde il sindaco

“Allora sindaco, preoccupato ? “ fa don Ciccio

“Be’ don Ci, c’e’ da esserlo ! E lo so, ho parlato con i carabinieri ed anche loro sono stati allertati. Ma qui non e’ un fatto di protezione civile“.

Vincenzo ed Anna ascoltavano.

E don Ciccio, quasi in un sussurro.

“Vincienzu ed Annuzza teninu i ricchije chiu’ longhi i nu ciucciu“.

Il sindaco sorride.

Intanto entrano molti altri avventori.

Al banco od al tavolo .

Vincenzo quasi in silenzio

“Cafe’? “

Cenni di testa.

Don Ciccio alza la voce.

“Dicevo che non e’ un fatto di protezione civile. A questo problema non potete rimediare , ne voi, ne’ io. Io credo che quanto vi ha riferito il maresciallo sia la cosa più logica, in questi casi“.

“Si, ma io in chiesa , che c’entro“.

Dice il sindaco

“Sindaco, se convocaste il consiglio, la gente crederebbe che siete in grado di fare qualcosa, e noi sappiamo che non e’ vero. In chiesa siete come gli altri, ma la vostra presenza può dare il segno che la politica non può fare nulla e nessuno vi accuserebbe di alcunché , anzi un sindaco che si rivolge al Signore e’ apprezzato come uomo.

Ma soprattutto la vostra presenza eviterebbe scene di panico, un sindaco e’ sempre un sindaco. In questi casi occorre parlare alla gente“.

Il sindaco era stato attentissimo, poi dice

“Don ci , se voi dite così forse e’ giusto. Ma ditemi davvero avete telefonato in america ?.”

E don Ciccio

“Sindaco, a voi hanno detto cose diverse dalle mie ? So che anche voi avete telefonato“.

“E chi ve lo ha detto don Ci’. “

Chiede il sindaco

“Na palummella. A stessa ca ma dittu ca u maresciallo che ha telefonato allu capitanu che ha subito telefonato al capo di gabinetto e questo ha avvertito il prefetto. Pe’ essiri na cazzata ha fattu troppa strada. Vi pare? “

Ribatte don Ciccio

“Allura vua dicite ca è jiri in chiesa. E quale? “.

La domanda del sindaco appare un po’ stupida

“Alla matrice. In questi casi si va nella chiesa principale“.

Don Ciccio mette la mano alla fronte come a porgere un saluto

“Allora vado!. “

Conclude il sindaco

“Con la famiglia, chiamate vostra moglie e vostro figlio. E la giunta .U stessu. Dice don Ciccio

“!E pua?. “ fa il sindaco

“I carabinieri davanti a ghiesia . I vigili in giru, pe’ lu paisu. Ogni quartu d’ura vani veniri a diri i novita’.” Continua don Ciccio

“E chi manu i diri?”.fa il sindaco

“Nenti, ma a genti unn’addi sapiri. Accussì a gente capisce ca vua pregati ma stati faciunnu ancuna cosa…..”

Poi il sindaco sempre più perplesso

“Se, don ci; ma dicitimi na cosa. Ma vua chi pensati, chi po’ succediri?”

E don Ciccio

“Sinnucu mia. S’u munnu nun ricumince a girari su cazzi pe’ tutti. A duv’e nua u sulu un’nasce chiu’ e senza sulu nua un potimi campari. Se il mondo restasse fermo avremmo poche zone vivibili ma la nostra non lo sarebbe”.

“Allora io vado”. Fa il sindaco e poi aggiunge “E vua?.”

“Vi raggiungo tra poco”. Dice don Ciccio

Il sindaco va via.

Vincenzo.

“Don ci’ ?”

E scosse leggermente il capo a dire : “Chi?, o meglio, c’amu fari?.”

“Vici’ . S’un nasce , su cazzi. Pe’ tutti.”

E don Ciccio esce

 

Quinta scena

 

La chiesa era piena.

Molte macchine davanti la chiesa .

Arriva il sindaco con la macchina dei carabinieri.

Porta la fascia di primo cittadino.

Sale le scale.

Appena entra in chiesa si fa il segno della croce.

E dentro la chiesa

„U sinnicu, u sinnicu“.

E mentre si avvia verso l‘altare la gente „Sinnicu dicitini ancuna cosa”.

Il sindaco saito sull’altare , parla con il prete e poi rivolto ai fedeli.

“Cari amici, il momento e’ grave. La terra si e’ fermata ; in alcune parti come da noi c’e’ la notte, in altre il tramonto, in altre l’alba , in altre il pieno giorno. Il fenomeno e’ inspiegabile.

Gli scienziati stanno studiando questo fatto che non e’ mai avvenuto, ma non riescono a capirci niente. Il governo e’ impotente. In questo momento i capi di stato sono in riunione a Bruxelles. Noi non possiamo niente. Se non pregare. Pregare come non abbiamo mai pregato. Pregare che il signore che faccia risorgere il sole”

dal pubblico dei fedeli si sente “ Sinnicu….. e sun n’asce?.”

“Prenderemo i provvedimenti giusti ed opportuni. Saranno azioni concertate con tutto il mondo. Non sarà facile, ma con l’aiuto del signore ci riusciremo”.

Poi, prima ancora che altri facessero domande, porge il microfono al parroco.

“Ave Maria….”

La chiesa si riempie di un brusio sommesso, ma consistente .

Il sindaco si siede in prima fila .

Ogni tanto si avvicina un vigile od un carabiniere.

Intanto sale anche don Ciccio.

Il brusio delle preghiere si interruppe.

“E’ don Ciccio. Ah , manu dittu ca illu u sapie. Dicica ci’l’a spiegatu a tutti . Adduvu s’e’ assettatu. Unnu vidu. E’ la’ arrieti a colonna. Vì si ci portunu na seggia, vi’?.

Fa zia Maria seduta in seconda fila .

Poi insiste con una donna vicina:

“Facci signu, facci signu, a don Ciccio, ca ni stringimu”.

Ma poi si gira lei, guarda l’amico e dice

“Ci’, Ci, vieni”.

E le donne si stringono.

Don Ciccio capisce, percorre a lenti passi la navata centrale e si siede.

“Buon giorno Ci”.

Dice Maria

“Buongiorno, Marì”.

Risponde don Ciccio

“Cum’unne’ tu alla ghiesia?”

Insiste Maria e don Ciccio

“Eh … quannu c’e’ bisuognu ,u sa ,mi furgu sempri. Ma ,ma dicimi, chi voliti sapiri?

Poi Maria un po’ piccata dice:

“No, nenti,……chi ti piensi ca te fattu posto pe’ sapiri?”.

“Se”. Risponde Ciccio

Le donne intorno si guardano

“Mancu mo, u pugljiamu pe fissu. Aviti ragiunu, don ci. Volimu sapiri, chi ni pensati”.

E don Ciccio brevemente le informa.

Appena finito il banco rimane vuoto.

E così quello di dietro.

Le donne, si sa hanno un buon udito, certe volte sentono anche il non detto.

Ognuna di loro prende posto in un altra fila e si mette a raccontare .

Don Ciccio volge la testa verso la zia Maria e le fa un piccolo segno di intesa .

La zia Maria dice. “Ci’, ti spagni?”

“No, Mari’, E’ gia’ prenotatu u bigliettu pe’ l’america. La’ a nevi jorchi su li setti da sira, fa friddu ma almenu e’ juornu”. Dice Ciccio

“Eh, tu si chiu’ guagliunu i mia” fa Maria

“Marì si vo veniri adduvu vaiu iu c’e’ postu puru pe tia” dice Ciccio

“Ti ringraziu ma iu signu vecchia”. Dice Maria e poi

“A vua vi pigljunu tutti, vua siti intelligenti…”

“E a tia puru, Mari’, tu si saggia e puru bona i cori. Pensici. Conclude Ciccio

“Seh, ci pienzu. Ma a vo sapiri na cosa?”

Fa Maria

“Zi mari, u sacciu chi pienzi”. Completa Ciccio

“Ni si sicuru?.” Fa Maria

“Se!. Tu piensi ca un c’e america ca tene, si daveru u munnu s’e’ fermatu un c’e’ misericordia pe’ nessunu.”

Dice Ciccio.

“Cià ncarratu, tu daveru sa lejiri u coru da genti. Ma puru iu Ci’.Fa Maria

“E dintra u miu chi c’e’ scrittu ?”.

Chiede Ciccio.

E Maria lo guarda e risponde

C’e’ scrittu ca tu sa ca u sulu ritorne. E ca a genti s’arricorde pe’ sempri i su fattu e nu pocu divente chiu’ bona. Peccio’ ha mannatu u sinnicu alla ghiesia, cu tutta a famiglia e cu tutta a giunta”.

Poi Ciccio

“Zi mari, ma dicimi na cosa. Tu daveru ha pensatu ca tuttu u malu hanu fatto loru?”

E Maria

“No, no ci’. A prima peccatricia signu iu. Ma certu un signu sula.”

“E china unni tene, oj Marì?.” Fa Ciccio

“E’ sempri dittu ca ognuno tene lu muortu intra a cascia. China tuttu sanu e china nu jiritiellu. A fricatura e’ ca i casci su sempri chiusi Nessunu i nua ci va sbie, ogni tantu.

Nessunu ca guarde versu arrieti pe’ vidiri si supra a strada da vita sua ci’a lassatu rose o spini. Ognunu si guarda la viertula sua, i sentimenti su favuzi, ed la vita e tutta na cummedia , cum’e’ chissa jojata ca stamu faciennu”.

Maria : Cì u sa chi penze la gente ca e’ ca’ ddintra?. Penze ca e’ misa bona Si c’e’ lu sinnicu ca sa sempri vistu a viertula sua a cosa e’ bona. Seh,… si si perde d’illu ni perdimu tutti, si si sarbe d’illu ni sarbamu tutti.

E Ciccio: “E lu signuru?.”

Maria “E sulu nu strumientu, na scusa . Peccio’ ha fattu veniri u sinnico?”.

Ciccio “Se, Mari’”.

“Ma si pua u sulu d’esce illu s’inni vante” . dice Maria

“U sacciu. Dice Ciccio. Ma intanto e ca’ cumu tutti l’atri e vi ci’ha truvatu. Scommettu ca a ghiesia ha raputa tu”.

E Maria :”China t’a dittu?”

E Ciccio: “Na palummella. Puru ca un c’è sulu , ci su sempri i palummelli.”

Don Francesco, intanto, tiene una omelia sulla fine del mondo e schiaffeggia le coscienze di tutti.

Stanno tutti con la testa china.

Ancora non comincia ad albeggiare.

“Mari’ sta nascijennu u sulu”.

“Cumu u sa’, Ci’?” chiede Maria

“Ohj, mari, un tinni si accorta ca a temperatura s’e’ dazata; ca fa menu friddu i prima”. Dice Ciccio

Maria sbatte la capu.

“Chide’ Marì”. Fa Ciccio

“Ohi ci, si sempri chiu’ spiertu”. Gua’, Ci’, s’a cosa se’ risolta ti mieriti nu cafè”. Dice Maria

“Minnè pigliati già dua”. Fa Ciccio

“Di mia, no”. Dice Maria

“Va buonu, jamuninni”. Dice Ciccio

E si avviano sotto braccio verso l’uscita.

La gente li guarda.

Ciccio da un lato e dall’altro la zia Maria

“Ni jamu pijiamu nu cafe, vua continuati, ca n’atru pocu nasce lu sulu.

Ma unn’a lassati a ghiesia finu a quannu unnu viditi chinu. M’arraccumannu”.

Così disse zia Maria alle sue amiche ma facendo in modo che sentano tutti.

La gente ci guarda strana, ma con dentro un sentimento di speranza.

Dopo poco più di mezzora sentiamo le campane suonare a festa , i clacson delle macchine strombazzare.

Era nato il sole, la gente tornava per le strade.

Era finita la brutta paura.

Don Ciccio si avvia verso casa .

Ma la gente era tutta distratta , nessuno si interessa di lui.

Però non era andata male, la zia Maria fa sempre un buon caffè.

Giuseppe Marchese

 

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Il piccolo marciapiede, d’estate ricco di vita, ora, sotto la pioggia, era deserto.

Ma, dentro il negozio, nell’angusto spazio per il pubblico, diverse persone -forse otto, dieci- trascorrevano, usualmente, il tempo;

celiando e guardando, ogni tanto, fuori della vetrina.

Ecco, stava passando Giovanni, in auto; si era voltato un attimo per vedere chi ci fosse dentro ed era stato riconosciuto.

L’aveva visto Pasquale, chiaramente, anche se tra la pioggia battente ed il vetro del finestrino.

E poi, Pasquale, proprio quella mattina, s’ era comprato le nuove lenti, e c’era da giurarci -come fece- che fosse il povero Giovanni.

Eh, si! . Giovanni, l’ignaro cornuto, il becco, cento volte becco.

Ed ognuno raccontò di Giovanni; o meglio, della sua signora.

Ed in tanti anni di tradimenti, ce n’era da raccontare.

Ma erano tutte cose risapute che non avvincevano più e così tornò il silenzio.

E così Pasquale ne approfittò “ Beh, disse, vado a prendere il giornale, prima che l’edicola chiuda. Vi saluto”

Ed uscì, protetto dal vecchio e logoro ombrello, il cui nero originario era ormai un grigio chiaro.

Non fece in tempo ad uscire.

“ E che cazzo !. Sono vent’anni che usa lo stesso ombrello. E, poi, con lui non si riesce mai a parlare delle notizie del giorno; sono vent’anni che aspetta la sera per farsi dare il giornale ed infilarsi a casa a leggerlo”

Ed anche il povero Pasquale, così, fini nell’arena, trafitto dalle banderillas e poi matato dal torero.

Intanto passava il tempo.

Ciccio batteva il piede ritmicamente. Era ospite di un suo compare del quale aveva preparato la figlia per gli esami di stato; il compare aveva la terra a Colongi e faceva due maiali all’anno.

Era da Natale che gli mancava una buona cena.

Ma Ciccio era anche preoccupato di uscire: si era confidato con Mario dicendogli della cena.

E così gli si avvicinò quatto, quatto, fidando della serietà dell’amico e lo pregò di non farne parola.

“ Ma scherzi, Cì ? Io sono una persona seria”, si lasciò scappare Mario, cogliendo proprio un attimo di silenzio degli amici.

Ma tutti diedero ad intendere di non avere capito e Ciccio, convinto di essere al sicuro, salutò ed usci.

Fu un attimo.

“ Ma che e’ successo? “ , chiese Vincenzo. E tutti gli altri parlarono con gli occhi.

Mario si senti le gambe deboli; capì immediatamente di essersi esposto; ora era lui al centro e da lì, da quella brutta posizione non ci si defila e tantomeno si scappa.

Decise di salvarsi, e parlò.

Raccontò che Ciccio era andato a mangiare dal suo compare di Colongi; disse, anche, che, ovviamente, come sempre, ci sarebbe andato a mani e pancia vuota; forse aveva persino digiunato a mezzogiorno.

“ Bell’amico”- rispose qualcuno- Ci lascia tutti qui al freddo e lui va a riempirsi la pancia “

E l’eco:

“ E cumu sa d’inchie!”.

“ Un si lasse scappari mai n’occasiona pe’ jiri a sbafari. Puru alli buffè ”

Saliva. La Temperatura saliva.

Poi Vincenzo.

“ unne’ ca e’ parientu a chillu ca va alli ristoranti, ristoranti, quannu ci su li matrimoni, pè s’abbuschjari ancuna cosa ?”. “ Cumu si chiame?”

E giù risate.

Ormai che c’era , intervenne anche Mario.

“ Pero’ na cosa avim’i diri, festi e festicelli i sa stagiona un cinni sunu. A vistu cumu ere dimagritu?

E giù risate.

Ma pure qualche brivido. Si era messa male, quella sera. Ne erano tutti consapevoli. Occorreva scendere di tono. In fondo erano tutti amici.

Ed allora si cominciò a parlare della Amministrazione, dei partiti, della classe politica.

Ma l’argomento non affascinava; erano tutte cose trite e ritrite. Non c’era nessuno scandalo in vista ed il tempo uggioso non invitava alle fantasie parapolitiche.

E venne la nostalgia. Prepotente, preoccupante .

Il discorso si avviò indietro verso il passato, verso gli anni sessanta, famosi, mitici, con la loro vitalità culturale che dava tono e spessore alla stessa cultura amanteana.

Ed ognuno contribuiva; ognuno si sforzava di crederci, o –forse- ci credeva davvero.

Magari tutti pensavano al loro salotto, al camino, alla televisione, ad un buon bicchiere di brandy; ma queste cose facevano sembrare vecchi- meglio non dirle.

“ Oh, ha smesso di piovere” esordi Vincenzo , d’improvviso. E lasciò cadere giù la frase, nella speranza che qualcuno gli facesse da spalla e suggerisse di andare via.

Ma nessuno si mosse, nessuno parlò.

“ Che cazzo di fregatura” pensò ,tra sè e sè , Mario. Gli sembrava fosse tardi; lui domani mattina doveva andare a Cosenza e doveva alzarsi presto. Ma non osava scoprirsi, non osava nemmeno guardare l’orologio.

Aspettava impaziente che il discorso si portasse su qualcuno; magari qualcuno che passava; così, da poter sgattaiolare di fretta mentre erano a metà della mattanza così da non dare agli amici tempo di reagire.

Ma niente. Non passava nemmeno un cane. Solo ragazzini.

“ Cazzo”, pensò. “Vuoi vedere che e’ finito il film? Ma allora e’ proprio tardi?”

Allora incrociò le braccia, facendo scoprire l’orologio. Lasciò un po’ di tempo per paura che il movimento fosse stato colto.

Gli venne in aiuto Vincenzo.

“ Sono quasi le otto. E’ ora di andare”

Ed uscì davanti alla porta, aspettando che uscissero anche gli altri .

Mario era indeciso; pensava “ Se usciamo insieme a chi di noi due crocifiggono? A me, a Vincenzo, a tutti e due?

Chissà perché gli venne in mente Cristo. Cristo tra i due ladroni .

Un attimo, si fece coraggio, salutò tutti ed uscì, non senza lanciare a chi restava uno sguardo supplichevole.

Quello che vide non gli piacque. Gli altri erano tranquilli, non sembrava avessero fretta di uscire .

Salutò Vincenzo e svoltò l’angolo.

Si fece velocemente il segno della croce.

Anzi allungò l’indice e l’anulare della mano destra ed infilò la mano in tasca.

Aveva paura. Le altre volte l’aveva pagata cara. Le fitte lo avevano colto all’improvviso forti, violente.

Ne aveva anche parlato con il medico di famiglia; ma se ne era pentito; si era preso uno sguardo intenso , senza parole, che lo aveva mortificato.

Ma sembrava tutto normale. Era arrivato a casa e non aveva sentito niente. Meno male ! Forse se ne erano andati tutti, o forse avevano preso di mira Vincenzo .

“ Sicuramente stanno scannando Vincenzo; eh,eh”

Non era così.

Lo stavano massacrando ricordando che doveva andare a letto presto perché la mattina doveva alzarsi presto per prendere il pullman lasciando la moglie, ancora piacente, tra le calde lenzuola dove veniva spesso raggiunta dal suo amante che prima verificava che Mario fosse salito sul pullman .

E pensare che con il suo stipendio si sarebbe potuto comprare un’auto e partire per Cosenza molto più tardi.

Eh, eh. E’ sicuro , Vincenzo sarà uscito e lo stanno scannando ”

Non fece in tempo a dirlo che si piegò improvvisamente di lato, la mano sul muro delle scale, ansante, perché una fitta improvvisa lo aveva colpito al fianco sinistro.

Erano loro !

Si riprese quasi subito; fini le scale ed entrò a casa.

Si mise le pantofole. L’ambiente caldo della cucina lo confortò; si mise a leggere il giornale; per atteggio non per interesse; la sua mente era ancora là, tra gli amici.

Si chiedeva cosa stessero facendo. Ed intanto pensava di essere come il Totò di “ non e’ vero, ma ci credo”.

“ Che stupido” si disse; sono un professore !

Manco il tempo, che ecco una altra fitta; più forte, che lo fece sussultare.

La moglie lo guardò sorpresa .

“Niente , niente” .

Stava per alzarsi e riuscire ; aveva fatto male a tornarsene prima.

“ Tonì, ma fa fari na telefonata? Disse Nicola

Tonino da attore navigato alzò gli occhi al cielo; sempre la stessa soluzione del cacchio. Telefona alla moglie che gli dirà di tornare subito perché c’è gente a casa e poi con fare mesto ed allargando le braccia dirà: “Mi dispiace, non era previsto. Sono costretto a lasciarvi, avrei voluto finire con voi la serata….. Purtroppo…. Voi mi scuserete…..”

Gli altri compresero ma trattennero il sorriso.

E così fu. Esattamente così, parola per parola, pausa per pausa.

Nicola assentiva al telefono da dentro il quale si sentiva la voce querula e sorpresa della moglie .

Poi uscì, volgendo dal vetro della porta un ultimo sguardo agli amici.

“Tonì! Sei un attore! , disse Rocco e Tonino sorrise.

Poi Rocco : “ Ma chi fissu! S’è capitu ca a mugliera cià dittu : Ch’è successu ……? E chiù nenti. Ma si facisse chiamari i d’illa! Mo ……….. si spagne ca ci cantamu i corna. A tutti ma mai ad’illu.

Povariellu, tene la mugliera chiù brutta du paisu ca pè ci fari i corna avisse di pagare l’amanti!

Ora erano rimasti soltanto Peppe, Rocco e Tonino.

Ormai era tardi; ma nessuno di loro aveva il coraggio di uscire .

Tonino chiuse la cassa; tirò i conti; si mise i soldi in tasca; chiuse il sacchetto della spazzatura e lo pose vicino alla porta .

Ecco aveva finito il rituale serale . Era ora di chiudere .

Il silenzio ormai impregnava l’aria pesante come un macigno .

Poi l’autodifesa e la sagacia la ebbero vinta .

“ Amici”, disse Peppe , “ E’ ora di andare”.

“Tinni và ? “ chiese Rocco.

“ No, no” , disse Peppe scandendo le parole , “ninni iamu”

“Ru’ , e ninni iamu tutti insieme e pè tri stradi diversi.

Sentiti a mia , chè la meglia cosa!”

“po’ esse” rispose Tonino .

E cosi’ fu.

 

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