L’associazione Orsolab Orsomarso, attraverso una missiva datata 31 marzo 2023, indirizzata al Sindaco di Orsomarso, Alberto Bottone, ha richiesto l’attivazione e l’installazione dei defibrillatori in possesso dell’ente nel territorio di Orsomarso. “Nel mese di dicembre 2022,- hanno dichiarato i soci ed il presidente di Fabio Perugino,- abbiamo promosso un corso di formazione per l’utilizzo e l’uso del defibrillatore in caso di emergenza presso la sala comunale Mercurion, con l’associazione Kataros Salvamento APS, centro accreditato presso la Regione Calabria per il rilascio della certificazione che forma l’operatore a norma dell’art . 1 comma 2 della legge n°120 del 3 aprile 2001. La promozione dei corsi per il corretto uso del defibrillatore,- dicono i membri del sodalizio- ,- ha lo scopo di aiutare la popolazione nell’affrontare le emergenze sanitarie gravi e di abbattere il divario sanitario esistente in tutto il territorio regionale, per mancanza di infrastrutture, ospedali, guardie mediche, mezzi e personale che potrebbero salvare in tempo utenti con problemi cardiorespiratori e cardiocircolatori. Considerando che, - continuano i soci Orsolab ,- nel territorio vivono diversi operatori abilitati, si è ritenuto opportuno chiedere al Sindaco di attivare le procedure per far diventare la comunità di Orsomarso un comune cardioprotetto. Lo finalità della richiesta è di utilità sociale e punta a colmare un handicap che pregiudica le sorti della nostra zone, sprovvista delle minime garanzie di salvaguardia della salute dei cittadini. Si spera cosi, -hanno concluso,- che la presenza dei defibrillatori scongiuri il loro utilizzo e dia più sicurezza al nostro territorio, alla nostra popolazione ed ai nostri graditi visitatori”.
Quando il potere è comodamente stabile e sereno nelle sue convinzioni; quando la sua coscienza crea la nebbia necessaria ad avvolgere gli uomini oppressi e convincerli di essere creature inferiori, orgogliosi della loro condizione servile, in quel momento entrano in campo gli intellettuali, usignoli dei moderni re, a loro agio con sé stessi, essendo i loro maestri scrittori-ombra dei loro indifendibili discorsi politici.
Ascolterò il cambio
dei marosi e sarà
come la Morte
ingannata dall'uomo.
L’imposizione del coronavirus sembrava una sofferenza difficile da sopportare. Questo avveniva mentre l’uomo si ritrovava nella condizione in cui tutta l’umana modernità, la potestà tecnologica, la globalizzazione, il mercato, ciò che in sintesi chiamiamo progresso, si trovava improvvisamente alle prese con la “semplicità dell’esistenza”, come direbbe banalmente un credente.
Questo, mentre contavo i passi del mio terrazzo a Beaumont sur Mer durante la quarantena, e mentre riaffioravano alla mente immagini un po’ sbiadite, del sottoscala del dipartimento di lingue Romanze presso l’Università dell’Alberta in Canada e il fraterno amico Emilio alias Zapata si mise a raccontare la strana avventura dell’uomo che osò sfidare gli dèi, che osò sfidare la morte. Il suo nome era Sisifo.
Seduto al lungo tavolo di fronte a me notai lo sguardo perplesso del caro amico Peter Cole. Interruppi di contare i passi e rientrai alla ricerca di Sisifo nei libri sugli scaffali. In una delle tante leggende si racconta che Sisifo, Re di Corinto, fosse figlio di Prometeo (il titano che aveva donato il fuoco agli uomini) e che un giorno avesse visto Zeus violentare una bella ninfa, figlia del dio fluviale Asopo. Interrogato da Asopo su chi avesse rapito la figlia, Sisifo gli rivelò quel che aveva visto. Zeus per punizione gettò Sisifo nell’Ade.
Sisifo (che già una volta si era preso gioco della morte facendola ubriacare) aveva avvisato la moglie di non seppellire il suo corpo qualora fosse morto; così, non avendo ricevuto gli onori funebri, la sua anima era costretta a vagare alle soglie dell’aldilà, motivo per cui, furbamente, riuscì a persuadere Persefone (la sposa del dio degli Inferi) a farlo tornare sulla terra per tre giorni, affinché potesse convincere la moglie a dargli degna sepoltura.
La dea acconsentì ma ovviamente Sisifo non aveva alcuna intenzione di tornare e quindi rimase sulla terra. Tuttavia gli dèi lo catturarono nuovamente e, quando tornò nell’Ade per la seconda volta, la sua punizione fu durissima: la “fatica” che abbiamo descritto sopra, che l’ha reso celebre e proverbiale presso la posterità. Ebbene, per gli antichi quello di Sisifo è un altro classico esempio di empietà punita: chi sfida gli dèi viene sempre punito!
Ricordo ancora che lo sguardo di Peter Cole coincideva con le mie perplessità dovute in parte a ciò che scriveva lo scrittore Albert Camus, secondo il quale Sisifo rappresenta l’umanità, quell’umanità che è sempre in «cammino» nonostante i suoi limiti, nonostante «il macigno rotola ancora», quel macigno che ognuno di noi, tra le mille avversità della vita, continua malgrado tutto a spingere, contro tutto e tutti (anche contro gli stessi dèi).
Oggi l’espressione “fatica di Sisifo” è usata per indicare un lavoro inutile che, per l’appunto, richiede grande fatica senza raggiungere risultati. Eh già, perché la pena alla quale Sisifo era stato condannato negli Inferi era quella di spingere per l’eternità un enorme masso su per il pendio di un monte, ma una volta arrivato in cima lo stesso masso rotolava giù e costringeva Sisifo a ricominciare daccapo senza fine. Per l’uomo non è importante essere un genio: Ha già problemi a sufficienza nel cercare di essere solo un uomo.
Ritornato sul terrazzo, guardai il mare di Ulisse e dimenticai di contare i passi, mentre le parole di Camus mi rimbombavano nelle orecchie: “La lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo”. Ecco, a me non piace guardare a Sisifo così, come l’essere umano, che lotta contro il suo apparente destino, perché è il lottare che esalta l’uomo, è l’incessante forza che mette nella lotta che lo rende ‘divino’ più della divinità stessa.
Camus pensava di aver individuato in Sisifo l'icona dell'assurdo, notando che “il suo disprezzo per gli dèi, il suo odio per la morte e la sua passione per la vita gli valsero quella pena indicibile in cui tutto l'essere è proteso verso il non realizzare nulla….La grandezza dell'uomo è nella decisione di essere più forte della sua condizione"
Gigino A Pellegrini & G elTarik
L’amicizia non è una conoscenza fatta di sabbia che alla prima mareggiata la vedi scomparire. Spesso le persone gridano, quando sono adirate, solamente perché i loro cuori si allontanano molto. E devono coprire questa distanza, in qualche modo, prima di potersi ascoltare di nuovo.
L'importante è che si misurino con le parole, altrimenti arriverà un giorno in cui la distanza fra i due cuori sarà tale da non farli incontrare mai più."Parceque c'était lui, parce que c'étaitmoi" (È stata colpa sua, è stata colpa mia). Queste poche parole di Montaigne risuonano come un'ode all’amicizia .
In LesEssais, il celebre autore ritrae un rapporto di amicizia simbiotico, stabile e completo. Perdere un amico o una persona in cui si crede, o comunque di qualcuno che per noi ha un grande valore lascia in genere un grande vuoto. Questo è quello che appare.
La sensazione che proviamo la descriviamo come “vuoto” poiché si tratta di una sensazione nuova o non comune in cui ci sentiamo assolutamente impotenti e vulnerabili. All’apparenza sembra che improvvisamente qualcosa manchi, che si sia liberato un posto che nessun altro possa occupare, poiché, certamente, chi perdiamo è e resta, per la sua essenza, insostituibile.
L'amicizia è quasi un amore ragionato e ragionevole, basato su fedeltà, fiducia e intimità, che non conosce timore. Si rivela dunque un rapporto più rassicurante di una relazione amorosa. Consideriamo l'altro come un nostro doppio ed è per questo che perdere l’amicizia di una persona può essere associata alla perdita di una parte di noi stessi.
Risultato: la fine di un’amicizia può essere estremamente dolorosa. Per rassegnarsi di fronte alla perdita di una amicizia, è necessario innanzitutto conoscere le dinamiche di questo tipo di rapporto, spesso a noi estranee. A ben pensare la perdita di un amico “particolare”, in realtà rappresenta per il nostro io un vero e proprio scossone, che richiama una tale serie di sentimenti sensazioni, paure, dolori, sensi di inadeguatezza, che la nostra mente non sa altro che chiamare “vuoto”.
Alcune amicizie diventano nocive, ma è difficile rendersene conto o ammetterlo. Tendiamo, giustamente io credo, a proiettare sugli amici i nostri sentimenti perché consideriamo l'altro un riflesso di noi stessi. Così come noi non faremmo mai del male ai nostri amici. Una rottura sembra inevitabile quando un'amicizia, diventa distruttiva.
A volte coltiviamo rapporti talmente esigenti da mettere in pericolo la nostra autonomia e la nostra libertà. Invece di nobilitarci e di confortarci, questa amicizia diventa all’improvviso una vera e propria minaccia. “L'amicizia è una virtù o s'accompagna alla virtù; inoltre essa è cosa necessarissima per la vita. Infatti nessuno sceglierebbe di vivere senza amici, anche se avesse tutti gli altri beni…… L'amicizia perfetta è quella dei buoni e dei simili nella virtù. Costoro infatti si vogliono bene reciprocamente in quanto sono buoni, e sono buoni di per sé; e coloro che vogliono bene agli amici proprio per gli amici stessi sono gli autentici amici (infatti essi sono tali di per se stessi e non accidentalmente); quindi la loro amicizia dura finché essi sono buoni, e la virtù è qualcosa di stabile; e ciascuno è buono sia in senso assoluto sia per l'amico.” Aristotele (Etica Nicomachea).
Gigino Adriano Pellegrini & G elTarik