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Redazione TirrenoNews

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Gli avvisi di garanzia sono stati inviati dal Pubblico Ministero dottoressa Teresa Valeria Grieco.

 

Il reato contestato è relativo agli articoli 110, 81 commi 1,2, 476 e 479 e 61 nr 2 del c.p. perché con più atti esecutivi del medesimo disegno criminoso, al fine di occultare il reato di cui al capo seguente, nell’esercizio delle funzioni istituzionali, il sindaco Caruso Giovanna , quale sindaco pro-tempore , formava copia di atti materialmente falsi e ne attestava in data 20 luglio 2016 la conformità agli originali.

 

Obiettivo del reato era quello di trarre in inganno il personale della Stazione dei carabinieri di Aiello calabro e per essi dell’ A.G. procedente.

Altri 4 avvisi di garanzia sono stati emessi a carico di Caruso Giovanna, sindaco pro-tempore , Innocenti Fabio, assessore del comune di Serra d’Aiello, Mendicino Guerino, assessore del comune di Serra d’Aiello e Valvolizza Antonietta segretaria dello stesso comune di Serra d’Aiello .

 

Il reato contestato è relativo agli articoli 110, 81 commi 1,2, 476 del c.p. perché con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, nell’esercizio delle loro funzioni istituzionali, in concorso tra loro, Caruso Giovanna, quale sindaco pro-tempore, Innocenti Fabio e Mendicino Guerino, assessori comunali e Valvolizza Antonietta quale segretario comunale, attestavano con la formazione e firma della delibera di Giunta Comnunale n 10 del 15.10. 2014 , che con la stessa veniva approvato e allegato il modello “F”, nonché che veniva allegato il parere del revisore dei conti dottor Pasquale Pignataro. Fatto non conforme al vero in quanto sia il modello “F” citato che il parere del revisore dei conti, per come confermato dallo steso revisroe alla P.G. procedente e come risulta d ale dae in esi indicate sin stati formati in data 17 ottobre 2016, cioè due giorni dopo, quindi in data successiva al 15 10.2014.

 

Ora gli indagati hanno facoltà, nel termine di 20 giorni, di presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore, chiedere al PM il compimento di atti d’indagine, presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio.

Ricordiamo ai nostri lettori che l’art 476 del C.P. è relativo alla falsità materiale e scatta quando “ Il pubblico ufficiale, che, nell'esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni. Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni .

L’art 479 dl C.P. statuisce che “ Il pubblico ufficiale, che ricevendo o formando un atto nell'esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite nell'art. 476”.

La norma è diretta a tutelare la fiducia dei consociati nei riguardi degli atti pubblici, specificatamente in ordine alla garanzia di veridicità.

Una vicenda che se non fosse drammatica farebbe ridere, anzi sganasciarsi dalle risate.

I comuni hanno l’obbligo di depurare le acque reflue prima di immetterle nei laghi, nei fiumi, sul suolo e nelle acque costiere e freatiche.

 

 

 

Già, perché le acque non trattate rappresentano un rischio per la salute dell'uomo ed inquinano.

Secondo la legislazione dell'UE, infatti, entro il 2005 doveva essere introdotto un trattamento secondario per tutte le acque reflue provenienti da agglomerati con un numero di abitanti compreso tra 10.000 e 15.000 e per gli scarichi in aree sensibili, quali acque dolci ed estuari, provenienti da agglomerati con un numero di abitanti equivalenti compreso tra 2.000 e 10.000.

E la Commissione europea in data 26 marzo 2015 ha sollecitato l'ITALIA a migliorare la raccolta e il trattamento delle acque reflue sotto pena di sanzioni eonomiche.

Tra gli agglomerati più grandi figurano Roma, Firenze, Napoli e Bari.

Alcuni agglomerati non rispettano inoltre l'obbligo di applicare un trattamento più rigoroso agli scarichi in aree sensibili.

Sono interessati una ventina di enti locali tra regioni e province autonome: Abruzzo, Basilicata, Bolzano, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Trento, Umbria, Valle d'Aosta e Veneto. L'Italia non rispetta inoltre l'obbligo di eliminare il fosforo e l'azoto dagli scarichi in 32 aree sensibili.

Gli scambi di informazioni con l'Italia hanno confermato l'esistenza di quelle che la Commissione considera violazioni sistematiche degli obblighi UE.

La Commissione ha pertanto emesso un parere motivato.

Se non verranno adottate misure concrete per ovviare al più presto a tali carenze, la Commissione potrebbe adire la Corte di giustizia dell'Unione europea

Il 19 luglio 2012 la Corte di giustizia dell'Ue aveva statuito che le autorita' italiane violavano il diritto dell'Ue poiche' non provvedevano in modo adeguato alla raccolta e al trattamento delle acque reflue urbane di 109 agglomerati (citta', centri urbani, insediamenti).

A distanza di quattro anni la questione non e' ancora stata affrontata in 80 agglomerati, che contano oltre 6 milioni di abitanti e sono situati in diverse regioni italiane: Abruzzo (un agglomerato), Calabria (13 agglomerati), Campania (7 agglomerati), Friuli Venezia Giulia (2 agglomerati), Liguria (3 agglomerati), Puglia (3 agglomerati) e Sicilia (51 agglomerati).

La Commissione ha chiesto alla Corte di giustizia dell'Ue di comminare una sanzione forfettaria di 62 699 421,40 euro.

La Commissione propone inoltre una sanzione giornaliera pari a 346 922,40 euro qualora la piena conformita' non sia raggiunta entro la data in cui la Corte emette la sentenza.

La decisione finale in merito alle sanzioni spetta alla Corte di giustizia dell'Ue.

Se la Corte di giustizia dell'Ue comminerà le rilevanti sanzioni, chi le pagherà?

La regione? E cioè i calabresi tutti?

Ma non è giusto. Affatto. Le sanzioni dovrebbero essere fatte pagare a chi ha commesso l’omissione, ma come al solito, in Calabria, nessuno è mai responsabile di nulla.

E Renzi grida : Viva l’Italia!

Incendi sono in 18 le persone denunciate

Venerdì, 09 Dicembre 2016 19:02 Pubblicato in Calabria

fuocoRischiano una condanna fino a dieci anni di reclusione.

 

Reggio Calabria, 09 dicembre 2016 - Gli incendi divampati nel corso dell'anno in Calabria hanno impegnato il personale del Corpo Forestale dello Stato non solo nel coordinamento delle operazioni di spegnimento, ma anche nell'espletamento delle indagini per l'individuazione dei responsabili.

Ed è proprio sul fronte dell'attività investigativa che sono stati conseguiti importanti risultati che il Comando Regionale Calabria - Sicilia del CFS rende noti.

 

Durante il periodo di massimo rischio di incendio, ovvero dal 15 giugno al 30 settembre 2016, i comandi territoriali del CFS hanno segnalato all'Autorità Giudiziaria diciotto persone, di cui sedici sono state denunciate a piede libero e due tratte in arresto in flagranza di reato o sottoposte a misure di custodia cautelare.

 

Si tratta di soggetti ritenuti responsabili, singolarmente o in concorso con altri, di incendi verificatisi nel territorio calabrese, e precisamente due nel crotonese, due nel catanzarese, due nel reggino e otto nel cosentino.

Sequestrati quattro accendini ed effettuate tre perquisizioni. Un indagato dovrà rispondere del reato di incendio non boschivo doloso; cinque indagati di incendio boschivo doloso e dodici di incendio boschivo colposo. Questi ultimi rischiano la reclusione rispettivamente da 4 a 10 anni e da 1 a 5 anni; pena destinata ad aumentare in presenza di circostanze aggravanti.

            Ma l'attenzione sul fenomeno degli incendi boschivi è rimasta alta da parte del CFS anche nel restante periodo dell'anno tanto da deferire all'A.G. per incendio boschivo colposo altre due persone (una nel catanzarese e una nel reggino) e da cogliere in flagrante e arrestare un reggino per incendio boschivo doloso.

            All'individuazione dei responsabili si è giunti attraverso minuziose indagini, effettuate dalle articolazioni del CFS con il supporto del N.I.A.B. (Nucleo Investigativo di Antincendio Boschivo), personale specializzato nell'applicazione di specifiche tecniche investigative.

            Nelle aree interessate da continui e ripetuti incendi sono state utilizzate telecamere nascoste, che hanno consentito di immortalare il responsabile del reato, come avvenuto per una donna nel cosentino.

            È stato, altresì, adottato il Metodo delle Evidenze Fisiche, che permette di determinare la dinamica delle fiamme e di classificarne la causa.

            Da non dimenticare, inoltre, la collaborazione dei cittadini che hanno fornito preziose testimonianze e hanno segnalato tempestivamente le fiamme al numero di emergenza ambientale 1515.

            I roghi divampati in Calabria hanno interessato non solo aree marginali e rurali, ma anche aree antropizzate, danneggiando, in alcuni casi, oltre ai soprassuoli agrari e forestali, anche fabbricati e automezzi.

            Tali incendi sono stati causati dall'uomo per colpa o dolo. Cause che tuttavia si distinguono in una serie di motivazioni legate ai profili sociali, economici e produttivi delle diverse realtà territoriali.

            Gli incendi colposi, o involontari, sono riconducibili ad attività agricole e forestali condotte con negligenza, imprudenza e imperizia, al fine di ripulire incolti, scarpate stradali o ferroviarie, eliminare i residui vegetali scaturiti dalle lavorazioni forestali e agricole, rinnovare il pascolo, bruciare stoppie. Operazioni che sono state spesso eseguite in modo incontrollato in aree contigue a quelle boscate e alla presenza di vento. Un incendio è stato causato dall'uso di apparecchiature a motore sull'erba secca.

            Le cause dolose, invece, sono connesse alla ricerca di un profitto, quali l'apertura o il rinnovo del pascolo a spese del bosco, il bracconaggio, o la speculazione edilizia, non sapendo che le zone boscate ed i pascoli bruciati per almeno quindici anni non possono avere destinazione diversa da quella preesistente all'incendio; che sugli stessi soprassuoli sono vietati per dieci anni il pascolo, la caccia e la realizzazione di edifici e per cinque anni le attività di rimboschimento e di ingegneria ambientale. A tal proposito questi vincoli vengono applicati dai Comuni, i quali annualmente, obbligati dalla Legge quadro sugli incendi n. 353/2000, censiscono i terreni percorsi dal fuoco attraverso un apposito catasto, avvalendosi anche dei rilievi effettuati dal Corpo Forestale dello Stato.

            Se da un lato la maggior parte degli incendi è legata ad attività illecite collegate a finalità agricole e di pastorizia, dall'altro a bruciare la Calabria sono non solo contadini e pastori, ma anche operai, disoccupati e pensionati. L'identikit dell'incendiario calabrese che emerge dall'analisi delle persone denunciate dal CFS parla di individui (donne e uomini) che hanno un'età compresa tra 26 e 75 anni, perlopiù incensurati e residenti nella stessa provincia dove commettono il reato.

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