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“…lo sanno anche i cani disperati e senza gloria

che l’ultimo a saltare in aria passerà alla storia

Sono sogni maledetti per niente sicuri.

TEMPI DURI.”

 

 

Un individuo sfruttato che non ha coscienza di essere sfruttato e che non fa nulla per liberarsi, è veramente un essere sfruttato. Ma quando un uomo che ha coscienza di essere tale e che lotta per liberarsi già non è più sfruttato, ma uomo libero. Così ci dicevano i compagni che credevano alla via democratica al potere.

Mi dicevano:“se trovi uno schiavo addormentato, non svegliarlo, forse sta sognando la libertà”.

Ed io rispondevo: “se trovi uno schiavo addormentato, sveglialo e parlagli della libertà.

Digli che non gli verrà data ma che dovrà combattere per ottenerla."

Se vi è mai stata una civiltà di persone sfruttate, questa è esattamente la civiltà moderna.

Nessuna civiltà tradizionale vide mai masse così grandi condannate ad un lavoro buio, disanimato, automatico: schiavitù, che non ha nemmeno per controparte l’alta statura e la realtà tangibile di figure di signori e di dominatori, ma che viene imposta anodinamente, attraverso la tirannia del fattore economico e delle strutture di una società più o meno collettivizzata. cioè che non prende posizione, quasi intontita, sonnolenta, che per inerzia non si esprime in maniera netta e agisce fiaccamente - con ripercussioni sull'intera popolazione, come succede dopo una generosa fumata d'oppio.

La prima metà del Novecento infatti è stata un'epoca durante la quale si è schiavizzato, disumanizzato e si sono uccisi settanta milioni di esseri umani, un'epoca che non si può semplicemente giudicare, andrebbe analizzata in tutta la sua colpevolezza, nella sua follia, a volte lucida e razionale, altre volte ottenebrata ed irrazionale.

Se nei tempi passati in cui i tiranni mettevano a ferro e fuoco una città per la sua gloria, in cui il nemico veniva gettato alle belve davanti ad un popolo assetato di sangue, festante per spettacoli macabri e raccapriccianti, il giudizio era fermo e saldo, nei tempi dei campi di concentramento, dei campi di schiavi sotto la bandiera della libertà in cui i massacri venivano giustificati dall' “amore” per l'uomo o dal sogno di una super-razza, il giudizio perde la propria fermezza, perde le proprie coordinate; nell'epoca della follia esso diventa confuso, semplicemente disarmato.

Se nel Mito di Sisifo l'assurdo appartiene alla dimensione individuale, ora esso si espande fino ad abbracciare la collettività, tutta la società.

Sisifo per la sua grande astuzia ad un certo punto venne condannato da Ade a trascinare un enorme masso lungo un ripido pendio di una collina per farlo rotolare dall'altra parte ma, una volta giunto in prossimità della cima, il masso, come spinto da una forza divina, rotolava nuovamente a valle e Sisifo doveva ricominciare da capo, con il sudore che gli bagnava la fronte mentre nuvole di polvere lo circondavano. E questo per l'eternità.

Questa punizione nota come "la fatica di Sisifo" è rimasta nei detti popolari a indicare un lavoro inutile, un lavoro che comporta una grande fatica con pochi risultati per chi lo fa.

Diceva lo scrittore Franco-algerino Albert Camus che: “le grandi idee arrivano sempre nel mondo con la dolcezza delle colombe.”

E che si ascoltasse attentamente, “udiremo, tra il frastuono degli imperi e delle nazioni, un debole frullio d'ali, il dolce fremito della vita” e del desiderio di una esistenza diversa.

In un mondo privo di valori che orientino l'azione umana, non è possibile distinguere tra ciò che è vero e falso, tra ciò che è buono e cattivo, l'unica norma vigente è quella dell'efficacia, ossia la legge del più forte.

Gli uomini a questo punto non si dividono più in giusti ed ingiusti, ma in padroni e servi.

Tutto ciò è inaccettabile, ed è per questo motivo che il senso dell'assurdo deve essere attivo. Nel momento in cui una persona grida di non accettare più tutto questo, non può dubitare del suo grido, non può dubitare della sua protesta, della sua rivolta.

Calgary 18 oct 2016               Gigino A Pellegrini & G el Tarik

Pubblicato in Mondo

Una profonda analisi su Amantea di Gigino Pellegrini.

Muri per non vedere, rumore per non sentirsi, sagre per ridurre il senso di fame.

 

Ecco la scenografia della politica. E’ questa la amara sintesi della fantastica analisi di El Tarik.

“La scenografia, che gli amministratori di Amantea mettono in piedi ogni anno per accogliere i fantasmagorici “turisti”, ha come fine lo scopo di celare la realtà, come ogni scenografia che si rispetti.

Una delle cose che più mi indigna in tutta questa tragicommedia, è che tutto questa manovra serve solo a occultare i mali cronici della nostra cittadina: l’immondizia, le strade rattoppate alla meno peggio per nascondere le voragini, le fogne che finiscono in mare.

Questi pessimi capocomici camuffano la miseria, costruendo “muri” fittizi affinché non si possa vedere la povertà e le assurdità della città di Amantea.

Quartieri depressi con decine di persone in balia dell’indigenza e senza una via di scampo ai loro problemi. Alcune di loro sopravvivevano cibandosi alla meno peggio.

Si è arrivati persino a vivere prima nella capanna di zio Tom sulla spiaggia e poi in un ex chiosco da giornalaio.

Gli amministratori pensano prevalentemente a costruire muri di varia natura nella speranza che le persone non li smantellino.

Non sanno, però che la necessità e la creatività della resistenza, a tutta questa disgustante situazione, non avranno limiti.

Per dare un tono “universale” a queste poche righe, chiamo a testimoniare il “muro”, che tutto il mondo vide in TV, costruito dalla Repubblica Dominicana, affinché il Papa non vedesse la miseria della gente durante la sua visita.

Questi signori del potere occultano la sofferenza dei popoli, però non fanno nulla per combatterla. Altri muri furono costruiti in diversi angoli del mondo, come quello di Berlino, durante la Guerra Fredda tra Unione Sovietica e Stati Uniti, che finirono per separare un popolo sottomettendolo ai propri fini politici ed economici.

Migliaia di famiglie rimasero divise per diversi decenni, vivendo l’orrore ed il dolore di questa lacerazione.

Molti tentarono di oltrepassare il muro, pochi ci riuscirono, altri persero la vita sotto i proiettili delle guardie o sui campi minati della Germania Est.

Alla fine lo fecero crollare o “crollò”.

Senza dimenticare il muro che divide le due Coree e che corrisponde alla stessa politica di potere e supremazia delle grandi potenze, come la Cina ed i suoi interessi.

Il popolo coreano è diviso e contrapposto. A

d intere famiglie è stata preclusa la possibilità di vedersi o di avere notizie l’una dell’altra per decenni e non gli resta altro che preservare i ricordi ed aspettare il giorno fatidico.

Non un giorno qualsiasi, bensì proprio quello, il giorno in cui cada il muro della divisione e possano ricongiungersi negli sguardi e nel cuore.

“La comunità internazionale vive, sconvolta”, si fa per dire, nell’attesa che la questione mediorientale trovi una soluzione politica e che cessi la violenza che sta dissanguando i popoli di Palestina ed Israele.

Israele, invece di risolvere il conflitto, ha costruito un muro per separare i palestinesi, confidando che questo limite significherà sicurezza.

L’odio non può essere fermato con i muri. La resistenza di un popolo che vuole esser libero non si fa piegare da un muro.

La sofferenza non ha limiti e spinge molti palestinesi ad immolarsi sugli altari della libertà.

Si potrebbero riempire centinaia di pagine disumanizzanti sulle atrocità degli umani al potere.

Ciò che comunque prevale nella mente di chiunque detiene potere, sono gli interessi di pochi rispetto all’interesse generale.

A questa vomitevole regola, nel loro piccolo e miserevole mondo, non sfuggono gli amministratori di Amantea.

L’intolleranza e la tracotanza del potere non conosce, e non vuole riconoscere, il diritto ad una vita migliore dei propri cittadini-sudditi.

I “rifugiati” che in questi ultimi anni sono apparsi in città vengono ignorati e maltrattati e se si azzardano a rivendicare i più elementari diritti della loro esistenza, vengono immediatamente repressi.

Quanti sono i muri di insensibilità e disprezzo verso la vita umana di questo paese “civilizzato”? Che muri hanno costruito per non vedere, né sentire il grido di protesta ed il dolore di questa povera gente che, pur di fuggire dalla fame e dalla guerra, finisce per morire annegata nel mare di Ulisse? Forse un po' di quel “muro” è anche dentro ognuno di noi.

Se non si riesce ad abbatterlo e non ci si sforza di capire e rispettare il diritto degli altri, non si riuscirà mai a cambiare qualcosa in questo mondo balordo e folle.

I potenti, comunque coerentemente alla loro nauseabonda esistenza, continueranno a costruire i muri della stupidità e della crudeltà umana.

A costruire le barriere tra gli uomini.

Bisogna anche dire che le “barriere”, queste costruzioni, rappresentano la ferocia e bruttura degli uomini nella storia dell’umanità essendo state costruite espressamente per separare e dividere.

Nei casi più estremi, esse hanno a volte confinato intere aree abitate per essere poi abbattute.

I “ruderi” sono ancora qui fra la gente e richiamano l’attenzione su tutto ciò che non ha funzionato.

All’alba, da dietro le colline che cingono Amantea, il sole sorgerà e splenderà come sempre sulle acque calme dell’Ulisse di settembre e il paese si sveglierà “tranquillo” e sereno e questo scritto, per molti, sarà semplicemente un brutto sogno, conseguenza dell’abbondante cena della sera prima.

Calgary 31 agosto 2016 Gigino A. Pellegrini & G el Tarik

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