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Scrive Thomas Mackinson su “Il fatto quotidiano” : “Cosenza, la farsa della caccia al tesoro d’Alarico. Il Comunenon ha chiesto autorizza zioni. Stop della Soprintendenza.

 

L'amministrazione del sindaco Occhiuto aveva annunciato la campagna di ricerche in Parlamento e sui Tg nazionali. Sei mesi per individuare la tomba del re dei Goti e trovare qualche reperto per il nascente "Museo di Alarico", che costerà 7 milioni ai contribuenti. Due giorni dopo le ricerche si fermano: mai autorizzate

La “caccia al tesoro” era appena partita tra aspettative, incredulità e polemiche. La notizia è che dopo due giorni si è già fermata, la Soprintendenza archeologica della Calabria ha bloccato tutto.

Il motivo?

La campagna di scavi lungo il fiume Busento non era mai stata autorizzata. Annunciata in pompa magna, doveva servire a individuare il leggendario “tesoro di Alarico” che le antiche scritture indicano in 25 tonnellate d’oro e 150 d’argento, il bottino favoloso dei Goti dopo il Sacco di Roma. Se non tutto, almeno a rinvenire qualche pezzo utile al fantomatico museo che l’amministrazione cosentina ha deciso di dedicare al Re massacratore, senza che si sia mai rinvenuto uno straccio di reperto, un sesterzio o anche solo un coccio di vaso rotto riferibile ai Goti. A volte si scava per non toccare il fondo. Parecchio da fare si è data l’amministrazione guidata da Mario Occhiuto che ha scommesso molto su un’iniziativa di marketing territoriale che accalora e divide studiosi e appassionati di storia. E forse non a torto, perché ai contribuenti costerà svariati milioni di euro.

 

Partiamo dalla fine. Tra meno di un mese a palazzo dei Bruzi si apriranno le buste con le offerte per abbattere l’orrido Hotel Jolly che dagli anni Cinquanta offende la vista del centro storico.

L’amministrazione ha cercato a lungo un pretesto per tirarlo giù e risistemare le sponde fluviali su cui affaccia. In ultimo, su impulso del sindaco-architetto di centrodestra Occhiuto, ha trovato quello di realizzare un polo espositivo dedicato al Re barbaro che antiche scritture e leggende vorrebbero sepolto da qualche parte laggiù, lungo il greto del Busento insieme a un immenso tesoro di sesterzi, ori e pietre preziose frutto del saccheggio di Roma del 410 dC. Problema: la tomba di Alarico non c’è, è solo un mito, tanto che in 1600 anni di ricerche nessuno l’ha trovata. Ci hanno provato fior di storici, archeologi, comuni tombaroli, perfino i tedeschi con apposite spedizioni comandate da Himmler.

Niente di niente.

Così, ed è il primo aspetto grottesco della vicenda, il catalogo del nascente museo al momento ha le pagine bianche e probabilmente tali resteranno.

 

Ad oggi il suo primo e unico tassello è una collezione di otto fibule visigote del V secolo donate alla città dalla famiglia Bilotti che dovrebbe trovare dimora nelle future sale. Altro, davvero, non c’è. E tuttavia per racchiudere ed esporre questo nulla si spenderanno sette milioni di euro. Tante sono le risorse autorizzate dal Cipe nel 2012, a valere sui Fondi Sviluppo e Coesione destinati alla Calabria: 3,3 serviranno per realizzare la nuova struttura, 2,2 per acquistare l’hotel Jolly da abbattere.

Il Comune partecipa anche con 500mila euro di fondi propri, nonostante abbia i conti in rosso per 140 milioni di euro.

Nel frattempo il sindaco ha deciso di scavare oltre, rilanciando le ricerche del “tesoro” lungo il fiume. E qui la vicenda è diventata farsa. Le premesse: in giro, per quanto li si cerchi, non si trovano tanti studiosi disposti a giocarsi la reputazione rincorrendo la leggenda tramandata da Cassiodoro e dallo storico Jordanes. Nei testi antichi raccontano che Alarico fu inumato con i suoi tesori secondo la tradizione funeraria dei Goti e che per rendere la tomba inaccessibile fu scelto il letto del fiume che fu deviato temporaneamente usando i prigionieri che poi furono uccisi uno a uno. Qualcuno però ci crede davvero. A farsi avanti è uno sparuto gruppo di novelli Indiana Jones che, armati di droni e georadar, tenteranno di riscontrare con tecnologie moderne quel che ricerche archeologiche e predoni non hanno rinvenuto in cinque secoli di tentativi. L’impresa è ardita e viene anche presentata in Parlamento, con tanto di conferenza stampa. I lavori di perlustrazione partono il 16 novembre per durare sei mesi. E poi? Sono durati due giorni soltanto. La soprintendenza ha appena notificato lo stop al Comune. Nessuno, in tutto questo, ha pensato di chiedere le autorizzazioni necessarie. Non ci ha pensato il Comune, non ci hanno pensato i finanziatori (privati) dell’impresa. Per poche decine di migliaia di euro a farsi avanti era stata la Fondazione Cassa di Risparmio della Calabria e della Lucania. Perché di sicuro non c’è, ma se mai ci fosse un tesoro meglio metterlo subito in banca.

Come nei migliori copioni esiste quello alternativo, il piano B. Il sindaco ha anche messo insieme un comitato tecnico-scientifico che annovera figure di spicco, come l’ex rettore dell’Università di Reggio Calabria ed ex ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi. Alla testa il professor Pietro De Leo, ordinario di storia medioevale. Nessuno di loro andrà con pala e pile a cercare il tesoro. L’accordo tra Comune e “Consorzio Cultura e Innovazione” prevede lo sviluppo di “modelli virtuali” che raccontino la leggenda di Alarico. Attaverso l’uso di touch screen. Ebbene sì, se i Predatori dell’arca perduta non trovassero alcunché per dare un contenuto (purché sia) al museo sarà la multimedialità a colmare il vuoto: il museo di Alarico sarà uno spazio virtuale sostanzialmente privo di reperti. Questo nulla sarà però racchiuso in un manufatto basso e dalle linee modernissime, quasi un cubo, che nei rendering fa già a pugni con gli edifici alle sue spalle, segnati dal tempo e traforati dai colpi sparati in guerra. Non mancherà, a quanto è dato sapere, una statua equestre del Gran Barbaro che emerge dalle acque.

Studiosi, residenti, intellettuali, appassionati di storia seguono increduli questa strana commedia senz’arte né parte.  A molti non piace neppure l’introduzione e si chiedono perché mai rimestare e incensare il fantasma del re dei Goti, il cui nome resta indissolubilmente legato a uno degli eventi più traumatici del mondo antico, l’11 settembre della civiltà romana. Ci va giù durissimo, tra gli altri, l’archeologo Battista Sangineto, rilevando l’autolesionismo che accompagna l’operazione: “Si spendono soldi per una leggenda quando il centro storico va a pezzi. Alarico, poi? Sterminò centinaia di cosentini, non può costituire la spinta propulsiva, il riferimento culturale e identitario di un progetto museale che attragga turismo culturale. Onorarlo in maniera ossessivo-compulsiva, titolando piazze e pizzerie al re dei Goti è come scolpire nella pietra il marchio della città iettatrice. Farne un brand è anche umiliante per Cosenza che nel Medioevo fu una piccola culla di democrazia. Alarico ci morì per caso, è una cosa appiccicata lì”. Come gli adesivi “vota” durante le elezioni.

Perché non si può capire fino in fondo questa storia senza un dettaglio essenziale: a primavera in città si vota e sulle memorie di Alarico il sindaco di centrodestra si gioca la rielezione. Il museo vorrebbe essere il fiore all’occhiello del suo mandato, simbolo e prova della strenua volontà di modernizzare la Cosenza decaduta, spenta, funerea di certe cartoline ingiallite. Quella che già secoli fa i viaggiatori descrivevano come “terra di morti” o tomba dei re e degli eroi. Non a caso alla spedizione dei geologi lungo il letto del Busento, fermata dalla Soprintendenza, erano stati concessi sei mesi di tempo. E cioè di andare oltre l’appuntamento elettorale. Così, se un domani si scoprisse mai che la tomba col tesoro non c’è, l’urna sarà già chiusa”.

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Pubblicato in Cosenza

Vi porgiamo uno dei più interessanti articoli politici di questi giorni. Un articolo di uno dei più pregevoli commentatori politici italiani. Un articolo da rileggere fra qualche tempo.

“Non avrei mai voluto scriverlo, ma è ciò che sta accadendo in questi giorni. Ha vinto di nuovo Berlusconi. Torna a riempire la piazza come un megastudio affollato di cittadini contenti e ansiosi di essere le sue comparse. E non perché si sia camuffato da persona per bene, magari solo una mascherata. No, ha occupato il Palazzo di Giustizia di Milano, disertato i suoi processi, comprato spazio, tempo e persone, insultato i giudici e convocato la folla in piazza per una manifestazione contro la Costituzione. Ma ha vinto. Lo dice anche Matteo Renzi, che sarebbe il meglio del futuro del Pd, il partito che si era appena dichiarato l’ultima barriera. Ecco Renzi: “Ora è difficile non parlare con Berlusconi” (Repubblica, 23 marzo ).

Infatti mettetevi nei panni di Bersani. Il Capo dello Stato ha affidato al segretario Pd un “mandato esplorativo per vedere se ci sono i numeri”. Se il confronto non sembrasse sproporzionato, una situazione del genere è già stata vissuta intorno a noi e c’è chi se la ricorda. Nel 1944, la Resistenza in Europa era allo stremo, gli alleati erano bloccati a metà Penisola e Allen Dulles, capo dell’Oss (predecessore della Cia) propone di interrompere la guerra al fascismo e al nazismo, e dedicarsi a combattere la Russia comunista. Quel piano è fallito perché il presidente americano, che certo non amava l’Unione Sovietica, ha visto il rischio enorme di conservare il prima pur di passare al dopo, e lo ha impedito. Ha rafforzato i legami col futuro nemico della Guerra fredda e con le Resistenze europee (composte per metà di comunisti militanti e per metà di ex fascisti, di monarchici, di personaggi dal passato e dal futuro non tanto chiaro), ha deciso che non tutti i pericoli sono uguali, e ha vinto.

Per merito di questa strategia non sono finiti i mali del mondo. Ma sono finiti il fascismo e il nazismo, i loro uomini, il loro potere, la loro visione demente del mondo. C’è un senso nel rievocare quel cumulo di rovine per spiegare il rischio che stiamo correndo? Forse sì. Le rovine ci sono, troppa gente non lavora, troppe imprese sono ferme, troppe tempeste sono in corso o sono in arrivo, isolando i cittadini e promettendo non solo la continuazione del caos ma un caos più vasto, mentre si fa più piccola e disordinata la resistenza di chi dovrebbe, a nome dei cittadini, fare fronte.

Ci sono state elezioni politiche in Italia e due terzi degli italiani hanno detto basta almeno alle cause interne del disastro (vent’anni di Berlusconi egemone e padrone assoluto del sistema delle informazioni). Lo hanno detto pur sapendo che ci sono stati cedimenti e debolezze e clamorosi errori (che possono essere giudicati anche come convenienti voltafaccia) da alcuni di coloro che adesso vengono votati per cancellare la nefanda epoca Berlusconi. Ma nello schieramento dei vincitori (mai così grande in un Paese di piccole vittorie e perenni rinvii) scoppia la sindrome Allen Dulles: i nostri veri nemici sono i sovietici. La guerra continua. Vanno scacciati tutti perché solo i puliti e gli intatti da ogni ambiguo o colpevole rapporto col passato devono governare subito. Ma non possono.

E in questa visione della situazione italiana, Berlusconi diventa piccolo e irrilevante, perché quello che conta è fermare il Pd e impedire che possa avere qualsiasi ruolo. Certo, nessuno nega, nel gruppo Allen Dulles (cioè “la guerra continua su un altro fronte”) che Berlusconi sia la mela marcia. Ma la strategia, molto dannosa ma anche scoperta in modo imbarazzante, è dare spintoni al Pd affinché cada sulla mela marcia e la afferri. In quel momento sarà evidente ciò che si era sempre detto: meglio da soli. Ma da soli non si può governare mentre (la prospettiva è paurosa ) con la mela marcia sì.

Ecco perché sabato ho accettato l’invito di MicroMega e sono andato, come un tempo, alla manifestazione di Roma per dire che Berlusconi è ineleggibile. E deve essere confermata, senza altre leggi, la sua ineleggibilità come concessionario di pubblica licenza che, in tutti questi anni, Berlusconi ha dato a se stesso. Ha triplicato il valore delle sue aziende per il solo fatto di essere concedente e concessionario, e ha bloccato ogni concorrenza per il solo fatto di controllare, da presidente , le Tv di Stato e da intimidire, con il suo straordinario doppio gioco, ogni altro giornalista (salvo acquisti).

L’iniziativa mi è sembrata urgente: dire e ripetere dove si situa in primo luogo il pericolo per la democrazia, e dove diventa strano il gioco di spingerlo a ritornare al potere, (con il Pd) per poter avere una immagine chiara e definitiva di tutti i nemici in una grande foto di gruppo. Se accadrà sarà comunque una disgrazia. Sabato siamo scesi in piazza nel tentativo, ingenuo e inadeguato (lo stesso che abbiamo condiviso con Tabucchi, con Sylos Labini, con Flores d’Arcais, con Travaglio, con chi dirige questo giornale, con tantissimi cittadini) di spingere indietro, nel niente che è il suo spazio storico e politico, Silvio Berlusconi. Ma io credo che significasse anche una risposta simile a quello che Ferruccio Parri fece avere, tramite il cardinale di Milano, al presidente degli Stati Uniti: “Anche se voi ci abbandonate, noi continueremo la Resistenza”. Che non è il gioco di fare il possibile per mettere insieme Berlusconi e Bersani (o Berlusconi e Renzi). Ma è l’impegno di fare ciò che due terzi degli italiani hanno votato: liberare l’Italia da Berlusconi. Il resto, il “dopo Berlusconi” è un’altra storia. FURIO COLOMBO, “Il Fatto quotidiano”

 

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