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Non manca l’amico Francesco Gagliardi di esprimere il suo pensiero sulla vicenda del fiume Oliva, peraltro, ponendo la domanda “Quid est veritas?”, che tradotta significa “Cosa è la verità?”, ma temendo che la domanda sia destinata a restare senza risposta.

Anche noi sospettiamo che la verità sia lontana e per questo aspettiamo la sentenza, nella speranza che qualcuno parli di Grassullo e del percolato dei rifiuti dell’oliva e del perché per irrigare i terreni di Campora e far bere i camporesi si sia andati a prendere le acque del Savuto e non quelle dell’Oliva.

Eh, sì. La verità va cercata. Se la si vuole conoscere . E dissimulata se non la si vuole conoscere.

E continuiamo a dire grazie a Francesco Gagliardi che la cerca. Non ad altri!

Ecco la nota del nostro amico scrittore :

“La Corte di Assise di Cosenza ieri 6 marzo 2017 ha scritto la parola fine all’annoso problema dell’inquinamento del fiume Oliva.

L’imprenditore Cesare Coccimiglio accusato di disastro ambientale doloso e di avvelenamento delle acque è stato assolto.

E sono stati assolti anche i quattro coimputati proprietari terrieri: Vincenzo Launi, Giuseppina Marinaro, Antonio Sicoli e Arcangelo Guzzo.

Per la Corte d’Assise non hanno commesso il fatto. Ora, dunque, se tutti sono stati assolti per non aver commesso il fatto non si può più parlare di veleni nel fiume Oliva e si chiude così, ingloriosamente, una storia lunga diversi anni che ha catalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale i cui risvolti sono ancora misteriosi.

Le vicende dei veleni, della nave spiaggiata, delle navi affondate, dei materiali pericolosi interrati, dei rifiuti tossici e nocivi rinvenuti lungo il corso del fiume Oliva, delle discariche abusive, dei fanghi contaminati, delle acque avvelenate hanno contribuito a distorcere, forse, la realtà.

Bisogna ora aspettare 90 giorni per leggere le motivazioni della sentenza e per capire eventualmente qualche cosa.

Fino ad allora bisogna attenersi ai fatti di cronaca che sono questi:

La nave Jolly Rosso conosciuta con l’appellativo di nave dei veleni, perché trasportava rifiuti tossici, si arenò il 14 dicembre 1990 sulla spiaggia in località Formiciche nel comune di Amantea. Al momento dello spiaggiamento la nave trasportava ufficialmente e sottolineo ufficialmente generi di consumo e tabacco.

Nel frattempo, però, i veleni sotterrati nei territori di Amantea, San Pietro in Amantea, Aiello Calabro e Serra d’Aiello continuano a causare effetti devastanti sulla salute dei cittadini.

Sì, la Corte si è pronunciata, però non ha fatto chiarezza.

Il Sig. Coccimiglio e gli altri quattro coimputati non sono colpevoli.

Ma chi sono allora i colpevoli?

Le scorie radioattive non sono state sotterrate nel territorio dei Comuni sopra menzionati?

Dove sono andati allora a finire? Questo chiede la gente.

Chi ha ucciso e perché il Comandante della Capitaneria di Porto Natale De Grazia?

Nessuno lo saprà mai.

Molte persone hanno perso la vita e non chiedono più nulla se non la verità.

Verità che purtroppo non arriverà mai perché i fatti narrati sono avvolti da tanti misteri.

Quid est veritas?

Ma dove è la verità?

Questa celebre domanda di Pilato, anche per me, è destinata a restare senza risposta.

Di Francesco Gagliardi

Pubblicato in Basso Tirreno

Si chiude con la storica sentenza della corte d'Assise di Cosenza di oggi 6 marzo 2017 la incredibile ed annosa vicenda del fiume Oliva.

In verità il pubblico ministero Maria Francesca Cerchiara della Procura di Paola aveva chiesto la assoluzione ex art 530 secondo comma cpp (ovvero con formula dubitativa) dei quattro proprietari dei terreni, dove – secondo l'impianto accusatorio – sarebbero stati interrati materiali altamente pericolosi che avrebbero contaminato l'area causando il disastro ambientale.

Si tratta di Vincenzo Launi, Giuseppina Marinaro, Antonio Sicoli e Arcangelo Guzzo.

Sempre il pubblico ministero Maria Francesca Cerchiara della Procura di Paola aveva chiesto, invece, la condanna di Coccimiglio a sedici anni e 6 mesi di carcere.

Oggi, invece, la Corte di Assise (presieduta dal giudice Giovanni Garofalo, a latere la collega Francesca De Vuono) ha assolto tutti gli imputati in base all'ex articolo 530 cpp per non avere commesso il fatto.

La vicenda ha avuto origine dal ritrovamento di una serie di rifiuti tossici e nocivi lungo la foce del Fiume Oliva, nei territori compresi tra Amantea, Aiello Calabro e Serra d'Aiello.

La Procura della Repubblica di Paola aveva contestato all’uomo di aver realizzato una enorme discarica con accumulo di decine di migliaia di metri cubi di fanghi contaminati con metalli pesanti ed altri inquinanti, tossici, nocivi e cancerogeni, e di avere avvelenato le acque del Fiume Oliva, destinate al consumo umano.

Nel giudizio si erano costituiti come parti civili numerosi enti, quali i Comuni della zona interessata, le organizzazioni ambientaliste e sindacali, ed il Comitato Civico "Natale De Grazia" di Amantea.

Secondo l'accusa, inoltre, proprio a causa dell'intombamento di quei veleni nella zona compresa tra Amantea, San Pietro in Amantea, Aiello Calabro e Serra d'Aiello si sarebbe verificato un nesso anche con la diffusione di tumori nell'area e avrebbe provocato tra l'altro la morte di Giancarlo Fuoco, un pescatore amatoriale che frequentava la zona e le lesioni a un amico del pescatore. La Procura di Paola, che ha svolto le indagini nei terreni dell'Oliva, sosteneva che fossero stati rinvenuti da 120 a 160 mila metri cubi di rifiuti e fanghi di varia natura, anche industriali, contaminati da metalli pesanti.

Inquinanti che avrebbero causato un disastro ambientale nella zona e che sarebbe stato causato, stando alle accuse, dall'interramento di rifiuti da parte della società di cui era titolare l'imprenditore amanteano.

Accuse sempre respinte dagli imputati, in particolare da Coccimiglio e smontate punto per punto dal difensore dell'imprenditore, l'avvocato Nicola Carratelli.

In sede dibattimentale l’avvocato Nicola Carratelli avrebbe dimostrato come l'accumulo del materiale inquinante non sarebbe potuto essere ricondotto all'attività dell'imprenditore, essendosi per contro dimostrato che per diversi anni quell'area era stata addirittura adibita a discarica da parte di alcuni Comuni.(vedi foto)

Secondo la difesa, si tratta di un processo che non avrebbe avuto modo di esistere.

«Cesare Coccimiglio - ha detto l'avvocato Carratelli - non è un criminale ambientale. Ma è un imprenditore onesto e serio che ha dato e da' lavoro a centinaia di persone. Una vicenda processuale durata quattro anni che avrebbe distrutto qualsiasi imprenditore».

Le motivazioni della sentenza saranno rese note tra 90 giorni.

Intanto continuiamo a mostrare la foto della discarica nel fiume Oliva ed il cui percolato è potuto essere alla base del reale inquinamento insieme ad altro …….

Pubblicato in Campora San Giovanni

Stiamo parlando del processo che riguarda il presunto inquinamento del Fiume Oliva.

Anzi l’accusa è quella di disastro ambientale.

Sotto processo sono Cesare Coccimiglio e Vincenzo Launi, Giuseppina Marinaro, Antonio Sicoli e Arcangelo Guzzo, i quattro proprietari dei terreni,

dove secondo l’accusa sarebbero stati interrati materiali altamente pericolosi che avrebbero contaminato l'area causando il disastro ambientale.

Ora dopo una lunga requisitoria il pubblico ministero Maria Francesca Cerchiara ha chiesto alla Corte d'Assise di Cosenza, presieduta dal giudice Giovanni Garofalo e con a latere la collega Francesca De Vuono, la assoluzione ex art 530 secondo comma cpp (ovvero con formula dubitativa) di Vincenzo Launi, Giuseppina Marinaro, Antonio Sicoli e Arcangelo Guzzo.

Subito dopo la requisitoria, le parti civili hanno chiesto la condanna oltre che di Coccimiglio anche degli altri imputati del processo.

Inoltre hanno chiesto il risarcimento dei danni con la richiesta di provvisionale.

La Corte ha rinviato il processo al prossimo 30 gennaio quando si svolgeranno le arringhe delle difese.

Non è escluso che in quella data i giudici potrebbero ritirarsi in camera di consiglio – visto che il presidente Garofalo ha chiesto di non procedere ad alcuna replica - al termine della quale emetteranno la sentenza.

Pubblicato in Basso Tirreno

Il Processo Nepetia aveva portato allo scioglimento del consiglio comunale, scioglimento poi annullato dal Consiglio di Stato.

Ora una raffica di assoluzioni e di riduzioni di pena comminate dalla Corte d’Appello di Catanzaro ce ribaltano in buona parte la sentenza di primo grado del processo Nepetia, scaturito dall’omonima operazione scattata nel 2007 ad Amantea contro la cosca Gentile-Africano e le presunte infiltrazioni mafiose negli appalti del comune.

Ecco le assoluzioni:

Franco La Rupa, ex consigliere regionale ed ex sindaco del centro tirrenico ( da 7 anni alla assoluzione);

Tommaso Signorelli ex assessore comunale ( da 6 anni alla assoluzione);

Franco Berardone ex assessore comunale ( da 1 anno e 8 mesi alla assoluzione)

Con l'assoluzione dei politici amanteani crolla il castello accusatorio che legava il mondo della politica a quello della potente 'ndrina amanteana

Antonio Coccimiglio imprenditore (da 1 anno e 8 mesi alla assoluzione)

Settimio Coccimiglio imprenditore(da 1 anno e 4 mesi alla assoluzione)

Venturino Sposaro ( da 2 anni e 8 mesi alla assoluzione),

Antonio Sposaro ( da 2 anni e 8 mesi alla assoluzione),

Ecco le condanne:

Giovanni Amoroso (da20 anni e 4 mesi a 13 anni e 6 mesi), per il ferimento di  due carabinieri, che nel 2007 lo avevano individuato durante la latitanza ad Amantea;

Natale Rizzo (da 10 anni ad 8 anni e 10 mesi).

Paolo Launi (7 anni e 4 mesi),

Giuliano Serpa (da 2 mesi a 4 anni)

Ulisse Serpa (da 4 anni e 2 mesi a 4 anni).

Gianluca Coscarella (da 1 anno ed 8 mesi a 1 e 3 mesi),

Angelamaria Marano (da 2 anni e 4 mesi ad 1 e 3 mesi),

Concetta Schettini ( da 7 anni e 6 mesi ad 1 anno e 6 mesi per il reato di turbativa d'asta)

Pubblicato in Cronaca
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