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prof Pier Franco Quaglieni è un gentiluomo di altri tempi, il cui comportamento si caratterizza per un grande rispetto nei confronti del prossimo e per una spontanea e straordinaria generosità nei confronti degli amici.

 

Questi suoi tratti facilitano a chiunque l’ingresso nel suo mondo, che è poi un luogo popolato soprattutto da figure esemplari, da vite motivate da molto nobili ideali.

Si comprende così la ragione per la quale, sin dalla fondazione, egli ha legato il suo nome al Centro “Pannunzio di Torino, che dirige ormai da quarantacinqueanni.

Nei momenti cruciali della storia del Novecento, il nostro Paese ha patito di un deficit di cultura liberale. Se ciò non si fosse verificato, non avremmo avuto l’affermazione del fascismo.

 

Poi, nel secondo dopoguerra, i princìpi liberali hanno svolto una rilevante funzione soprattutto tramite l’opera di Luigi Einaudi.

Ma questi ha lasciato un vuoto politico rimasto incolmato e un vuoto culturale in cui hanno agito delle minoranze, che hanno dovuto severamente lottare per la propria sopravvivenza. Si è verificato un paradosso: abbiamo beneficiato di un benessere direttamente ascrivibile alla libertà individuale di scelta, ma non sono stati molti coloro che sono stati capaci di individuare e accettare la ragione di quel benessere.

Gli anni Sessanta hanno portato la morte di Einaudi; e hanno pure generato una sorta di eclissi culturale, che ha oscurato i princìpi della cultura liberale. Quando nel 1975, l’Accademia dei Lincei ha organizzato la commemorazione del centenario della nascita di Einaudi, si sono trovati a discutere relatori di prevalente orientamento interventistico. Ne ha preso parte anche Friedrich A. von Hayek, fresco di premio Nobel. Ma la sua presenza è stata percepita come qualcosa di ormai fuori dal tempo. Contro ogni ragionevolezza, è sembrato che il mondo dovesse andare in tutt’altra direzione. Molti ne erano convinti. Non hanno percepito i pericoli per la libertà individuale di scelta e per lo sviluppo economico e sociale.

 

Come altre associazioni della specie, il Centro “Pannunzio” ha svolto la sua opera di orientamento culturale in un contesto storico-sociale estraneo (e ostile) ai princìpi liberali.

Pier Franco Quaglieni ha dovuto quindi muovere i suoi passi, camminando controcorrente.

 

Molto del suo tempo è stato puro contrattempo, perché in radicale contrasto con i suoi ideali di vita. Ma egli non si è lasciato sopraffare.

E l’esito dei processi sociali, che sempre si sottrae al dominio di presuntuosi controllori, lo ha ripagato abbondantemente. Viviamo oggi una “rivoluzione telematica”, che mette a disposizione di ciascuno giganteschi flussi di informazione, i quali alimentano un permanente procedimento di esplorazione dell’ignoto e di correzione degli errori. È l’affermazione pratica dei princìpi coltivati da Quaglieni.

Ed è una situazione esattamente opposta a quella immaginata dalla cultura della pianificazione. Manon è tutto. Quel che in Quaglieni è esemplare non è solo la difesa della cultura liberale.

È anche il fatto che egli abbia compiuto la sua opera con estremo equilibrio: perché quel che condanna spesso all’insuccesso una buona idea è presentarla in misura abnorme.

Pubblicato in Italia

liberazioneIn uno scritto autobiografico Luigi Settembrini scriveva: “Quando le strade comunali, provinciali, e ferrovie metteranno i Calabresi in facili comunicazioni tra loro e con le altre genti d’Italia, allora si scioglierà quell’antica lotta chiusa in ogni paesello tra il proprietario sempre usuraio lì, e il proletario sempre debitore, si ammansirà quell’odio per oltraggi antichi che è la vera cagione del brigantaggio.

 

Quando quelle genti avranno lavoro, istruzione e giustizia, quelle loro nature sì gagliarde nei delitti saranno gagliarde nel lavoro, nelle industrie, nelle arti, nella guerra santa e nazionale.

In nessuna contrada ho veduto più ingegno che in Calabria, lì schizza proprio dalle pietre, ma raramente è congiunto a bontà, spesso è maligna astuzia”. Ed io aggiungo, malaffare e corruzione.

Bisogna innanzitutto sforzarsi di capire il significato etimologico di questa parola. Corruzione: dal latino: corruptio. Degenerazione spirituale e morale, depravazione, totale abbandono della dignità e dell’onestà.

Derogare e indurre a derogare i propri e altrui doveri in cambio di denaro o di altri vantaggi personali. Questa è la definizione che i dizionari danno di tale parola.

Per capire la vastità del fenomeno in Calabria è importante scorrere i titoli dei giornali che quotidianamente escono in edicola. Si viene a scoprire l’acqua calda. Cioè il risultato è un sistema parassitario-clientelare, espressione di un blocco affaristico in cui convergono interessi politici, imprenditoriali e criminali, che registra il protagonismo di figure "cerniera" in grado di favorire le istanze degli “imprenditori” malavitosi.

 

La sintomatica presenza di insidie nell’Organizzazione pubblica, evidenzia, però, che il sistema di discipline normative e la ferma azione di contrasto al degrado non sono sufficienti a soddisfare le cautele che il settore degli “appalti” richiede. Secondo Shakespeare L'onestà sarebbe più potente della corruzione.

Il grande Drammaturgo conosceva il Volgare italiano come linguaggio, ma non conosceva gli italiani ed in particolare non poteva conoscere gli Amministratori della cosa Pubblica di oggi in Calabria. La corruzione malavitosa e non solo, in Calabria è evidente che riesce a penetrare in ogni livello, da quello istituzionale, dai Comuni alle magistrature; la collusione con la delinquenza è a livelli impensabili. Qualcuno, ingenuamente, si chiede che fine abbia fatto lo Stato.

Quale Stato quello borbonico o quello Savoiardo con le sue emanazioni attuali. La realtà è che la presenza dello Stato liberal-democratico volutamente e rispettosamente si astiene dopo aver consegnato questa Terra in comodato d’uso all’andazzo malavitoso piccolo e grande che sia. Questo è ciò che la popolazione percepisce.

 

Di fatto non sono solo io a scriverlo, lo svela la Direzione Nazionale Antimafia che nella sua annuale relazione espone un quadro allarmante sulla situazione del territorio calabrese.

Tutti gli occhi sono rivolti ad altre regioni italiane senza rendersi conto che al sud, in Calabria, la malavita e gli atteggiamenti malavitosi quotidiani hanno sostituito lo Stato.

Le condanne per corruzione in Calabria sono le più basse d’Italia. “Allora delle due l’una, o la Calabria ha la migliore classe politica del Paese e il miglior livello istituzionale oppure c’è qualche problema anche nella magistratura calabrese”.

Lo ha detto il sindaco di Napoli Luigi De Magistris commentando la sentenza del Tribunale di Salerno che ha assolto tutti gli imputati nel procedimento basato sull’ipotesi che le inchieste ‘Why not‘ e ‘Poseidone‘, condotte da De Magistris quando era magistrato a Catanzaro, gli furono sottratte sulla base di un complotto.

 

Sempre più di frequente, infatti, il tema della ‘grande’ e ‘piccola’ corruzione appare su tutti i quotidiani: favori, doni (più o meno consapevolmente accettati) e mazzette sono la norma.

Un tempo l’illegalità era concentrata nel settore edilizio, tra licenze, piani di lottizzazione e cambiamenti di destinazione. Poi ha guadagnato terreno: sono comparsi il ‘pizzo per esistere’ (per ottenere certificati di residenza e permessi di soggiorno), il ‘pizzo sulla cittadinanza’ (basti pensare al voto di scambio), il ‘pizzo per un tetto’ (in vista dell’assegnazione di case popolari o dell’imminenza dello sfratto), il ‘pizzo per lavorare’ (assunzioni per concorso, autorizzazioni all’esercizio di attività commerciali e licenze per i liberi professionisti), il ‘pizzo per sopravvivere’ (pensioni e farmaci) e infine il ‘pizzo per riposare in pace’ (trovare un posto al camposanto è sempre più arduo). Una struttura sanitaria incompleta per poter pagare ad alcuni amici affitti per l’utilizzo di appartamenti privati.

In Questo Amantea è sempre stata maestra. Per anni le uniche strutture scolastiche ospitate in edifici costruiti per tale fine sono stati la Scuola Elementare di Via Garibaldi e le Scuola Media in Via Elisabetta Noto. “Quanta acqua può bere un pesce che nuota liberamente nell’acqua?” Così il bramino Kautilya nel IV secolo a.C., nel suo libro ‘Arthashastra’, affrontava il tema della difficoltà nel riuscire a provare la disonestà finanziaria di un pubblico ufficiale.

 

La società va trattata tenendo conto che è composta di persone sensibili alla corruzione, al disprezzo, all'adulazione. Usando queste tre leve non dovrebbe essere difficile dominarla.

Ennio Flaiano

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

Pubblicato in Calabria
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