La Corte d'Appello di Milano ha condannato il giudice del Tribunale di Reggio Calabria, Vincenzo Giuseppe Giglio, e l'ex consigliere regionale calabrese Francesco Morelli, a 4 anni e 5 mesi ( in luogo di 4 anni e 7 mesi) e a 8 anni e 3 mesi( in luogo di 8 anni e 4 mesi), riducendo lievemente le pene inflitte in primo grado, nell'ambito del processo con al centro le infiltrazioni della 'ndrangheta in Lombardia.
Ma già i legali preannunciano ricorso.
Franco Morelli, cosentino, era considerato uno dei politici più influenti del centrodestra calabrese, eletto con migliaia di preferenze, vicino agli ambienti vaticani.
Il suo arresto aveva suscitato molto clamore.
La condanna più alta è quella inflitta a Giulio Lampada, 14 anni e 5 mesi( in luogo di 16 anni).
La Corte ha in sostanza accolto le richieste del pg Laura Barbaini.
La quarta Corte d'Appello di Milano nell'accogliere in sostanza le richieste di conferma delle condanne inflitte in primo grado dal sostituto procuratore generale Laura Barbaini, riducendo nella maggior parte dei casi lievemente le pene, ha condannato
Raffaele Fermino a 4 anni e 8 mesi di reclusione,
il medico Vincenzo Giglio (cugino del giudice) a 7 anni di carcere( in luogo di 4 anni e 6 mesi),
Leonardo Valle a 8 anni e 6 mesi( in luogo di 9 anni e 6 mesi)
Francesco Lampada a 3 anni e 8 mesi, ( in luogo di 4 anni e 6 mesi)
l'ex militare della Guardia di Finanza Luigi Mongelli a 4 anni e 5 mesi di reclusione,
Maria Valle a 2 anni e 9 mesi di reclusione e
Luciano Russo, Michele Noto e Michele di Dio, tre finanzieri assolti in primo grado, a 3 anni e 9 mesi di reclusione.
Le motivazioni dei giudici saranno depositate entro 90 giorni.
Le condanne di oggi riguardano le infiltrazioni della 'ndrangheta in Lombardia della cosiddetta ''zona grigia'' al centro dell'inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto di Milano, Ilda Boccassini, e dai pm Alessandra Dolci e Paolo Storari, e che nel 2011 portò agli arresti degli imputati, alcuni dei quali come Giulio Lampada, Leonardo Valle e Raffaele Firmino, sono ancora in carcere.
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Reggio Calabria
Uno stranissimo ed ingombrante silenzio incombe su Amantea.
Non parlano( ut more solito) né la politica, né l’amministrazione comunale, né le varie associazioni che da tempo hanno assunto il ruolo di tutor della città, da un lato.
Non parlano le Forze dell’ordine , per quanto il loro parlare è come si dice “un parlare pesato”, cioè corrisponde ad azioni.
Non parlano, almeno per ora, i clan con le ordinarie azioni delittuose dietro le quali si nascondono sempre messaggi trasversali, non di auguri.
Parla, soltanto, qualche quotidiano locale che ospita ipotesi che muovono nell’alveo di intrecci che sposano in qualche modo anche la politica.
Una ipotesi che ascrive l’attentato alla cooperativa APA ad un “gran rifiuto” ; il rifiuto della assunzione di due persone legate ai clan.
In una economia “moribonda”, se non “morta” quale è quella di Amantea, città nella quale quasi tutte le grandi imprese hanno posto decine e decine di dipendenti in cassa integrazione e nella quale soffrono perfino i supermercati che non riescono ad assumere più, pronti, come sono, anzi, a mettere in cassa integrazione gli stessi attuali dipendenti, resistono solo le cooperative alle quali il comune graziosamente offre lavoro.
Ed oggi chi offre lavoro è colui che comanda.
Ed è a chi comanda che un popolo fragile si rivolge.
E chi comanda sotto le elezioni può influire sulle stesse; oggi come ieri.
Ed appariva logico attendersi la attenzione verso chi può offrire lavoro, cooperative in primis.
Quello che non si comprende( o si comprende bene) è la cooperativa verso la quale è stato diretto l’attentato.
E, proprio per questo, continua la attenzione degli investigatori sul sistema delle cooperative e dei loro rapporti con il comune di Amantea
Un’attenzione che si avvia verso eventuali contatti anche storici con i clan ed i loro uomini , con i partiti ed i loro uomini, con i garanti ed i loro uomini
Per ora è silenzio. Ma fino a quando durerà?
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