Redazione TirrenoNews
Dal 2005 la Redazione di TirrenoNews.Info cerca di informare in modo indipendente e veloce.
Email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Paola, Corte dei Conti condanna Luca Mannarino: sanzione milionaria
Mercoledì, 09 Gennaio 2019 15:46 Pubblicato in Alto TirrenoDa Iacchite - 9 Gennaio 2019
Fonte: Marsili Notizie (http://www.marsili notizie.it) di Francesco Frangella
Un milione e cinquecentocin quantottomila euro (1milione 558mila euro), a tanto ammonta la sanzione che la Corte dei Conti, a distanza di tre anni dall’avvio del procedimento, ha comminato nei confronti dell’ex presidente di Fincalabra, il paolano Luca Mannarino.
Nella fattispecie si tratta di una vera e propria condanna, scaturita da un procedimento avviatosi nel 2016 e culminato nei rinvii a giudizio dello scorso mese di maggio.
Insieme a colui che a Paola in tempi recenti ha pure diretto le attività dell’associazione “Territorio Solidale” – dedita alla “social innovation” e per lungo tempo ospitata nei locali del centro laboratoriale “A. Eboli”, a Largo 7 Canali, edificio dinnanzi al quale proprio l’associazione ha organizzato uno spettacolo singolo da 8mila euro il 30 aprile 2017 , nonché struttura dalla quale sono “spariti” 6 computer, ancora oggi avvolti in un mistero – sono stati condannati gli ex consiglieri di amministrazione Marcello Martino e Pio Turano, ai quali è stata inflitta la liquidazione di 115mila euro nei confronti della Regione Calabria.
L’accusa nei riguardi di questi primi condannati, partiva da un’indagine della Guardia di Finanza secondo cui, da fine agosto a metà novembre del 2015, Mannarino – col supporto di membri del Cda di Fincalabra e col concorso di dirigenti della banca Widiba spa – avrebbe “distratto” fondi comunitari per un valore di oltre 46 milioni di euro, denaro affidato in gestione a Fincalabra col vincolo esclusivo di utilizzarli per il finanziamento di progetti presentati da piccole e medie imprese.
Dall’esposto denuncia di Carmelo Salvino, subentrato alla guida di Fincalabra nel 2016, gli inquirenti hanno ricostruito una vicenda che – così come recita una nota ufficiale della Regione Calabria – parte dalla «conclusione delle operazioni di investimento finanziario con classi di rischio alte in base alla classificazione MiFID (Direttiva UE 2004/39/CE, che modula in senso scalare e progressivo, da 1 a 7, il rischio delle attività finanziarie) in violazione delle norme comunitarie di riferimento, oltre che dell’accordo di trasferimento sottoscritto fra Fincalabra e la Regione per la gestione delle ingenti somme destinate a sostenere le iniziative provenienti dal tessuto imprenditoriale calabrese».
Tali investimenti, effettuati per il tramite di intermediario bancario qualificato (Banca Widiba spa – gruppo Monte dei Paschi di Siena), hanno causato perdite per oltre un milione di euro.
La Regione Calabria, costituitasi “parte civile” nel processo, ha evidenziato e sottolineato come le condotte contestate «abbiano arrecato grave pregiudizio all’intero tessuto socio-imprenditoriale regionale, attraverso l’utilizzo distorto ed illegittimo, a fini personali, di risorse finanziarie pubbliche (comunitarie), a tal punto da determinare una ingiustificata e difficilmente recuperabile perdita delle stesse, con danno per tutta la comunità territoriale».
Fratello di Stefano (Giovanni) – ex assessore al bilancio comunale nel corso della sindacatura di Basilio Ferrari e attuale coordinatore paolano di Forza Italia – Luca Mannarino aveva assunto il timone di Fincalabra nel 2014, prendendo il posto dell’uscente Umberto de Rose
Troppe cosce al vento. Interviene il parroco di Francesco Gagliardi
Mercoledì, 09 Gennaio 2019 15:33 Pubblicato in ItaliaA S. Daniele c’è crisi.
Ma a Resia un altro tipo di cosce non conosce ombra di crisi.
Amici di Tirreno News, oggi vi voglio parlare di una lettera che un parroco, giovanissimo, di un paesino in provincia di Udine, ha indirizzato ai fedeli e paesani per criticare l’abbigliamento delle ragazze durante le funzioni religiose.
Siamo a Resia, un comune poco più di mille anime al confine con l’Austria e il parroco si chiama don Alberto Zanier.
Secondo il sacerdote a far concorrenza a uno dei grandi prosciutti italiani conosciuto in tutto il mondo, il S. Daniele, c’è ora una nuova coscia, quelle delle ragazze del paese che frequentano la sua chiesa.
E avete letto bene, amici.
Il parroco se la prende con quelle ragazze che durante le funzioni religiose si presentano in chiesa con vistose minigonne e mostrano alla gente con disinvoltura le loro cosce suadenti e sinuose.
Le parole del parroco, come era previsto, hanno suscitato le reazioni delle giovani donne di Resia, del Sindaco del paese e molta ironia.
Non hanno gradito l’accostamento che ha fatto il parroco delle loro cosce col prosciutto S. Daniele. Cosce al vento come prosciutto. Ma no, don Alberto.
Queste belle cosce ce le ha donate il suo Dio e sono belle da vedere, così hanno scritto le ragazze su Facebook.
Ma forse don Alberto un po’ di ragione ce l’ha.
Anche dalle nostre parti in occasione di Battesimi, Cresime, Matrimoni, vediamo in chiesa belle ragazze che indossano gonne troppo mini e mostrano con disinvoltura le loro cosce suadenti e provocanti.
Il parroco di Resia si è ribellato e ha fatto bene.
Quando si è fuori, all’aperto, quelle vistose minigonne vanno benissimo, ma in chiesa no. La chiesa è un luogo di culto.
Chi va in chiesa e ci crede là c’è Gesù nel Santissimo Sacramento dell’Altare.
Anche il Resto del Carlino è intervenuto con un articolo a carattere cubitale:- Ora basta cosce nude in chiesa- In chiesa si va per pregare non per ballare.
Non si va con gonne troppo mini e le ragazze non devono mostrare alla gente e al parroco che celebra la Santa Messa le loro cosce anche se sono sinuose, suadenti e meravigliose.
Forse don Alberto ha un po’ esagerato, ma bisogna comprenderlo.
La Chiesa è un luogo di culto, non è una balera o un night club.
Le cosce bene in vista sono una mancanza di rispetto verso gli altri, verso quelli che ti stanno accanto e potrebbero urtare la loro sensibilità e come ha scritto don Alberto:- Addirittura provocare la loro sessualità -.
Ma forse la colpa non è tutta delle ragazze che indossano gonne troppo mini e mostrano le cosce nude.
E’ delle mamme, conclude il parroco. Care mamme, quando le vostre figlie escono di casa vedete come vanno in giro?
Vedete come vanno a Messa?
Il Sindaco di Resia difende le ragazze: Le conosco da sempre, non hanno grilli per la testa.
Questo episodio che vi ho raccontato ha rotto la tradizionale riservatezza del piccolo paese friuliano e lo ha fatto salire agli onori delle cronache nazionali.
Paola: fatture gonfiate per 800 mila euro. Denunciati due imprenditori
Mercoledì, 09 Gennaio 2019 15:06 Pubblicato inI finanzieri della Compagnia di Paolahanno eseguito un Decreto di sequestro preventivo, anche per equivalente di beni per un valore pari ad euro 226.522,40, emesso dal G.I.P. presso il Tribunale di Paola – dott.ssa Rosamaria Mesiti, su richiesta del Procuratore dott. Pierpaolo Bruni e del Sostituto dott. Maurizio De Franchis, nei confronti di 2 imprenditori residenti nella Provincia di Cosenza, per evasione di imposte sui redditi.
L’operazione è stata denominata “Triangolo”.
Il sequestro, eseguito nei giorni scorsi, ha ad oggetto i saldi attivi di 3 conti correnti, fino a concorrenza dell’importo sequestrato.
Le Fiamme Gialle paolane hanno scoperto un sofisticato meccanismo di c.d. sovrafatturazioni, pari a oltre 800 mila euro, attuato da due imprenditori appartenenti allo stesso nucleo familiare e titolari di tre società operanti nel settore della “Fabbricazione e commercializzazione di prodotti medicali”: due di diritto Italiano e una di diritto Albanese, con sede a Tirana.
Nel dettaglio, quest’ultima società acquistava beni da fornitori Cinesi e Pakistani, i quali spedivano la merce in Italia, con scalo al porto di Gioia Tauro (RC) e destinazione le sedi delle società Italiane, che a loro volta la ricevevano in virtù delle fatture di vendita (gonfiate) emesse nei loro confronti dalla stessa società Albanese.
In sintesi la società Albanese (riconducibile ad uno degli indagati) acquistava dagli stessi fornitori extracomunitari la merce ad un determinato prezzo, che poi provvedeva a rivendere alle due società Italiane (riconducibili ad entrambi gli indagati), ma ad un prezzo pressoché raddoppiato e senza che la merce subisse processi di lavorazione.
Con tali stratagemmi gli indagati traevano un indebito ed illecito vantaggio fiscale, rappresentato dal fatto che annotavano nelle contabilità delle società Italiane e indicavano nelle dichiarazioni presentate ai fini delle imposte sui redditi, l’intero importo delle fatture emesse dalla società Albanese, superiore a quello effettivo e reale, così aumentando i costi e diminuendo la base imponibile da sottoporre a tassazione.
Il complicato meccanismo fraudolento triangolare è stato accertato dai Finanzieri all’esito di un laborioso esame della contabilità delle imprese e delle copie dei supporti informatici acquisiti nel corso delle attività investigative.
Al temine delle indagini sono state denunciate 2 persone per i reati di “Emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti”, le quali con il sequestro disposto dal Tribunale di Paola vengono private di denaro per 226 mila euro.