Un tempo gli indiani d’America cantavano questa poesia “Dèi del tuono, prestate ascolto ai magici sonagli e al suono dei tamburi, da due lune i ruscelli sono asciutti, come fantasmi gli uccelli allineati, sostano all'ombra senza più cantare.
Nostro fratello, il Sole, non trova più il suo viso nel letto luminoso del torrente; i suoi occhi vedono soltanto fango giallastro, disseccato, rugoso come il volto di una vecchia.
Il girasole protende avidamente la bocca alla rugiada con labbra screpolate, a capo chino, sono fragili e stanche le sue braccia di foglie.
Ay-yee! Tuono, dèi delle grandi acque, il popolo dei fiori, l'erba affamata, le creature dell'aria e dell'acqua,i figli della terra vi supplicano, ascoltate le nostre mille preghiere. Hah-yèe! Hah-yò-o-o-o!”
Oggi ad Amantea la invocazione contraria: “O cielo smetti questa pioggia insistente. Dacci il tempo di passare una mano di bitume impermeabilizzante sul tetto del campus onde evitare che l’acqua filtri e scenda sotto, gli intonaci non restino umidi e la pittura si scortichi.
E’ stato inutile l’allarme emesso dall’architetto Giuseppe Maria Vairo.
Ma è solo questione di tempo.
Due volte.
Una volta perché ci vuole un po’ di tempo.
E la seconda vota perché ci vuole un po’ di bel tempo.
Ma non disperiamo.
Se sotto per l’erba possiamo sempre chiamare le pecore tosaerba, per la bitumazione possiamo chiedere agli amici indiani d’America di non suonare i magici sonagli ed i poderosi e rumorosi tamburi.
Così il campus si asciugherà , i ruscelli si asciugheranno, gli uccelli allineati, sosteranno all'ombra senza più cantare, come fantasmi.
E poi il Sole, non troverà più il suo viso nel letto luminoso del torrente; ed i suoi occhi vedono soltanto fango giallastro, disseccato, rugoso come il volto di una vecchia ed il girasole protenderà avidamente la bocca alla rugiada con labbra screpolate, a capo chino.
E l’erba affamata di acqua seccherà.