27 gennaio 1945, fine dell’assurdo immane genocidio degli ebrei che grida vendetta al cospetto di Dio.
Quel lontano giorno di tantissimi anni fa è una data storica molto importante: fine dello sterminio degli Ebrei in Europa voluto da Hitler.
In quel lontano giorno di 73 anni fa i soldati dell’Armata Rossa liberarono gli ebrei sopravvissuti alla soluzione finale che ancora erano rinchiusi nel campo di concentramento di Auschwitz.
Se avessero ritardato anche di poche ore moltissimi di loro sarebbero finiti nelle camere a gas e nei forni crematori.
E così, per la prima volta, il mondo occidentale potette vedere da vicino quello che realmente aveva fatto il regime nazista in tutta la sua realtà.
In quel triste campo di concentramento non finirono soltanto cittadini ebrei, ma zingari, omosessuali, oppositori del regime nazista.
Venne costruito nel 1940, durante la seconda guerra mondiale, per accogliere detenuti politici.
Poi nel 1941 ebbe un notevole potenziamento con l’apertura del più grande campo di Birkenau e con l’installazione di varie fabbriche tra cui Krupp e Siemens.
In queste fabbriche si sfruttava il lavoro coatto degli internati.
Gli ebrei venivano caricati su vagoni ferroviari piombati senza cibo e senza acqua e portati ad Auschwitz. Dopo aver attraversato quel cancello in ferro battuto venivano fatti scendere sulla cosiddetta “Judenramp” e poi subivano la prima selezione.
Atroce rituale all’ingresso del campo: denudamento, rasatura, tosatura, doccia, vestizione, numerazione. I vecchi finivano subito sotto le docce, così chiamavano i nazisti le camere a gas.
Gli uomini e le donne giovani a lavorare nei campi di lavoro affollati e malsani e poi man mano anche loro finivano nelle docce e nei forni crematori.
Lavoravano e soffrivano prima di essere avviati alla morte.
Al di là di quel famoso cancello dove campeggiava la scritta “Il lavoro rende liberi” c’era davvero l’inferno.
E noi oggi per ricordare quel triste evento celebriamo La giornata della memoria, per non dimenticare e per far si che tragedie simili non si ripetano mai più.
Apprendo con vivo compiacimento che anche la nobile città di Amantea a noi tanto cara vuole commemorare quel lontano giorno alla presenza delle autorità e dei cittadini per ricordare l’immane genocidio e le stragi di milioni di innocenti.
Altri crimini, altri genocidi ci sono stati in passato in Europa e nel mondo e ancora oggi troppi sono in corso sulla faccia della terra, ma quello che veramente è accaduto nei lager nazisti ha superato ogni forma di barbarie xenofoba razzista.
In quei famigerati campi si praticava finanche la tortura fisica e psicologica e si sperimentavano su quei corpi martoriati nuovi medicinali e metodi di chirurgia.
Almeno sei milioni di internati perirono nelle camere a gas; contingenti minori vennero eliminati mediante iniezioni di fenolo, fucilazione di massa o impiccagioni.
La Giornata della Memoria che noi celebriamo ogni anno è entrata in vigor soltanto nel 2000 con una Legge dello Stato. Il testo approvato dal Parlamento stabilisce che ogni anno le scuole e le università organizzino per il 27 gennaio manifestazioni volte a ricordare i campi di sterminio nazista e gli oltre sei milioni di ebrei che perirono in quei famigerati lager.
Ma queste celebrazioni servono per davvero?
A chi ha ancora dei dubbi rispondo con un “Sì”.
Servono a combattere il razzismo, la xenofobia, l’odio razziale.
Anche in Calabria, nelle scuole, nelle Università, a Ferramonti di Tarsia si celebra il Giorno della Memoria.
Per chi ancora non lo sapesse il regime fascista aveva fatto costruire anche in Calabria un campo di concentramento dopo l’approvazione e l’entrata in vigore delle famose Leggi razziali del 1938, un complesso e aberrante sistema per la difesa della razza ariana.
Certo, era un campo di concentramento diverso di quello di Aushwitz o della Risiera di San Sabba a Trieste. A Ferramonti non ci furono camere a gas e forni crematori.
Ma era pur sempre un campo di concentramento dove centinaia di ebrei erano costretti a vivere nella promiscuità in capannoni affollatissimi.
C’erano le cimici ed i pidocchi e moltissimi si ammalarono di malaria, perché negli anni 40 il campo era stato costruito su un terreno paludoso e infestato dalle zanzare.
C’erano nel campo, però, una biblioteca, una sala cinema e altri spazi ricettivi.
Riconoscere queste differenze non significa però che anche il male nella nostra amata Calabria non c’era. C’era, eccome! Solo che i prigionieri venivano trattati come esseri umani e non come bestie. E il Direttore del campo Paolo Salvatore pur facendo rispettare le ferree regole del campo ha cercato sempre di essere vicino agli internati.
E anche i cittadini di Tarsia hanno contribuito per quel poco che potevano fare di lenire le sofferenze e i disagi degli internati. Fra le testimonianze letterarie di Auschwitz, una delle più drammatiche, è costituita dalle memorie di Primo Levi “Se questo è un uomo” (1947).
Precisa l’autore nella prefazione.-
L’opera è stata scritta allo scopo non di formulare nuovi capi d’accusa ma, per fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano e soprattutto per soddisfare l’impulso e il disagio di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi -.
Levi nel suo libro parla di “un viaggio verso il nulla, viaggio all’ingiù, verso il fondo”.