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Su Eurointelligence, Wolfgang Münchau offre una piccola rassegna stampa e commenta in prima persona la recente crisi diplomatica tra Francia e Italia. Anche agli occhi degli europeisti convinti, come è Münchau, l a mossa di Macron sembrerebbe, per modalità e tempi, un vero e proprio colpo di testa fatto per motivi di politica interna, ed evidenzia la sua debolezza politica e la sua inadeguatezza per il ruolo. Non solo, infatti, compatta il governo italiano, ma toglie anche al presidente francese ulteriore credibilità come leader del fronte europeista alle prossime elezioni europee. Anche gli europeisti convinti dunque non esitano più a definirlo un buffone.

La Francia ha richiamato il suo ambasciatore in Italia, una mossa che non ha precedenti dalla Seconda Guerra Mondiale. La causa scatenante è stata l'incontro tra Luigi Di Maio e i gilets jaunes, ma in gioco c'è molto di più.

Di Maio e Matteo Salvini stanno attaccando Emmanuel Macron da mesi. Fino ad ora il presidente francese ha ignorato questi attacchi considerandoli insignificanti e ha ribadito che tratta soltanto col primo ministro italiano. Cosa è cambiato? Elevare una crisi politica ad affare di stato è una mossa alquanto straordinaria, che avrà conseguenze politiche. Macron ci ha riflettuto?

Per prima cosa esaminiamo la causa scatenante: Di Maio si è incontrato con membri della lista di Ingrid Levavasseur e di un altro dei rappresentanti più espliciti dei gilets jaunes, il controverso Christophe Chalencon. Di Maio ha quindi postato una foto tutti insieme in un tweet entusiasta su Twitter. La Levavasseur non c'era, aveva anche avvertito che Di Maio stava pregiudicando il progetto su cui stavano lavorando e ha ribadito che, anche se erano presenti dei membri della sua lista, la lista non c'entra niente. Quindi questa foto è soltanto un po' di fumo negli occhi, destinato agli elettori Cinque Stelle? La strategia di fomentare il risentimento contro il presidente francese può essere un modo per aumentare la sua visibilità in vista delle elezioni europee? Secondo il canale televisivo italiano La 7, la settimana scorsa Giuseppe Conte avrebbe detto ad Angela Merkel che Di Maio punta ad attaccare la Francia per recuperare il terreno perso in vista delle elezioni europee, poiché è rimasto indietro rispetto a Salvini che ha già dalla sua parte il tema dell'immigrazione.

Adesso che Macron ha risposto in modo così pesante, il gioco è cambiato. Il fatto che Chalencon abbia invocato un colpo di stato militare nelle prime settimane dei jilets jaunes aiuta il governo francese a sostenere la tesi per cui questo, dopo tutto, è un affare di stato. Ma non ci sembra un collegamento essenziale. Lo stesso ambasciatore è rimasto sorpreso dalla mossa di Macron di richiamarlo a Parigi. Les Echos cita un ex-ambasciatore in Italia che la considera una reazione eccessiva e pensa che sarà di breve durata.

Cosa ne viene a Macron? A livello europeo, Macron può sperare di rianimare il suo fronte anti-populista. Manda un'immagine forte, di un presidente che agisce se provocato. Gli elettori francesi di destra che lo hanno considerato troppo remissivo nei confronti degli interessi tedeschi col trattato di Aachen potrebbero rallegrarsi di questa risposta vigorosa all'Italia.

Ma questa messa in scena avrà effetti duraturi? Non gli si ritorcerà contro se cercherà egli stesso di formare un'alleanza transnazionale per le elezioni europee?

C'è un intento strategico dietro la decisione di Macron?

Non si può negare che la decisione francese di richiamare il suo ambasciatore dall'Italia rappresenti una grave crisi europea. Come ricordano i giornali italiani, questa è la prima volta che accade dal 1940 - quando si verificò per ovvie e differenti ragioni. I media italiani riportano che la decisione non è stata preceduta da una telefonata. Il ministro degli esteri lo ha appreso da un comunicato stampa, come chiunque altro. L'effetto immediato della mossa di Emmanuel Macron è quello di creare coesione tra il governo italiano e i suoi critici. Prendete Lucia Annunziata, direttrice dell'Huffington Post Italia e nota ospite dei talk show televisivi, una persona che abbiamo sempre reputato vicina a Matteo Renzi. Di seguito la sua analisi di stamani:

"Improvvisamente, in un primo pomeriggio qualunque di febbraio, siamo entrati in "guerra" con la Francia. Ma il conflitto arriva in un precipitare di dichiarazioni, risposte, e ragioni esposte e negate, che si susseguono in un percorso affrettato, imprevisto, caotico: nessun passo formale fra i governi delle due nazioni, nessun passaggio istituzionale o telefonata fra i vertici dei due paesi. Precipitiamo in uno scontro frontale Italia-Francia per via extraistituzionale, come se si trattasse di uno scontro fra due partiti. Che, alla fine, è esattamente quello di cui si tratta: due campagne elettorali che si incrociano e che esplodono nello spazio comune europeo."

Annunziata non si schiera con le tattiche di Luigi Di Maio, ma riserva gran parte della sua critica a Macron. Considera la sua decisione un segno di debolezza, visto il fallimento nel procurarsi il necessario sostegno alla sua visione europea.

In Italia, la generale reazione politica è stata contenuta. Il Primo Ministro Giuseppe Conte ha detto di essere semplicemente sbalordito - senza parole, più che arrabbiato. I politici Cinque Stelle hanno interpretato la reazione di Macron come un colpo di cannone che dà inizio alla campagna per le elezioni europee, e promettono di farlo anche loro. La Lega ha cercato di prendere le distanze dai Cinque Stelle, mentre la rivalità tra i due partiti cresce in vista delle elezioni europee. E, come suggerisce un articolo del Corriere di stamani, questo conflitto ha risollevato il profilo pubblico dei Cinque Stelle, rimasto sotto tono rispetto a quello della Lega. In un colpo solo, i Cinque Stelle sono di nuovo sulla ribalta.

Nikolas Busse offre una prospettiva diversa nel suo commento sul Frankfurter Allgemeine. Non si concentra tanto sul fatto che Macron abbia ragione o torto ad agire in questo modo, quanto sull'impatto negativo che i populisti italiani hanno già avuto sulla cultura del dialogo politico in Europa. L'intera idea dell'integrazione europea è quella di risolvere le differenze legittime in modo civile, attraverso le negoziazioni. Quando un ministro italiano dialoga con dimostranti violenti, incluso un uomo che invoca una dittatura militare in Francia, ha attraversato una linea rossa. I teppisti di destra e di sinistra in Europa sono riusciti a distruggere le relazioni bilaterali tradizionalmente buone tra gli stati membri, in un breve periodo di tempo.

Scrive Wolfgang Münchau del Financial Times:

Macron ha trasformato un confronto politico transfrontaliero in un confronto tra stati. Supporrei, ma non posso esserne certo, che ci siano altri calcoli dietro questa mossa, oltre a quello che ci è stato detto. Suppongo anche, ma non posso esserne certo, che abbia una strategia d'uscita. Ha considerato se diventerà più facile o più difficile per lui dar vita a un'alleanza in un paese dove non ha alleati naturali nello spettro politico - eccezion fatta per Matteo Renzi, il lupo solitario della politica italiana? Un'altra domanda è come questa storia finirà nei paesi più piccoli della UE, che tradizionalmente sono sensibili alle prepotenze da parte dei paesi UE più grandi. I politici come Sebastian Kurz si schiereranno con il vicino italiano o con Macron?

Mi chiedo anche come Angela Merkel consideri questa situazione. Suppongo che Macron non l'abbia nemmeno consultata sulla decisione - poiché non si è nemmeno preoccupato di avvisare né Conte né il Presidente italiano Sergio Mattarella. Mattarella ha agito in modo molto professionale e si è offerto come mediatore nella disputa. Per quale motivo Macron non lo ha cooptato prima di prendere la decisione? La mossa di Macron coincide con un'altra: cancellare la sua partecipazione alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco per concentrarsi sui temi interni. Sono solidale con la posizione francese sul Nord Stream 2, ma non è stupido attaccare l'Italia e la Germania nello stesso giorno? In Inghilterra, ricordo che fino a non molto tempo fa il concetto di "diplomazia tedesca" era considerato un ossimoro. In questi giorni, se volete vedere reazioni diplomatiche impulsive, dovete guardare a sud delle Alpi e a ovest del Reno. La modalità delle decisione, la mancanza di coordinamento e la breve cronistoria della presidenza Macron mi portano a concludere che sia stato un atto impulsivo, fatto nel contesto della politica interna, senza alcuna considerazione per il bene e gli interessi della UE. La tragedia degli europeisti come noi è che il nostro rappresentante politico più illustre nella UE agisce come un buffone

Wolfgang Münchau, 8 febbraio 2019

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Francia e Germania difendono l’Europa ma firmano patti nazionalisti.

Della serie #noisiamonoievoi nonsieteuncazzo#

Aquisgrana, ecco perché il patto tra Francia e Germania è contro l’Italia

Roma, 22 gen – Buffo che i detrattori del sovranismo e della capacità di autodeterminazione dei popoli siano anche quelli che, in un contesto di ricordi storici come quelli legati a de Gaulle e Adenauer, mettono nero su bianco accordi bilaterali che puzzano di corsia preferenziale e di nonnismo verso i paesi considerati alla stregua di un cattivo studente passibile di bacchettate.

O meglio, ci vuole della faccia tosta per far tutto questo pazziare.

Ebbene, la Francia e la Germania, ossia Macron e la Merkel, questa faccia tosta ce l’hanno.

E per dirla con tutti i sepolcri imbiancati di coloro che chiedono all’Italia un comportamento da paese normale e civile, non è affatto normale che questi due si incontrino serenamente ad Aquisgrana per siglare un patto bilaterale che creerà una superpotenza all’interno dell’Unione Europea e della Nato, soprattutto se viste le precedenti lavate di capo che i due maestrini hanno riservato a noi e a quelli di Visegrad, rei, a detta loro, di aver ceduto alle lusinghe del riformismo sovranista.

Oltre a non essere normale, è assai indicativo di ciò che andiamo dicendo ormai da tempo immemore.

V’è un asse franco-tedesco che determina gli equilibri all’interno dell’Europa intera potendo far pendere la bilancia del rigorismo purchessia dalla loro parte, ossia dalla parte di chi ha fatto dell’austerità un mantra inattaccabile, sebbene Juncker abbia ammesso, giorni or sono, la portata devastante di tali misure soprattutto se applicate in un contesto di crisi economica.

Sempre che non avesse alzato il gomito. Per non parlare della questione delle questioni, ossia dell’accoglienza/respingimento dei clandestini afro-islamici che dalla Primavera araba si riversano sulle coste dell’Europa del sud e principalmente su quelle italiane, senza che i due paesi egemoni abbiano mai proferito parola se non per darci una pacca sulla spalla e riderci dietro.

Gli eventi scatenanti questo esodo biblico sono oltretutto dovuti a quella Francia presieduta da Sarkozy che, coadiuvata dal Nobel per pace Barack Ussein Obama, scatenò i bombardamenti contro Gheddafi consegnando le chiavi della Libia a tribù, trafficanti di uomini e sigle del terrore islamico. Ci disarcionarono dal cavallo delle buone relazioni tessute col dittatore libico grazie alle quali avevamo una corsia preferenziale in fatto di petrolio, gas e appalti libici concessi ad aziende italiane. E oggi, con questo accordo, nessuno penserà più di chieder conto ai cugini francesi di quanto fatto otto anni or sono. Anzi, si prefigura una cortina d’omertà ancora più spessa e impenetrabile data l’instaurazione di rapporti ancor più forti tra i due colossi europei. La Francia, così si legge nelle sedici pagine del trattato, avrà come obiettivo anche quello di far entrare la Germania nel gruppo di paesi che in seno alla Nato hanno il potere di veto. Privilegio, questo, concesso ai vincitori del secondo conflitto mondiale. E Macron, dopo questa promessa, ha l’ardire di rinfacciarci il passato fascista riconducendovi l’obbligo d’accoglienza.

Una risposta necessaria

A proposito di facce toste, chissà cosa diranno i pasdaran dell’europeismo e i talebani anti-Brexit. Quei Renzi tutti imbellettati, giovani rampanti che pensavano di essere dei Macron italiani ma del tutto incapaci di comprendere il vero senso della simpatia intercorrente tra Francia e Germania ossia un collaborazionismo tutto loro che mai ha tenuto conto delle istanze altrui e della dignità altrui. Fatto sta, però, che la Merkel si è data una zappata clamorosa sui piedi quando pensò di accogliere un milione di immigrati, sostanzialmente tutti siriani, ritenendo che ciò non avrebbe avuto una ricaduta sull’assetto sociale e sulla tenuta della sicurezza del suo paese. E Macron, beh su di lui v’è poco da dire visto che dice già tutto il movimento spontaneo denominato “gilet gialli” che dalle periferie islamizzate chiede il diritto per i propri figli di vivere la Francia vera e non quella cosmopolita e afflitta dalla mentalità erasmus. Non godono entrambi di ottima salute, e dunque questo sembra il tentativo di chi, non potendo far conto su sé stesso, si affida al motto “l’unione fa la forza”.

L’Italia deve a questo punto stringere i legami col gruppo di Visegrad e con tutti coloro che ritengono inaccettabile un accentramento di potere di questo tipo all’interno di un contesto propagandistico del genere volemose bene e boia ai sovranisti. Identità, cultura, difesa del proprio passato e, perché no, una serrata opposizione alle misure imposte da Bruxelles, il tutto in vista di una rinascita (anche) economica che lascerà la libertà ai nostri imprenditori di restituire grandezza a questo paese. Adesso o mai più.

Lorenzo Zuppini

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Ogni grammo di droga è una vita smarrita, una famiglia distrutta.

La lotta contro lo spaccio di droga allora è la lotta per la civiltà e per la sopravvivenza dell'uomo.

E chiunque spacci deve essere punito, seriamente.

 

Se poi lo spacciatore non è italiano dopo il processo immediato ed il carcere deve essere allontanato dalla nostra terra per evitare che continui a far danno.

Ieri a Torino è stato fermato Corso Vittorio Emanuele II dalla Guardia di Finanza un nigeriano trentenne che viaggiava su un autobus low cost, proveniente dalla Francia, e diretto a Torino.

Tra i passeggeri i finanzieri hanno sorpreso il corriere della droga che aveva con sé, nascosti in una calza, 68 ovuli contenenti eroina e cocaina purissima per un peso complessivo di quasi un chilogrammo di droga.

L’uomo, un 30enne nigeriano che ha tentato di defilarsi una volta sceso dall’autobus, è stato arrestato per traffico di sostanze stupefacenti e condotto presso il carcere Lorusso Cutugno di Torino a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.

I controlli delle Fiamme Gialle Torinesi nelle aree cosiddette sensibili, quali Terminal degli autobus, stazioni ferroviarie e della metropolitana, scaturiti anche a seguito delle numerose segnalazioni giunte al numero di pubblica utilità “117”, si inseriscono nel quadro della costante azione di controllo del territorio, svolta nei principali punti di aggregazione della città, finalizzata a tenere alto il livello di attenzione sulla diffusione e sul consumo di droghe.

Da Torinotoday

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carabinieri-campagnaLa scorsa estate una famiglia francese composta da padre, madre e figlio di 23 anni, che abita in un piccolo paese di appena 150 abitanti nel centro della Valle della Loira, ha trascorso la villeggiatura nella nostra regione. Poi mamma e papà sono ritornati in Francia, lasciando il figlio ancora in Calabria. Sarebbe dovuto tornare per il nuovo anno, ma così non è stato. I genitori si sono preoccupati e hanno incominciato a fare delle telefonate, ma il suo cellulare è risultato sempre spento. Allora si sono rivolti alle autorità e hanno sporto formale denuncia e subito in Calabria sono iniziate le ricerche. Le ricerche, grazie ai Carabinieri e ai Vigili del fuoco del Basso Tirreno Cosentino, sono state fruttuose. Il camper su cui viaggiava il giovane francese è stato trovato in una zona periferica di Longobardi, ma del ragazzo nessuna traccia. La zona è stata perlustrata in lungo e in largo dalle forze dell’ordine, ma fino al momento che stiamo scrivendo questa nota, nessuna traccia, nessun indizio del perché il ragazzo abbia abbandonato il camper e sparire nel nulla. Nessuno ha visto niente di strano, nessuno sa dire esattamente da quanto tempo il camper è parcheggiato in quella zona. Le ricerche continuano senza sosta. Cosa faceva il ragazzo a Longobardi? Perché si è fermato in quella zona periferica? Doveva incontrare qualcuno? O era soltanto di passaggio dalla nostra provincia di Cosenza? Forse è stato costretto da qualcuno a fermarsi? Gli inquirenti stanno vagliando tutte le ipotesi per trovare almeno un piccolo indizio utile per capire il perché il ragazzo abbia abbandonato il camper e poi sparire nel nulla.

Pubblicato in Longobardi

E’ stato molto facile associare il buon risultato della destra alle ultime elezioni in Francia gli attacchi terroristici.

 

Ma la verità è un’altra. La si può leggere nell’articolo di di Leonid Bershidsky del 7 dicembre 2015

“ Può sembrare che la vittoria dell'estrema destra al primo turno delle elezioni regionali francesi di questo fine settimana sia un'eco degli attacchi terroristici a Parigi. Non è così.

Il trionfo elettorale del Front National di Marine Le Pen ha a che vedere con l'economia, più che con la paura o la xenofobia.

Non si può negare che la Le Pen e il suo partito abbiano ottenuto un risultato migliore che mai in un'elezione che gli dà un effettivo potere in Francia (le elezioni per il Parlamento Europeo dello scorso anno, pure vinte dal Front National, non contano). Dopo la riforma che ha ridotto il numero delle regioni amministrative nella Francia continentale da 22 a 12 (per un totale di 13 contando la Corsica), il partito di governo, quello dei Socialisti, era riuscito a prenderle tutte meno una. Ora il partito della Le Pen ha la maggioranza in sei regioni e potrebbe vincerne quattro a seguito dei ballottaggi della prossima domenica.

Si tratta di uno shock per i partiti francesi dell'establishment - i Socialisti e i Repubblicani dell'ex presidente Sarkozy. Il giornale di centrodestra Le Figaro questo lunedì se ne è uscito con il titolo "Lo Shock". Si parla di creare un "fronte repubblicano" per combattere la Le Pen, unendo le forze di Socialisti e Repubblicani - un qualcosa che tanto Sarkozy quanto alcuni politici socialisti odierebbero fare, ma che potrebbe rendersi necessario nelle prossime elezioni se il Front National continuasse a vincere.

Eppure i politici dell'establishment devono decidersi ad attaccare la congestione economica, non la Le Pen. Gli stessi risultati del voto a Parigi suggeriscono che la gente che vive nei quartieri colpiti dai terroristi non ritiene che tenere lontano gli immigrati o dare un giro di vite sui musulmani - due punti fermi del Front National - servirà a risolvere il problema del terrorismo. Wallerand de Saint Just, tesoriere del Front National, non ha vinto e non è nemmeno arrivato secondo in nessuno dei 20 distretti della capitale francese. Saint Just ha ricevuto appena 59.429 voti in tutta Parigi, ed è stato battuto da entrambi i candidati dell'establishment, che ora si trovano testa a testa, entrambi con tre voti a uno contro il candidato del Front National.

Il presidente François Hollande ha rubato alla Le Pen l'arma dell'anti-terrorismo nel momento in cui ha dichiarato guerra allo Stato Islamico, ordinando tra l'altro aggressivi raid della polizia contro i sospetti terroristi all'interno della stessa Francia, e impegnando una maggiore quantità di risorse per i servizi di intelligence e la polizia. La popolarità di Hollande è infatti balzata dal 20 al 27 percento, e il suo tasso di consenso ha raggiunto i massimi dal 2012. Anche il primo ministro Manuel valls, che dopo gli attacchi ha detto che l'Europa "non può più accogliere altri profughi", ha visto crescere la propria popolarità dal 26 al 32 percento. Se gli elettori chiedevano durezza, Hollande e Valls gli hanno dato ciò che volevano. La Le Pen avrebbe probabilmente fatto la stessa cosa se fosse stata al potere.

 

È stato un altro il fallimento dell'establishment che ha portato al successo del Front National. La correlazione tra i voti presi dal Front National nel voto di domenica e il livello di disoccupazione nelle elezioni francesi è 0.80 - un livello che suggerisce una relazione forte.

Marine Le Pen è un'abile donna politica. Deve aver guadagnato un bel po' di voti mettendo in scena un dramma familiare - spingendo suo padre, il fondatore del Front National, fuori dal partito per aver negato la gravità dell'Olocausto. Questa mossa può anche essere stata fatta calcolandone l'effetto: domenica sera un raggiante Jean-Marie Le Pen ha registrato un messaggio di congratulazioni a tutti i candidati e gli attivisti che hanno permesso di arrivare ad essere "il primo partito di Francia". Eppure la volontà della Le Pen di resistere e opporsi a suo padre deve avere impressionato alcuni francesi che si vergognavano di andare a votare per una forza politica nella quale militava come presidente onorario un impenitente anti-semita.

 

La leader del Front National sa anche imparare dai propri errori: al differenza che dopo gli attacchi al Charlie Hebdo dello scorso gennaio, non ha denunciato quelli che esprimevano solidarietà alle vittime definendoli "clown", e le sue dichiarazioni in stile "ve lo avevo detto" sono state relativamente modeste.

Niente di tutto ciò, però, la avvicina a ciò che vuole - la presidenza della Francia nel 2017. Per ora i francesi l'hanno trattenuta dove la posta in gioco è più bassa. Nelle elezioni comunali dello scorso anno il Front National ha preso solo 11 comuni sui 36.000 dove si era candidato, per quanto anche quello fosse stato presentato come un risultato storico. Le attuali elezioni regionali non hanno effetto sugli elettori, e ciò spiega la bassa partecipazione al voto. Le regioni consegnano poteri solo su questioni come il trasporto pubblico, le scuole superiori e i finanziamenti all'arte e alla cultura. Il Front National non riuscirà a costruirsi come forza di governo entro le elezioni presidenziali di aprile e maggio 2017. Il voto sarà con ogni probabilità un voto di protesta, e questo continua ad avere senso finché l'establishment di ostina a trattare l'economia come se questa dovesse riaggiustarsi miracolosamente da sola, con il minimo sforzo da parte loro.

"Per il cittadino che sfoga la sua rabbia il voto al Fronte National è un voto 'utile'", ha scritto Alexis Brezet nell'editoriale su Le Figaro. "Nessun'altra scelta fa rumore quanto questa, nessun altro voto può dire più chiaramente a quelli che ci governano, o a quelli che li seguiranno: 'Proteggeteci, o chiederemo ad altri di farlo'".

Per battere il Front National, i partiti dell'establishment devono avere coraggio e chiarezza, due qualità che finora non hanno avuto. È un compito difficile, perché la stessa Le Pen non deve in fin dei conti fare molto sforzo - deve solo continuare a presentarsi come un'alternativa. A meno che non si siano decisivi miglioramenti economici - o un chiaro piano di opposizione dal centrodestra - i francesi potrebbero decidere di dare alla Le Pen una possibilità un po' più grande che quella di gestire il sistema delle scuole superiori.

disoccupazioneFrontNational

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(NdR: Non è obbligatorio leggerlo, ma potrebbe aiutarci a riflettere e capire!)

 

“Il massacro commesso dagli assassini alla sede di Charlie Hebdo ha scioccato, sconvolto e indignato. Ma lancia anche una sfida. E' compito della polizia chiarire le complicità di cui gli autori di questo crimine efferato hanno potuto beneficiare. Questo sarà il tema dell'inchiesta e, si spera, dell'imminente processo a questi assassini (secondo le ultime notizie uscite mentre scriviamo, gli assassini sono stati uccisi dalla polizia, ndt). Ma, già da ora, emergono due problemi: quello della nazione, e, quindi, della sovranità, e quello della laicità.

Il fallimento dell'integrazione è prima di tutto il rifiuto della Nazione

Ciò che rivelano le derive del settarismo, certamente molto minoritarie, ma comunque esistenti in una parte della gioventù francese, è il sentimento di anomia1 dell'identità. Una parte dei giovani, figli di immigrati, non riescono a integrarsi, perché non sanno a cosa integrarsi. Un'espressione importante, e davvero molto giusta, del maggio 1968 è che non ci si può innamorare di un tasso di crescita. Allo stesso modo, non ci si integra a un PIL. Questi giovani, che a volte manifestano rumorosamente il loro attaccamento al paese d'origine dei loro genitori, sanno che in realtà essi sono respinti dalle società del Nord Africa. Non si sentono francesi, perché non osiamo più parlare della Francia. Eppure, quando le cose vanno male, ci si ritorna immediatamente. Nel suo discorso del 7 gennaio, il Presidente della Repubblica non ha fatto menzione dell'Europa. E' una dimenticanza veramente rivelatrice.

Ma questi giovani sanno bene di essere nati da qualche parte e che la loro storia personale è irreversibile. Questo sentimento può portare a delle reazioni molto diverse. Alcuni possono trovare dentro di sé le risorse per cercare di integrarsi malgrado tutto. E qui ci inchiniamo davanti ad Ahmed Merabet, 42 anni, figlio dell'immigrazione e poliziotto membro della brigataVtt del commissariato del XIesimo arrondissement di Parigi, vigliaccamente assassinato a sangue freddo dai criminali che hanno colpito Charlie Hebdo; ugualmente ci si inchina davanti a Franck Brinsolaro, poliziotto del servizio di protezione, responsabile per la protezione di Charb. Questo vale anche, ma se ne è parlato di meno, ed è cosa deplorevole, per i molti soldati francesi uccisi durante le operazioni all'estero. Ad esempio in Mali, come il sergente Thomas Dupuy, o in Afghanistan; questi uomini danno testimonianza del loro attaccamento alla Francia, terra di adozione divenuta patria e per la quale sono morti. Sì, l'integrazione funziona, ma riguarda ormai solo una parte di coloro che dovrebbe raggiungere. C'è il timore, se non stiamo attenti, che questo processo si amplifichi.

L'illusione del religioso, l'importanza del narcisismo.

Altri si rivolgono alla religione e può finire nel fanatismo. Ma, dietro l'apparenza di un aumento della religiosità, in realtà stiamo assistendo a un aumento dell'affermazione della propria identità e del narcisismo. Le restrizioni dei tabù sul cibo e sull'abbigliamento, sui segni esteriori (come ad esempio la questione del velo tra i musulmani) hanno in primo luogo lo scopo di identificare brutalmente una comunità, separandola dal resto della popolazione e rinchiudendola entro dei riferimenti mitizzati a beneficio di pochi. Queste pratiche, che producono delle reazioni, in realtà approfondiscono le divisioni tra gli individui, invece di mettervi fine. Nella ricerca della purezza, e ogni religione distingue il "puro" dall'"impuro", non vi può essere un movimento collettivo, se non di piccole comunità assediate dalle reazioni violente di altre comunità. Questa è anche la trappola che viene tesa dagli assassini, come ha ben sottolineato Robert Badinter nel giornale FR2 di mercoledì 7 gennaio. Colpisce il fatto che Marine Le Pen, nella sua breve dichiarazione (sempre su Fr2), abbia detto sostanzialmente la stessa cosa.

Attraverso questo ritorno alla religione, hanno quindi ritenuto di proteggersi dall'anomia. In realtà, ci si sono precipitati a capofitto. Qui è necessario constatare il fallimento dell'integrazione per una parte della popolazione immigrata, perché questi ultimi non hanno avuto dei riferimenti che potessero assimilare. L'integrazione è un processo di assimilazione di regole e costumi, che è in parte cosciente (attraverso lo sforzo fatto per imparare la lingua e la storia della società in cui ci si vuole integrare), ma è anche in parte incosciente. Perché questo meccanismo inconscio si possa mettere in atto, è necessario che ci sia un riferimento. La perdita o l'eliminazione di quest'ultimo nel nome di un "multiculturalismo", che non rappresenta in realtà che la tolleranza verso pratiche molto diverse, è un grave ostacolo all'integrazione. In realtà, così come per fare degli scambi si devono stabilire degli oggetti che non si scambiano, così per integrare e far pervenire degli individui a un principio di tolleranza, devono essere definiti dei confini molto chiari, dei punti sui quali non si può transigere. Ancora una volta, scopriamo i danni causati dallo scandaloso relativismo che si fregia delle insegne delle scienze sociali per sovvertirne meglio gli insegnamenti.

Il tradimento delle élite e la perdita della sovranità.

Dobbiamo quindi sottolineare le enormi responsabilità delle élite politiche, l'UMP come il PS, che abbandonano la Francia a piccoli passi, sia perché non credono più nel nostro paese (ma come fa allora la Corea del Sud?) o per interessi stupidi e malvagi, la voglia di vivere la vita delle élite globalizzate. Quello che dimenticano tutti i politici che hanno ceduto al canto delle sirene della "popolizzazione" è che per oltre il 95% della popolazione francese, la vita reale avviene entro i confini di questo paese che si chiama Francia. Per coloro che non credono più nella Francia, ci si sarebbe aspettati almeno il tentativo di costruire un'Europa veramente federale, sul modello della Germania o degli Stati Uniti. Si tratta di un progetto che possiamo comprendere. Ma il progetto è fallito. Si sarebbe dovuto proporre quando è crollato il muro di Berlino. Invece, abbiamo voluto perpetuare il metodo tradizionale della costruzione europea, quello dei "piccoli passi". E oggi ne paghiamo il prezzo, con la Francia che non è più un vero paese poiché ha abbandonato molte delle sue prerogative sovrane, dalla moneta al bilancio, alle istituzioni europee, e un'Europa che non sarà mai un paese, come vediamo tutti i giorni, in particolare nella riduzione del bilancio dell'Unione europea, che oggi è a meno dell' 1,3% del PIL. Il sistema confederale che ne risulta, e in cui ci troviamo per impostazione predefinita, provoca la crisi sia economica che politica che l'Europa sta attraversando. Questa crisi che devastato la Grecia, il Portogallo, l'Irlanda, la Spagna e l'Italia, e domani, se non stiamo attenti, devasterà la Francia.

La Corte costituzionale tedesca ha ben visto il problema, quando ha ricordato in una delle sue sentenze del 2009 che non c'era nessun popolo europeo, e che solo i diversi paesi costituivano il quadro democratico. In questo spazio di mezzo in cui vegetiamo nasce l'anomia. E dall'anomie nascono dei mostri. Tutti i politici francesi che non hanno voluto ascoltare quello che chiaramente aveva detto il nostro popolo già dieci anni fa, col rifiuto della Costituzione europea tramite referendum, ne sono responsabili. Sono quindi profondamente squalificati quando oggi richiamano all'unità nazionale.

Poiché l'Europa federale è impossibile, e con essa il mito di un '"Europa sociale", bandiera del PS e di una parte della sinistra e oggi ormai completamente screditata, bisogna quindi tornare rapidamente indietro e restituire alla Francia gli strumenti della sua sovranità. Questa passa per la moneta, naturalmente, con la dissoluzione della zona euro, ma anche per le diverse regole vincolanti in materia di bilancio. È auspicabile che ciò avvenga a livello europeo. Ma ciò che è desiderabile, non è tuttavia sempre possibile. È necessario che questo avvenga in ogni modo, che i nostri partner lo vogliano o no.

Società eterogenee società dense.

Ma la costruzione di una nazione, o la ricostruzione, richiede di riflettere su ciò che può creare un legame tra persone diverse con credenze differenti. Quale può essere la natura di questo cemento? Si ritiene che oggi, in questi tempi che vogliamo "globalizzati", il fattore economico prevalga sulla politica. Le relazioni "di mercato", si sostituirebbero dunque alle relazioni che costituiscono il tessuto della società. Quest'ultima sarebbe quindi solo il risultato di una somma di "contratti" tra due o più persone, e, quindi, potrebbe essere colta attraverso ciascun particolare contratto. Ciò implica una spersonalizzazione dell'azione e del ruolo delle norme che ne derivano, spersonalizzazione basata su principi simili a quelli dell'economia monetaria perfetta descritta da Simmel [1]. Ma Simmel stesso era consapevole del fatto che una società il cui cemento non fosse un insieme di istituzioni tra loro collegate e interdipendenti , che non potessero quindi essere separate analiticamente le une dalle altre, potrebbe portare solo all'anomia [2].

Noi in realtà viviamo in società ad alta densità economica, ma anche sociale. Diciamo subito che questa definizione della densità non è quella dei geografi o dei demografi, anche se prende da loro in prestito naturalmente alcuni aspetti. Le società moderne hanno infatti la caratteristica di essere dense, non solo umanamente (in senso geografico e demografico), ma anche a causa delle interazioni sempre più sviluppate e più potenti tra gli attori. Queste interazioni derivano da quello che si potrebbe chiamare "progresso delle forze produttive", per prendere in prestito una formula di Marx. Questi sono gli effetti di esternalità sempre più importanti indotti dai mezzi materiali utilizzati dal XIX secolo. Dobbiamo a Durkheim la paternità del concetto di densità sociale. Nel suo libro Le regole del metodo sociologico egli stabilisce il concetto di densità dinamica e di densità materiale della società. [3] Questa densità dinamica corrisponde al numero delle relazioni esistenti tra le unità di una società data:

"La densità dinamica può essere definita, a parità di volume, in funzione del numero di individui che sono effettivamente tra loro in relazioni non solo commerciali ma anche morali; vale a dire che non solo si scambiano servizi o si fanno concorrenza, ma vivono una vita in comune". [4] La densità materiale corrisponde a sua volta alla densità demografica, ma anche allo sviluppo dei canali di comunicazione e di trasmissione. Per Durkheim, queste due densità sono necessariamente collegate: " Per quanto riguarda la densità del materiale (...) essa di solito avanza di pari passo con la densità dinamica e generalmente può servire a misurarla" [5]

L'eterogeneità degli agenti in una società che è materialmente densa induce allora una eterogeneità e una molteplicità di forme di interazione. La complessità che ne risulta può essere trattata solo da un insieme di istituzioni e di forme organizzative. Questi insiemi istituzionali e queste forme organizzative devono essere complementari, sia nelle regole che producono sia negli effetti generati da queste regole. Questa doppia complementarietà preclude qualsiasi tentativo di replicare la logica dell'atomismo al livello delle istituzioni. Dobbiamo quindi tener conto della necessità di un'azione collettiva. [6] Qui troviamo il contributo della filosofia pragmatica di Dewey. [7] La relazione con l'istituzionalismo apre così la questione del suo rapporto con l'olismo metodologico. [8]

La laicità, compagna necessaria della sovranità

Ma il riconoscere l'importanza di una prospettiva di analisi olistica, solleva la questione di su quali basi costruire le regole e le istituzioni, in breve, le forme collettive necessarie. C'è nostalgia per un'età mitica in cui si affermava la trilogia "Un re, una legge, una fede." Questa nostalgia trova espressione sia tra i fondamentalisti islamici che tra gli identitari. Ma questo mitico ideale è stato frantumato una volta per tutte dalla eterogeneità delle credenze, che si è imposta come uno dei fatti più importanti della Riforma.

Le guerre che ne sono derivate sono state tra le più atroci e più implacabili che l'Europa abbia mai conosciuto. L'unica soluzione stava nella separazione tra la vita pubblica e la vita privata, e nel confinamento della religione a quest'ultima. Questo è stato riconosciuto e teorizzato alla fine delle guerre di religione da Jean Bodin, in un'opera postuma, la Heptaplomeres [9] compagno segreto dei Sei libri della Repubblica. Il suo contenuto non fa che continuare e portare avanti quello dei Sei libri. Di cosa si tratta dunque? Bodin immagina che sette personaggi, i quali praticano tutti la medicina [10] e professano una fede diversa, siano riuniti in un castello. Ognuno al proprio turno cercherà di convincere gli altri sei. Naturalmente, ogni volta è un fallimento, e per una semplice ragione: la fede non è una questione razionale. Quando il settimo di questi personaggi ha finito di parlare, si pone una domanda formidabile: che cosa faranno?

La risposta è illuminante per due motivi. Il primo è che essi decidono di non parlare più tra loro di religione, cioè la religione è esclusa dal dibattito pubblico e diventa una "questione privata", anche se, a titolo di cortesia, si impegnano tutti ad andare alle celebrazioni gli uni degli altri. La seconda è che decidono di lavorare in comune "per il bene dell'umanità." Un'altra fine sarebbe stata possibile. Essi avrebbero potuto decidere di separarsi e ognuno lavorare separatamente nella propria comunità. Ed è qui la seconda "invenzione" di Bodin. Si insiste, giustamente, sulla prima e cioè la distinzione tra sfera pubblica e sfera privata. È essenziale. Ma questa non dovrebbe nascondere la seconda, non meno importante. L'invenzione della sfera privata, e del confinamento della fede in quest'ultima, ha senso solo perché le persone di fedi diverse devono coabitare insieme. Che Jean Bodin sottolinei l'azione comune delle persone di diverse credenze religiose è molto importante. Ciò significa che ci sono delle cose comuni, la Res Publica, che sono più importanti della religione. Questo significa anche che ciò che chiamiamo nella nostra lingua "laicità" è una condizione di esistenza delle società eterogenee. [11] Sottraendo le questioni della fede dallo spazio pubblico si consente così di creare il dibattito e approfondire altri argomenti. In questo senso, Bodin pone il problema dell'articolazione dell'individualismo con la vita sociale, un problema che è al centro del mondo moderno.

Sovranità e laicità

Oggi dobbiamo reagire. Non chiedendo sanzioni più severe e un arsenale repressivo. Questo può essere necessario, ma essendo consapevoli che si è in un campo essenzialmente simbolico. Si può fare un gesto politico, ma la reazione dovrebbe essere più profonda e, in un certo senso, più radicale. Di fronte alla crescita dell'anomia e dei suoi mostri occorre ricostruire urgentemente le condizioni per l'esercizio della sovranità popolare all'interno della nazione. Ma, per questo, è indispensabile avere un atteggiamento fermo sulla laicità, che è la garanzia fondamentale delle nostre libertà. Sì, dobbiamo riunirci e trovare le fondamenta della Res Publica. Ma i nostri leader eletti sono gli ultimi a poterlo fare.

Gli assassini sembrano forti solo perché noi siamo deboli, e dimentichi dei principi di cui siamo portatori. Li abbiamo lasciati montare sulle nostre spalle. Raddrizziamoci e cadranno a terra!

di Jacques Sapir, 8 gennaio 2015

[1] Simmel G., Philosophy of Money, Routledge, Londres, 1978; pubblicato originariamente col titolo Philosophie des Geldes, 1900;

[2] Deutschmann C., “Money as a Social Construction: on the Actuality of Marx and Simmel”, Thesis Eleven, n°47, novembre 1996, pp. 1-20

[3] E. Durkheim, Les règles de la méthode sociologique, Presses Universitaires de France, coll. Quadrige, Paris, 1999 (première édition, P.U.F., Paris, 1937).

[4] Id., pp. 112-113.

[5] Id. pp. 113.

[6] D. Truman, The Governmental Process , A. Knopf, New York, 1958.

[7] J. Dewey, John Dewey: Philosophy, Psychology and Social Practice , edito da J. Ratner, Putnam's Sons, New York, 1963.

[8] M-C. Villeval,, "Une théorie économique des institutions?", in Boyer et Saillard Théorie de la régulation. État des savoirs, La Découverte, Paris, 1995, pp.479-489.

[9] Bodin J., Colloque entre sept sçavants qui sont de différents sentiments des secrets cachés des choses relevées, traduzione anonima del Colloquium Heptaplomeres di Jean Bodin, testo curato da François Berriot, con la collaborazione di K. Davies, J. Larmat et J. Roger, Genève, Droz, 1984, LXVIII-591.

[10] Cosa che non è senza importanza perché la medicina, sotto l’impulso di persone come Ambroise Paré, e grazie alla pratica della dissezione dei cadaveri, è diventata la scienza del corpo umano, e ha intrapreso la strada che la renderà una scienza.

[11] Un commento illuminante del suo contributo alle idee di tolleranza e di laicità si trova in: J. Lecler, Histoire de la Tolérance au siècle de la réforme, Aubier Montaigne, Paris, 1955, 2 vol; vol. 2; pp. 153-159

1 "Anomia": Il termine fu coniato da Durkheim nel suo studio sul suicidio del 1897 per identificare quello stato di tensione e smarrimento che affliggerebbe l’individuo qualora posto in un contesto sociale debole, ossia incapace di proporre norme e valori sociali condivisi e riconosciuti, NdT

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Più di 16 mila donne si sono sottoposte all'espianto delle protesi al seno al silicone PIP: il 25% dei dispositivi sono risultati già danneggiati. Le donne si sono sottoposte all'espianto degli impianti al seno, dopo che le autorità francesi hanno segnalato che i dispositivi PIP erano due volte più soggetti alla rottura rispetto agli altri marchi e che erano fatti di silicone industriale, non autorizzato dall'Istituto di sanità francese, perchè considerato cancerogeno. Si ritiene che altre 300 mila protesi PIP siano state impiantate fuori dai confini del Paese. L'Istituto della Sanità Nazionale Francese aveva lanciato l'allarme sulle protesi al seno già nel 2011, ma non tutti i Paesi le avevano bandite. Ricerche mediche francesi avevano riscontrato 70 casi di tumori al seno tra le donne che si erano impiantate le PIP, ma non sono state riscontrate prove evidenti di "correlazione tra l'impianto delle protesi ed i tumori". Il creatore delle PIP, Jean-Claude Mas e' stata incriminato per omicidio colposo e frode, i suoi dispositivi sono stati banditi e la sua azienda chiusa.agi

 

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