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Riceviamo e pubblichiamo: “Si è svolto sabato 12 Marzo scorso a Longobardi CS il convegno dal tema “Briganti tra passato e presente, una storia da riscrivere” organizzato dall’associazione “i briganti di Longobardi” con il patrocinio del comune. Evento che non ha tradito le attese di qualità perché ha affrontato tematiche di grandissima importanza per la storia di questo territorio e non solo. Diverse e molto interessanti le relazioni che hanno alimentato la passione e la voglia di confrontarsi dei tanti relatori intervenuti e che hanno spaziato da un Sud prima dell’Unità d’Italia ricco, fiorente e prospero, sia economicamente che di fabbriche che lo facevano diventare (anche se sembra impossibile ai giorni d’oggi) paese importatore di manodopera, al contesto nel quale nacque il brigantaggio; dal ruolo delle brigantesse alle vergognose teorie di Lombroso.

Il tema del brigantaggio è assolutamente attuale, come sottolinea Franco Gaudio, profondo conoscitore e studioso del fenomeno, siamo infatti in una situazione di non uguaglianza dei diritti tra nord e sud, in termini di sanità, trasporti, istruzioni che ancora oggi fanno sì che tantissimi giovani del Sud debbano partire alla ricerca di un lavoro fuori dai confini della loro terra, a causa di un processo di unificazione nazionale che non è stato tenero e attento a tutelare adeguatamente il meridione. Lo stesso poi descrive la situazione del sud prima dell’Unità d’Italia, quando le Due Sicilie comprendevano il sud ma anche il Molise, l’Abruzzo e parte meridionale del Lazio. Le Due Sicilie erano lo Stato più industrializzato d’Italia ed il terzo d’ Europa, dopo l’Inghilterra e la Francia. Nel 1861 le Due Sicilie impiegavano nell’industria una forza lavoro pari al 51% di quella complessiva Italiana. La percentuale dei poveri al Sud era l’1,34% e la bilancia commerciale del Regno aveva un attivo di 35 milioni di ducati (560 milioni di euro attuali).

A Napoli a Pietrarsa c’era la più grande industria metalmeccanica d’Italia e vi fu in seguito istituita anche la “Scuola degli Alunni Macchinisti”. Stabilimento che precede di 57 anni la FIAT e rinomato in tutta Europa. La Ferriera di Mongiana sorgeva presso Serra San Bruno nell’aspra montagna calabra ricca di minerali di ferro era nel 1860 il maggior produttore d’Italia di ghisa e semilavorati per l’industria metalmeccanica. Le saline in Puglia e Sicilia erano le più importanti d’Europa. La flotta mercantile pari a 4/5 del naviglio italiano era la quarta al mondo con oltre 9800 bastimenti. L’industria conciaria era fortemente sviluppata e venivano prodotti finimenti per carrozze, cuoio e stivali esportati in Inghilterra, Francia e America, i guanti napoletani erano considerati i migliori d’Europa.

Il dibattito su chi furono veramente i briganti è ancora oggi molto discusso, rivoluzionari impegnati a difendere la propria libertà minacciata da un nuovo Stato venuto da lontano con le armi, o semplici malfattori, banditi, come spes­so riportato i libri di storia. Viene così posto l’accento sull’importanza della memoria storica perché senza memoria storica non c’è identità. Il professore F. Santacroce parte dalla situazione di povertà dei contadini, ai quali non rimaneva altro da fare che diventare briganti. Il destino dei contadini era quindi segnato, rassegnarsi o ribellarsi, ma non solo, anche l’esercito borbonico, ormai disciolto lasciò i giovani soldati allo sbando. In questo contesto nasce il brigantaggio, che il Parlamento cerca di risolvere frettolosamente con la legge Pica che diede la licenza di uccidere senza processo e che in pratica aveva reso possibile la condizione di due tipi di Italia, nord e sud. Siamo di fronte ad un fenomeno di lunga durata, una delle motivazioni forti è stata appunto la fiscalità di antico regime, che gravava prevalentemente sui non possidenti. E questo ci dà la misura di come, in quel momento particolare, la fiscalità fosse l’anello debole per far saltare l’intero sistema, perché determina una insorgenza generalizzata.

È l’ing. D. Parrotta commediografo a sottolineare il ruolo delle brigantesse citando De Cesare dice: “più forte del brigante, c’è la mia brigantessa”. Donne senza più marito, madri senza più figli, donne disperate che sapranno dimostrarsi coraggiose e affiancheranno la rivolta. Arriverà così una feroce vendetta femminile che in parte ha portato all’affermazione del ruolo della donna nella società attuale. Donne che hanno lottato e vissuto in latitanza per raggiungere i loro obiettivi di libertà e porre fine alle violenze e assicurarsi l’autonomia dei propri territori.

Una parte importante del convegno è stata dedicata alle vergognose teorie di Cesare Lombroso, uno pseudo scienziato che teorizzò l’inferiorità dei meridionali rispetto ai settentrionali. Per Lombroso i meridionali sono delinquenti nati e quindi inferiori ai settentrionali. Queste sue tesi nell’1800 ebbero successo e saranno anche più tardi alla base delle teorie di Hitler sulla razza ariana. Secondo Lombroso il comportamento criminale era inserito nelle caratteristiche anatomiche del criminale ed in particolare in particolari conformazioni del cranio. Teorie che sono prive di fondamento e che portarono Lombroso ad essere radiato dalla Società Italiana di Antropologia e Etnologia nel 1882.

Il suo museo attivo dal 1876, venne aperto al pubblico ed inaugurato nel corso dei festeggiamenti per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia ai quali partecipò l’allora Presidente della Repubblica Italiana Napolitano, espone centinaia di crani e diversi scheletri, con ricostruzioni di volti fatti in cera, ma con peli e capelli originali. Resti che Torino dovrebbe restituire ai rispettivi comuni del Sud al fine di poter dar loro una decente sepoltura. Infatti nel 2012 il Comune di Motta Santa Lucia ha ottenuto la restituzione dei resti del concittadino Giuseppe Villella ritenuto un brigante e che Lombroso teneva sulla scrivania come fermacarte. Ma l’Università di Torino ha presentato ricorso e la seduta d’appello è previsto ad aprile 2016.

Infine la compagnia teatrale I SUBALTERNI RIBELLI ha dato vita ad uno spettacolo a volte comico, a volte drammatico facendo un salto temporale che solo il teatro può fare. È importante far conoscere la verità alla gente, quella vissuta da noi meridionali e questa commedia sviluppa e scopre la vera storia. La commedia “Brigante se more, la vera storia mai scritta” ha come sottofondo le musiche di Eugenio Bennato e hanno usato video-proiezioni che meglio hanno spiegato la profondità della commedia. Tutto per farci capire l’importanza del teatro e il ruolo della cultura.

Un convegno di grande sostanza durante il quale è emersa la vera storia, le vicende che hanno segnato questo territorio, le cui conseguenze subiamo ancora oggi in quanto la questione meridionale è viva con tutte le sue problematiche.

Pubblicato in Longobardi

Winston Churchill scrisse che "In tempo di guerra la verità è così preziosa che bisogna nasconderla dietro una cor tina di bugie".

Sottintendeva , forse, che in tempo di pace, quindi, la verità dovesse essere saputa?.

 

E’ probabile ma sappiamo che non è sempre così, soprattutto se non si lotta per cercarla ed affermarla , questa verità!.

Lo conferma anche Arrigo Petacco ne “La nostra storia” quando ha detto che “Quando comincia una guerra, la prima vittima è la Verità”. Ma, poi, ripetendo il pensiero aristoteliano ha affermato che “ Quando la guerra finisce, le bugie dei vinti sono smascherate, quelle dei vincitori, diventano Storia”.

Eh, già Goering a Norimberga disse che “La storia la scrivono i vincitori”.

 

 

Insomma una delle cose più difficile da conoscersi è la verità. Per conoscerla occorre cercarla e diffonderla.

Ci è sembrata questa la ragione prima del convegno svoltosi in Longobardi nei giorni scorsi e nel corso del quale si è tentato di riaffacciare alla nostra attenzione la “VERA” storia dei briganti calabresi che subirono, insieme al meridione, l’eccidio da parte dell’esercito dei Savoia.

Ben al di là dei passionali interventi dei relatori ( Mannarino, Calderazzo, Parrotta , Santacroce, Cefalì, Gaudio) il convegno ha voluto contribuire a tenere viva la fiammella della dignità di un popolo, quello meridionale,

E non cercate la verità dagli storici perchè tanti di loro sono piegati al potere! Pochi sono quelli che hanno l’onestà di raccontare che “ gli inglesi mollarono il re di Napoli, la mafia e la camorra scesero in campo con Garibaldi e il re sabaudo, così come sarebbero scese in campo con gli americani che risalivano la penisola dalla Sicilia.( da “I conti con la storia di Paolo Miele)

Ogni tanto la verità emerge grazie a chi ha l’onestà di raccontarla!

Parliamo di Eugenio Scalfari che ebbe ad affermare che l’Unità d’Italia fu un’occupazione militare e non un’unione politica: «Non fu Unità! Fu occupazione piemontese, e se l’avesse fatta il Regno di Napoli, che era molto più ricco e potente, sarebbe andata diversamente. La mentalità savoiarda non era italiana. Cavour parlava francese. E gli italiani quel nuovo Stato l’hanno detestato.»

Parliamo di Anita Garibaldi ( pronipote di Giuseppe) che ebbe ad affermare, davanti ad uno sbigottito Bruno Vespa, che Ricciotti Garibaldi, secondogenito “ dell’eroe dei due mondi”, tornato dall’ Inghilterra dopo gli studi "Mio nonno tornato a Caprera, si indignò talmente tanto dello sfruttamento del Meridione da parte della nuova Italia, che andò a combattere con i Briganti".

 

Vediamo qualche nostro lettore storcere il naso vinto da uno “schizzinoso ribrezzo” per una storia non scritta , ma lo invitiamo a ricredersi.

I briganti falcidiati a migliaia non furono delinquenti ma eroi.

Ed al contrario i supposti eroi della Unità d’Italia appariranno nella loro vera efferatezza.

Il revisionismo storico porterà alla verità che diventerà poi patrimonio comune della gente.

Solo così la nostra dignità di popolo meridionale sarà salva.

Pubblicato in Italia

Sabato 12 marzo 2016 alle ore 18 presso il teatrino comunale di Longobardi si terrà un convegno dal tema:  "BRIGANTI TRA PASSATO E PRESENTE, UNA STORIA DA RISCRIVERE".

 

L’ evento aperto al pubblico é stato organizzato da "I Briganti di Longobardi" con il patrocinio del Comune.

E’ una Associazione molto attiva nel paese per l'organizzazione di eventi, ma questa volta si é voluto porre l'attenzione sulla STORIA del Sud prima dell'avvento dell'Unità d'Italia.

La questione meridionale fu la molla scatenante del fenomeno di rivolta popolare noto come brigantaggio,  dal quale deriva la scelta del nome stesso dell'Associazione.

Briganti e Brigantesse appellativi usati in maniera dispregiativa, oggi vanno rivisitati, la storia va riscritta in modo tale da poter rivalutare la posizione di tutti i meridionali e la propria identità storica.

Quelle lotte nascevano con l'ideale comune della lotta per la terra e per la libertà, esempio per il risveglio costruttivo dei nostri giorni.

Nel convegno interverranno i seguenti relatori:
-Dott. G. Mannarino, Sindaco di Longobardi;
- Dott. V. Gaudio Calderazzo, Sindaco di Fiumefeddo Bruzio;
- Ing. D. Parrotta, commediografo;
- Prof. F. Santacroce, docente di storia;
- Dott. F. Cefalì, scrittore e ricercatore;
- F. Gaudio, studioso e ricercatore.

In tale occasione si terrà anche la rappresentazione teatrale "BRIGANTE SE MORE LA STORIA MAI SCRITTA", messa in scena dal gruppo teatrale I SUBALTERNI RIBELLI, che racconteranno la storia del sud, ma la vera storia, un vero cammino nel tempo, il brigantaggio, un discorso capace di far capire il sacrificio dei nostri nonni e dei nostri padri, diverso da quello studiato sui libri di scuola.

 

Capaci di farci capire quanto siamo stati grandi e quanto poi ci hanno fatto credere il contrario.

Pubblicato in Longobardi

Dobbiamo dire che ci mancava la voce libera di El Tarik. Ed ecco che, forse invocata, ci è arrivata. Proprio stamattina.


E senza piaggeria, ve la proponiamo, chiedendovi di riflettere sulla ripetitività della storia (chi oggi contesta il potere è ribelle o brigante?)

Ma passiamo la parola a “Gigi”:

“La sera del 27 settembre 2014, in un piccolo paese, Pianopoli, vicinissimo a Lametia Terme, ho respirato l'aria di un venticello fresco e frizzantino mentre ascoltavo il concerto del cantautore Eugenio Bennato insieme ad un gruppo dal nome inequivocabilmente calabrese: i "Mujura". Quel venticello portava con sé un qualcosa di inebriante che ha da subito infiammato le migliaia di persone, che come me e l'amico Perego, erano arrivate da tutto il Sud. Meridionali venuti ad ascoltare le storie di uomini e donne che furono:

RIBELLI O BRIGANTI ?

Sono stati definiti Guerriglieri coloro che in Spagna, nel 1808, si opposero con le armi alle truppe napoleoniche e le loro gesta sono state immortalate nelle tele di Francisco Goya. Patrioti sono stati considerati coloro che seguirono nel 1809 Andrea Hofer e il loro canto di guerra è divenuto l'inno nazionale delle popolazioni tirolesi. Nell’Italia Meridionale, invece, chi nel 1806, rispondendo all'appello degli inglesi ed a quello del proprio sovrano, si oppose all'invasore, è stato definito e continua ad essere definito “Brigante” l’equivalente del “terrorista” dei giorni nostri. Nel 1806 Napoleone Bonaparte, decise di liquidare il regno borbonico. Il corpo di spedizione francese, al comando del generale Massena, varcò i confini dello stato e occupò Napoli. I borbonici cercarono di fermarne l’avanzata, ma, nella battaglia di Campotenese, furono inesorabilmente sconfitti e gli invasori ebbero via libera anche nell’occupazione della Calabria. I sudditi fedeli al re Ferdinando IV°, terzo genito di Carlo III° re di Spagna, organizzarono una feroce reazione antifrancese affidata alla capacità di lotta ed alla ferocia di alcuni celebri briganti, molti dei quali, già al seguito del cardinale Ruffo nell’armata sanfedista, avevano consentito, nel 1799, la restaurazione borbonica. La zona di Caccuri in Calabria divenne quindi teatro delle gesta di Fra Diavolo, il famoso colonnello Michele Pezza già monaco del convento di San Giovanni in Fiore che finirà per essere sconfitto e, catturato dal generale Hugo e giustiziato nello stesso anno. La figura di Fra Diavolo venne celebrata da Auber nella omonima opera lirica e riproposta in uno spassoso film di Stan Laurer ed Oliver Hardy e, ai giorni nostri dal famoso cantautore napoletano Eugenio Bennato. Nei dintorni di Caccuri operarono anche Nicola Gualtieri, detto Panedigrano, Giacomo Pisano da Pedace, più noto col soprannome di Francatrippa, Paolo Mancuso detto Parafante, Filicione e Geniale Versace da Bagnara, detto Gernialtitz. Proprio quest’ultimo, nell’agosto del 1806, mentre col grado di colonnello scorrazzava nella Sila con i suoi uomini, fu sorpreso ed ucciso dall’esercito francese. Della sua fine si vantò il capitano della Prima compagnia scelta della Calabria Michele Vigna che, per ricompensa, ottenne due fondi nel territorio di Caccuri e che poi gli vennero tolti da Francesco IV° con un decreto del 14 agosto 1815, in piena Restaurazione. Intanto nello stesso mese di agosto, il giorno 30, i Francesi entrarono in San Giovanni in Fiore, mentre Caccuri era da tempo teatro di rivolte fomentate da Francatrippa e dai Pedacesi. Qualche tempo prima, infatti, nella cittadina, venne innalzato lo stemma della rivolta e proclamato un governo provvisorio. La notizia viene riportata in un rapporto dell’intendente della Calabria Citra Vincenzo Palombo al generale Miot. La resistenza di Francatrippa e delle sue bande si protrasse per quasi un anno, ma non sortì grossi risultati. Nel gennaio del 1807 si attestò sulle alture di Gimmella, un monte tra Caccuri e San Giovanni in Fiore, alla testa di 2000 uomini, nel tentativo di espugnare la cittadina florense presidiata dall’esercito francese al comando del colonnello Lambert. L’8 marzo del 1809 venne catturato in località Bardaro dell’agro di Cerenzia il brigante Domenico Fabiano che, condotto a Caccuri, fu immediatamente fucilato in località Petraro. “I nostri avversari che osano chiamarsi patrioti” - lamentarono sin dal 1806 i ribelli meridionali - abusando le parole e a piaggiare l'oppressore...”ci gridano briganti”. Erano stati infatti i francesi, scesi in Italia Meridionale nel 1799, ad adottare per primi questo termine per indicare coloro che ad essi si opponevano. Era un termine questo nuovo nella lingua napoletana. A Napoli erano sempre stati indicati come banditi i fuorilegge che si erano dati alla campagna e come proditores, distinti dai primi, i ribelli scesi in armi contro il potere costituito. E continuarono ad adottare il termine usato dai francesi nel 1799 per indicare il ribelle anche i soldati di Napoleone venuti alla conquista del Regno di Napoli nel 1806. Pur autodefinendosi apportatori di libertà e di giustizia, costoro non concepivano che un popolo potesse battersi contro di loro in difesa del proprio paese. Chi ad essi si opponeva non poteva essere che un volgare brigante. Questo termine, con cui i francesi indicavano gli eroi e delinquenti comuni, ebbe fortuna. E quando il ribelle, per non essere passato per le armi o consegnato al boia o al plotone di esecuzione, fu costretto ad adottare gli stessi metodi e gli stessi sistemi che venivano usati contro di lui, fu facile confonderlo con il più volgare dei delinquenti comuni. Il primo episodio di reazione al nuovo ordine costituito e al nuovo re d’Italia si verificò nei primi giorni di luglio del 1861 quando orde di briganti percorsero "impunemente, a mano armata, gridando “Viva Francesco II”, con la bandiera bianca alzata”, come scrive in una lettera l’Intendente di Crotone al Governatore della Provincia di Calabria.

Gigino Adriano Pellegrini & G el Tarik

partito del sudPerviene e pubblichiamo la seguente nota stampa di  Giacinto Mannarino

Al Presidente del partito del Sud Natale Cuccurese

e p.c. Al Consiglio Direttivo Nazionale del Partito del Sud

 Caro Presidente,

ho appreso prima dalla stampa e poi, dopo avergli chiesto un incontro, personalmente da Franco  Gaudio, che lui e gli altri amici del circolo di Longobardi del PdSud non fanno più parte dello stesso partito. Lo stesso apprendo per gli amici di Lamezia Terme. Ad essere sincero la notizia mi ha stupito, soprattutto se si considera il lavoro svolto e l'entusiasmo con il quale gli stessi avevano coinvolto un pò tutti, me compreso in alcune importanti inziative. Non entro nel merito dei fatti che sono strettamente di competenza del partito, ma mi consenta di dirLe che ho trovato incredibile e discutibile l'esito finale della vicenda. L'oggetto della presente, comunque, è stato dettato dall'aver appreso, con non poca sorpresa, che quest'anno l’SPC si è tenuto a Cittadella del Capo. Premesso, a scanso di equivoci, che il Partito del Sud o chi per lui è libero di organizzare tutto quello che vuole dove vuole, mi corre l’obbligo di rilevare che nonostante gli impegni assunti l'anno scorso con me personalmente in occasione della manifestazione tenutasi a Longobardi nell’Agosto 2013 la stessa quest'anno si è svolta altrove. Le segnalo, per inciso, che, a seguito delle intitolazioni di via Angelina Romano e del Largo dei Briganti patrioti Calabresi, abbiamo ricevuto e stiamo continuando a ricevere, molti messaggi di congratulazioni e di stima. Detto questo, però, devo aggiungere che ho trovato anomalo l'atteggiamento avuto dagli organizzatori dell’SPC 2014 nei confronti di Longobardi e dei Longobardesi. Le beghe all'interno del partito non possono giustificare un comportamento che reputo inqualificabile da ogni punto di vista. Questo Comune ed il sottoscritto hanno risposto sempre ed in maniera positiva alle sollecitazioni del PdSud organizzando iniziative in loco e partecipando a manifestazioni in luoghi lontani come, per esempio, quella organizzata dal responsabile provinciale di Catanzaro nel comune di Carlopoli dove fu programmata una costruttiva tavola rotonda tra Sindaci. Mi sarei aspettato per l’evento di Cittadella del Capo almeno un invito, se non altro, per una questione di del bon ton istituzionale.  Non voglio sindacare sul lavoro degli altri, ma questo modo di fare non è conforme alla mia visione  delle cose e oggi, alla luce dei fatti, mi viene difficile comprendere perché mi sia data una tessera onoraria. Aggiungo che conosco Franco Gaudio da una vita e so esattamente cosa rappresenta politicamente nel comprensorio e quello che può dare.  Egregio Presidente, mi permetta di dirle che un progetto politico è composto d’idee ma anche di uomini, di persone che attraverso il loro esempio fanno crescere o meno il movimento al quale appartengono. La tessera onoraria mi è stata rilasciata grazie soprattutto al lavoro svolto da Gaudio e dagli altri amici di Longobardi del Partito, di conseguenza trovo corretto restituire la stessa tessera a seguito della chiusura del circolo di Longobardi.

Colgo l'occasione per indirizzarLe i miei più cordiali saluti

 IL SINDACO

Dott. Giacinto MANNARINO

Pubblicato in Longobardi

La storia, si sa, è scritta sempre dai vincitori. (Anche la politica!). Ed è così che nascono alcuni eroi!

Ad uno di questi, il generale Cialdini, anche l’onore della intitolazione di vie e Piazze.

Ma poi la storia viene revisionata e si scopre che Cialdini fu ben altro che un eroe: ed ora Venezia toglie il nome alla piazza intitolata al Generale Cialdini. Stessa richiesta fatta al comune di Lamezia Terme ma ancora inevasa

Parte da Venezia, e precisamente dalla municipalità di Mestre, l’opera di revisionismo storico tanto agognata nel Sud Italia. Strano a dirsi, più facile a farsi. Il consiglio comunale del capoluogo veneto ha approvato a fine dicembre una mozione per eliminare il nome del generale Cialdini dallo stradario cittadino. Per chi non lo sapesse, Enrico Cialdini fu elemento di spicco dell’esercito piemontese ai tempi del re Vittorio Emanuele II di Savoia ed uno dei protagonisti delle stragi nel Mezzogiorno durante l’opera di unificazione del Paese nel 1861. Proprio in quell’anno (precisamente nel mese di agosto) Cialdini venne inviato a Napoli con poteri eccezionali per affrontare l’emergenza del brigantaggio (fu nominato pochi giorni prima Luogotenente del re nell’ex Regno delle Due Sicilie). Il generale comandò una dura repressione con arresti in massa, esecuzioni sommarie, distruzione di casolari e masserie, vaste azioni contro centri abitati come l’eccidio di Casalduni e Pontelandolfo. Una carneficina passata per tanti, forse troppi anni, come atti eroici per la liberazione della Penisola ed inserita come tale nei libri di storia.

Oggi invece, l’incrocio tra via Colombo, viale San Marco e via San Pio X in Mestre cambierà nome  perché un omicida non merita una piazza intitolata in suo onore. La delibera approvata il 17 dicembre 2013 dai rappresentanti cittadini ha ottenuto 25 voti favorevoli ed un solo astenuto che, guarda caso, è esponente della Lega Nord. “Ne avevamo parlato in giunta alcuni mesi fa su segnalazione dell’assessore Tiziana Agostini –  ha spiegato il vicesindaco Sandro Simionato – lei ha sollevato il problema invitando a ragionare su altri nomi da dare al piazzale che sta per ospitare l’interscambio del tram”. Una scelta che farà sicuramente piacere a tanti gruppi e associazioni di stampo meridionalista da anni in lotta per far conoscere la verità su quanto accadde in quel periodo. Un tempo tinto di rosso sangue, quello dei figli del Sud Italia massacrati dalla ferocia di personaggi oscuri come il generale Cialdini. (Piero Bonito Oliva - retenews24)

Note: Il generale italiano, nell'agosto del 1861, venne inviato a Napoli, con poteri eccezionali per affrontare l'emergenza del brigantaggio. Cialdini comandò una dura repressione messa in atto attraverso un sistematico ricorso ad arresti in massa, esecuzioni sommarie, distruzione di casolari e masserie, vaste azioni contro centri abitati come l'eccidio di Casalduni e Pontelandolfo, nell'agosto 1861.

Lo stesso Enrico Cialdini in un suo rapporto ufficiale, sulla cosiddetta "guerra al brigantaggio", dava queste cifre per i primi mesi e per il solo territorio napoletano: 8.968 fucilati, tra i quali 64 preti e 22 frati; 10.604 feriti; 7 112 prigionieri; 918 case bruciate; 6 paesi interamente arsi; 2.905 famiglie perquisite; 12 chiese saccheggiate; 13.629 deportati; 1.428 comuni posti in stato d'assedio

http://patriotibriganti.blogspot.it/2012/04/enrico-cialdini.html

La lettera al comune di Lamezia terme

Immaginate un giorno di andare in vacanza a Tel Aviv o a Gerusalemme o a Betlemme. Un viaggio classico per chi vuole vedere i posti dove è nato il Cristianesimo. Ed immaginate, mentre camminate per le vie di queste città, di alzare lo sguardo e leggere “Via Priebke”, o “Via Himmler”, o “Via Hitler”. Assurdo, direte voi, come è possibile che gli Ebrei intitolino una via ai loro carnefici? Giusto, è impossibile, ma siamo in Israele.

Ora immaginate di tornare a casa e di recarvi nel quartiere di Sambiase di Lamezia Terme, dietro la Chiesa della Madonna del Carmine, e di leggere “Via Cialdini”. Chi sarà costui? Un poeta, uno scrittore, un personaggio storico di Lamezia Terme? No, era un carnefice del Sud Italia.
Ora scuotetevi dall’immaginazione perché la seconda parte del racconto è vera. Questa via cioè esiste veramente ed è dedicata ad uno degli uomini più feroci che abbiano mai calpestato il suolo italico. Qualcuno potrà obiettare che essendo un generale dell’esercito piemontese Cialdini commise i suoi delitti a causa della guerra civile in atto nell’ex Regno delle Due Sicilie dal 1860 al 1870. Ma i codici di guerra non prevedono la violenza sulle donne, la fucilazione di bambini, donne, preti e vecchi senza processo, l’imbalsamazione di teste tagliate ai cosiddetti “fratelli” del sud che dovevano essere “liberati”, l’avvelenamento degli acquedotti delle città assediate, l’incendio di decine di Paesi per rappresaglia. Ecco, rappresaglia, torniamo all’inizio, ai nazisti citati, perché rispetto a quello che fece l’esercito piemontese al Sud, quello fatto dagli atroci nazisti nell’intera Italia è stato simile e probabilmente inferiore.

Allora come è possibile che in un Comune che professa la legalità e la lotta alla mafia, che per questo motivo riceve premi a destra e a manca, ancora esista questa via, nonostante il Comitato Due Sicilie del Lametino abbia raccolto le firme per una petizione consegnata al Sindaco lo scorso 2 febbraio?
Sicuramente gli impegni di governo di una città così complessa sono tanti e difficili da risolvere, e quello che sta accadendo in questi giorni lo testimonia. Ma prima di chiudere i battenti chiediamo al Sindaco ed al Consiglio Comunale di autorizzare la sostituzione di via Cialdini, senza bisogno di organizzare manifestazioni e tagli di nastro che farebbero perdere tempo e soldi. La nuova targa ci impegniamo noi a farla, basta che ci diciate velocemente a chi dedicare la via e ci autorizziate a farlo. Non vorremmo fare brutta figura con eventuali stranieri che venissero per puro caso a Lamezia Terme, rimanendo a bocca aperta o crepandosi dalle risate di fronte alla targa di via Cialdini, perché loro la nostra storia, a differenza di noi, la conoscono. Roberto Longo – Responsabile Regionale Calabria Unione Mediterranea

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