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Con recente atto monocratico, il sindaco ha rimosso Zucco dal suo incarico e lo ha assegnato temporaneamente e fino al 30 settembre 2013, ad un incarico di studio presso la struttura burocratica dell'Ente , senza dipendenti e senza funzioni dirigenziali di Settore.

Zucco ha inteso spiega le sue ragioni precisando di aver incontrato personalmente il Sindaco “al momento dell'informativa avvenuta un’ora e mezzo prima della formale notifica del provvedimento” ed in quella occasione di aver esternato al sindaco Gianni Speranza “la propria perplessità in ordine alla disposizione, evidentemente, senza esito”.

Zucco non ha condiviso la scelta, ma pur tuttavia e pur vincitore del concorso a tempo indeterminato egli opererà con intensità anche nel nuovo incarico affidatogli

Zucco sollecita ci di dovere a “rilevare profili d’illegittimità nell'atto sindacale”.

Infine l’ex comandate ha augurato buon lavoro “al nuovo dirigente, ai vice comandanti ed a tutto il personale del Corpo”

Ed ha anche ringraziato quanti lo hanno avvicinato in questi giorni con attestazioni di solidarietà, in particolare “ la gente comune, quella estranea a determinate logiche lobbiste, che nel manifestare vicinanza e solidarietà, ha dimostrato di aver compreso in pieno il senso di quanto accaduto”.

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Alcuni agenti della polizia constatata la presenza dell'ordigno nei pressi di un ex sansificio in via Indipendenza, hanno atteso che qualcuno venisse a recuperarlo.

Intorno alle 22 è giunta un'autovettura con a bordo Francesco Rocca e Angelo Anzalone, entrambi già noti alle forze dell'ordine.

I due stavano caricando l'ordigno nel bagagliaio della vettura quando sono stati fermati dagli agenti della polizia.

Sul posto sono intervenuti gli artificieri per mettere in sicurezza la bomba.

Secondo quanto reso noto dagli inquirenti, l'ordigno artigianale era composto da un contenitore di acciaio con miccia contenente circa 7 chili di polvere pirica e 71 bulloni di ferro. Sequestrati anche due timer e una batteria.

Due uomini, già noti alle forze dell'ordine, sono stati sorpresi nei pressi di un capannone con un ordigno ad alto potenziale. Si indaga per capire chi fosse l'obiettivo, ma se fosse esploso avrebbe avuto effetti devastanti.

Si indaga sui due arrestati che pur noti da tempo alle Forze non sarebbero organici a nessuna delle tradizionali cosche che operano sul territorio lametino.

Sul posto sono giunti anche gli artificieri della polizia che hanno eseguito la messa in sicurezza dell’ordigno

In attesa della convalida i due sono stati condotti presso il carcere di Lamezia Terme a disposizione del sostituto procuratore, Santo Melidona.

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Lamezia terme . Dalle prime luci dell'alba gli uomini della Direzione investigativa antimafia di Catanzaro sono impegnati in un'operazione, denominata "Piana", contro l'organizzazione mafiosa facente capo al clan Giampà. Tale operazione, scaturita a seguito dei contributi resi da noti collaboratori di giustizia dissociatisi dall'organizzazione, ha permesso di far luce sugli interessi economici che legano imprenditori attivi nel comparto edile alle consorterie mafiose.

Ll'operazione, è stata diretta dalla Dda di Catanzaro, che ha chiesto e ottenuto del gip l'emissione delle ordinanze di custodia cautelare in carcere e dei provvedimenti di sequestro dei beni.

Secondo l'accusa i quattro imprenditori arrestati avrebbero messo a disposizione della cosca Giampà le aziende a loro riconducibili, operanti nel settore del calcestruzzo

Gli arrestati, accusati di associazione mafiosa, sono

-Davide Orlando, 31 anni,

-Roberto Piacente (43),

-Francesco Cianflone (58) e

-Antonio Gallo (40).

I 4 avrebbero messo a disposizione della cosca le aziende operanti nel settore del calcestruzzo.

Sequestrati anche beni per 25 milioni

L’attività d’indagine, scaturita a seguito di indagini esperite utilizzando i contributi resi da noti collaboratori di giustizia dissociatisi dall'organizzazione, ha permesso di far luce sugli interessi economici che legano certa imprenditoria, in questo caso attiva nel comparto edile, alle consorterie mafiose.

Tra i collaboratori di giustizia c'è anche Giuseppe Giampà, figlio di Francesco detto "il professore" e considerato il boss dell'omonima cosca.

Giampà ha iniziato a collaborare con gli inquirenti lo scorso anno, dopo essere stato arrestato in una delle tante operazioni coordinate dalla Dda contro le cosche del Lametino.

Ma che succede in Calabria?

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