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gianni-lettaVi ricordate, amici, quel bel giochino che facevamo nelle soleggiate giornate primaverili quando nelle aiuole, nei giardini, negli argini dei fossati cominciavano a spuntare quei fiorellini bianchi dai tanti petali? Raccoglievamo una margheritina e staccavamo ad uno ad uno i petali e ad ogni strappo ripetevamo, alternativamente, le parole: mi ama, non mi ama. Amici, sfogliamo la margheritina pure adesso come facevamo una volta anche se siamo avanti negli anni. Ma al posto delle paroline mi ama, non mi ama, mettiamo il nome di Silvio Berlusconi e di Mario Draghi e ripetiamo fino alla noia: Berlusconi, Draghi.Chi dei due ce la farà ad andare al Quirinale? Tutti sappiamo che il Cavaliere è un uomo molto ambizioso e vorrebbe davvero traslocare da Villa Grande al Palazzo del Quirinale, ma i voti che ha e che pensa di ottenere dalla quarta votazione in poi non sono sufficienti. Berlusconi è sicuro di averli, non ha fatto, però, i conti con i franchi tiratori che, come si sa, in Parlamento, quando si vota a scrutinio segreto sono in tanti. Ne sa qualcosa Romano Prodi il quale era convinto che sarebbe stato eletto Presidente della Repubblica, ma i suoi non l’hanno votato. 101 sono stati i franchi tiratori e al suo posto venne poi eletto un altro Presidente. Temo che quello che è capitato a Prodi potrebbe capitare a Berlusconi. Il perché è ovvio, il Pd e Il M5Stelle vogliono Draghi al Quirinale. Ma non hanno i numeri questa volta per eleggere un Presidente a loro gradito. E allora hanno avanzato una proposta: Niente Berlusconi ma un candidato condivisibile e un patto di Legislatura. Un candidato che non sia un leader politico e un leader divisibile. Insomma tutto il centro destra dovrebbe votare un candidato che sia condiviso da tutti e che sia amico della sinistra. Quisquilie, pinzellacchere, direbbe il grande Totò. Diciamocelo francamente sono scuse, sono veti per affossare Berlusconi. Enrico Letta, segretario del Pd, dice che Berlusconi è il leader politico più divisibile, dimentica, però, che Berlusconi non lo è stato quando Letta ha accettato i voti di Forza Italia quando è stato eletto Presidente del Consiglio. Allora il Cavaliere era un grande. L’appoggio del Cavaliere era necessario, peccato che poi Renzi con quell’Enrico stai sereno, lo abbia mandato a casa definitivamente. Ora che è rientrato in Parlamento a casa non vuole più tornarci e neanche a Parigi vuole più andarci.Sa benissimo che se venisse eletto Berlusconi al Quirinale si tornerebbe a votare. E molti parlamentari hanno paura del voto. Ecco perché Letta chiede al centro destra un patto di legislatura. Eleggere tutti insieme un Presidente della Repubblica scelto da Letta e Co. e portare la Legislatura fino al 2023. Caro Letta, mettiti il cuore in pace. Questa volta non conti nulla, sono altri che fanno proposte e dettano legge e danno le carte, tu, invece, con le pive nel sacco, dovrai accettarle. Ma anche se venisse accettata la tua proposta e Draghi venisse eletto alla massima carica dello Stato sarebbe difficile poi trovare un altro Presidente del Consiglio capace di portare a compimento le opere iniziate da Draghi.Caro Letta, vuoi davvero far durare la legislatura e vuoi fare eleggere un Presidente della Repubblica votato da quasi tutti i grandi elettori? Io il nome ce lo avrei: il suo nome è Gianni, lo storico e fidatissimo braccio destro di Berlusconi. Sarebbe un ottimo Presidente della Repubblica da tutti rispettato. Conosce alla perfezione il gioco delle forze politiche ed è “uomo delle tante relazioni e del dialogo senza alcun clamore”,(Luigi Tivelli, Rivista “Formiche”)

Pubblicato in Politica

mario-draghi-1-1024x612L’Art. 83 della Costituzione Italiana così recita: Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dai suoi membri. E l’Art. 84: Può essere eletto ogni cittadino che abbia compiuto 50 anni e che goda dei diritti civili e politici. Quindi, anche io e anche tutti voi, amici carissimi che mi state leggendo, se venissimo votati dal Parlamento potremmo diventare Presidente della Repubblica Italiana ricoprendo la carica più prestigiosa e più importante della Repubblica. Ma questo non accadrà mai e mettiamoci il cuore in pace, perché sin dalla nascita della Repubblica il Capo dello Stato è stato sempre scelto da un parlamentare che abbia ricoperto già un ruolo istituzionale come ex Presidente del Consiglio, come ex Presidente della Camera o del Senato, come ex Ministro, come ex Presidente della Corte Costituzionale. Noi, tutto al più, abbiamo ricoperto la carica di consiglieri comunali o di assessori di piccoli ed insignificanti Comuni. Lasciamo ad altri, dunque, la possibilità di diventare Presidente della Repubblica. E Mario Draghi, l’attuale Presidente del Consiglio eletto da una ampia maggioranza parlamentare mai vista prima, potrebbe diventare Presidente della Repubblica? Potrebbe traslocare da Palazzo Chigi al Quirinale senza combinare qualche sconquasso? Certamente. Ed è inutile girarci intorno e far finta di niente. Mario Draghi al Quirinale vorrebbe andarci eccome. Qualche giornalista ha scritto, e da più di un mese solo di questo si parla nei talk show e sui giornali, che se Draghi diventasse Presidente della Repubblica sarebbe una catastrofe. Esagerato. Certamente, però, nel Parlamento ci sarebbe un bel sconquasso. Alcune forze politiche vorrebbero lo scioglimento anticipato delle Camere per andare subito al voto, come la Lega e Fratelli d’Italia. Altre, invece, hanno paura del voto e vorrebbero, auspicherebbero, esigerebbero che la legislatura continui fino alla sua naturale scadenza così molti Parlamentari che sicuramente non saranno più eletti nella prossima tornata elettorale perché il Parlamento sarà dimezzato avrebbero così diritto a percepire la pensione parlamentare. E allora? E qui mi sovviene un proverbio calabrese:- E cca c’è su spine e llà ci sono calabruni, dove ti vuoi jettare ti jietti-! Ci sarà senz’altro maretta sia che Mario Draghi rimanga a Palazzo Chigi sia che traslochi al Quirinale. Dante aiutami tu a descrivere questa ingarbugliata situazione in cui si troverebbe l’Italia, il Governo, il Parlamento:- Nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincia ma bordello-. Ci sarebbe un gran bordello e tutti ma proprio tutti tirerebbero il povero Draghi per la giacchetta. Cambiare il Presidente del Consiglio proprio ora, in piena pandemia e con molte cose ancora irrisole e con la situazione sanitaria che sta peggiorando e con le riforme richieste da Bruxelles appena incominciate è davvero un rischio. Ma questo rischio è necessario affrontarlo per il bene del Paese nel migliore dei modi, perché Mattarella si è detto indisponibile ad un reincarico. Draghi, invece al Quirinale vorrebbe andarci, eccome. Lo ha detto anche lui.- Sono un nonno delle istituzioni -. Se venisse quindi eletto Presidente della Repubblica, me lo auguro sinceramente al primo turno con una amplissima e bulgarissima maggioranza, nulla cambierebbe. Si eleggerebbe un nuovo Presidente del Consiglio con l’attuale maggioranza parlamentare perché nessuno vuole una crisi di Governo al buio-. Il cammino del famoso Pnrr rallenterebbe, naufragherebbe la riforma del patto di stabilità, lo spread salirebbe. E chi pagherebbe il costo di questa crisi? Noi, ovviamente. E allora, mandiamo al Quirinale un altro personaggio politico fidato e competente e Mario Draghi lasciamolo dov’è. Facciamo finire la Legislatura e poi andiamo al voto. Amen.

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bandiera-mezz-asta-801x480-1Questa è la domanda che mi faccio mentre mi accingo a scrivere questo articolo odierno. Riusciranno Zingaretti, Di Maio, Salvini, Renzi, Berlusconi ed altri a sedersi intorno ad un tavolo e mettersi d’accordo? La risposta è affermativa. Si metteranno d’accordo per il bene del Paese. Non si va contro il Paese che soffre, che langue, che sanguina, che piange i suoi figli che vede morire ogni giorno causa coronavirus e che lentamente ma inesorabilmente sta distruggendo la nostra economia. Nessuno si metterà di traverso. Alcuni si tureranno il naso, altri troveranno il modo di digerire il nuovo governo Draghi, voluto dal Presidente Mattarella. E mentre il Prof. Draghi si accinge, dopo giorni di consultazioni, a formare il nuovo governo, coinvolgendo tutti i partiti dell’arco costituzionale, mi sovviene il film comico di Marco Monicelli “L’armata Brancaleone”. Ce la farà il Prof. da molti ritenuto il salvatore della Patria a mettere d’accordo i vari portiti politici molto litigiosi fino ad ieri, i gruppi e i gruppuscoli nati da diverse scissioni? Non c’è dubbio che ha grandi capacità nel convincere i leader dei partiti ad appoggiarlo. E’ l’unica occasione per andare avanti. Se fallisse il suo tentativo ci sarebbero lo scioglimento del Parlamento ed elezioni anticipate che nessuno le vuole o auspica. Lo spauracchio di elezioni anticipate fa venire la pelle d’oca a tutti, nessuno escluso. Nessuno vuole lasciare la comoda poltrona che occupa. Tutti sanno benissimo, causa anche la nuova legge parlamentare approvata di recente, che per la maggior parte di loro non ci sarebbe più posto in Parlamento. E lo sanno pure i Costruttori, i Responsabili, i Ciampolillo. Anche per loro non ci sarebbe più posto. Per diversi giorni la stampa si è occupata di loro come i pilastri delle istituzioni, come i salvatori della Patria, come i traghettatori del Governo Conte ter. Ed ora? Dove sono? Con l’avvento del Prof. Draghi sono stati messi nel dimenticatoio. Non servono più. Nessuno più li nomina, nessuno li cerca, anche le televisioni li hanno completamente dimenticati. Che fine ingloriosa! La loro popolarità è durata lo spazio di un mattino, si è sciolta come la neve di aprile. Solo Conte, perché non voleva abbandonare lo scranno presidenziale, aveva dato loro importanza e credibilità. Non sono serviti a nulla. Con un colpo di bacchetta magica Matteo Renzi li ha annientati e seppelliti. E con la sua pattuglia di Italia Viva che gode appena del 2% di consensi ha fatto nascere prima Conte per abbattere Salvini e poi lo ha fatto cadere. Caro Conte, addio sogni di gloria, addio castelli in aria. Ora è Draghi al centro di tutto. Draghi è il sole intorno al quale tutti gli altri pianeti dovranno girargli attorno. E’ il pifferaio magico che con la sua musica porta dietro prima i topi e poi i bambini, prima il Pd e il M5S e poi la Lega di Salvini. C’è veramente da rimanere basiti. Ma questo, amici, è il bello della politica. Ieri si gridava mai con tizio e con caio, oggi ben venga tizio e caio. E noi, come al solito, staremo a vedere.

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presidente2020Il Prof. Mario Draghi, ricevuto il mandato dal Presidente Mattarella per cercare di formare un nuovo governo, ha finito oggi di consultare i vari partiti politici e i piccoli gruppi parlamentari. Tutti, tranne Giorgia Meloni, si son detti disponibili ad appoggiare la nascita del Governo Draghi, politico o tecnico ancora non si sa. Come era nelle previsioni tutti cercano di salire sul carro del vincitore e purtroppo, prima ancora che Draghi sciogliesse la riserva, troppi lacchè gli girano intorno. Tutti lo cercano, tutti lo vogliono. Ci garantisce discontinuità. E’ bravissimo. E’ competente. Già si vede l’effetto Draghi sullo spread. E’ sotto la soglia dei 100 punti. I mercati sono euforici Non si vedeva dal 2015. E già questa è una buona notizia. Già lo vedono come un salvatore della Patria. Un uomo mandato dalla Provvidenza. Sappiamo tutti, però, che fine hanno fatto gli uomini tanto osannati e mandati dalla Provvidenza. Uno è finito a testa in giù a Piazzale Loreto a Milano. Per colpa di quell’altro, che ha poi fondato un suo partito perché si era affezionato al potere, ancora oggi ci stiamo leccando le ferite. Ecco perché alcuni politologi temono un periodo di austerità lacrime e sangue come con il governo tecnico di quell’altro Mario, cioè Monti.

E mentre scrivo queste note mi è venuta in mente la commedia buffa di Giacomo Rossini: Il Barbiere di Siviglia. Canta Figaro: Ah, che bel vivere, che bel piacere, per un barbiere di qualità. Bravo, bravissimo, fortunatissimo. Tutti mi vogliono, tutti mi cercano, donne, ragazze vecchi, fanciulli. Uno alla volta, per carità. E come Figaro, ottimo barbiere, anche Draghi, ottimo banchiere, è ricercato da tutti i politici e i lacchè nostrani, incominciando da Emma Bonino, da Zingaretti, da Berlusconi, da Di Maio a finire a Salvini. Conte, addirittura è sceso in piazza, anziché la più sobria sala stampa di Palazzo Chigi, ha fatto preparare un tavolinetto infarcito di microfoni e ha fatto sapere che lui auspica un governo politico e che lui c’è e ci sarà. Tutti sono concordi, sembrano entusiasti nel ritenere che Draghi sia la persona giusta, la persona adatta e competente per fare uscire l’Italia dalla crisi economica, sociale e sanitaria a causa del coronavirus. Tutti ora lo tirano per la giacchetta. Sono tutti a disposizione, ma un certo imbarazzo già trapela tra le fila del comico Grillo e del Pd scombussolando i piani del segretario Zingaretti. Riuscirà Draghi, tanto osannato, a formare un governo stabile e duraturo? Un governo tecnico o un governo politico con quasi gli stessi uomini politici del governo precedente? Sarebbe un governo Conte bis senza la guida di Conte. Ma non credo che Draghi stia preparando un simile pastrocchio, un governo con gli stessi uomini politici che hanno combinato disastri immani.

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Vi proponiamo un importante articolo che difficilmente udirete sui nostri TG:

“Draghi ha ragione: euro significa un unico governo e un superstato europeo, e fingere il contrario è intellettualmente infantile.

La Banca Centrale Europea si trova ad affrontare una vera e propria crisi di leadership. L'autorità di Mario Draghi sta venendo meno, con importanti implicazioni per i mercati finanziari e il destino a lungo termine dell'unione monetaria.

Sia Die Zeit che Die Welt hanno riportato che tre membri su sei del comitato esecutivo della BCE si sono rifiutati di firmare le ultime dichiarazioni di Draghi, un ammutinamento senza precedenti nel sancta sanctorum che decide la politica economica della BCE.

I dissidenti sono la tedesca Sabine Lautenschläger, il lussemburghese Yves Mersch e, fatto più sorprendente, il francese Benoît Coeuré, un segnale che Parigi spera ancora di evitare una rottura delle relazioni con Berlino sulla gestione dell'UEM.

La realtà è che ben sei mesi dopo che Draghi ha parlato per la prima volta liberamente di un blitz da € 1000 miliardi per scongiurare i rischi di deflazione, di concreto non è accaduto quasi nulla. Il bilancio della BCE si è ridotto di oltre € 100 miliardi.

Le sue parole hanno portato a un euro più debole, ma questo non è uno stimolo monetario. Non compensa il ritiro di 85 miliardi di dollari di acquisti netti di obbligazioni da parte della Federal Reserve degli Stati Uniti per l'economia globale nel suo complesso. E' una dinamica a somma zero.

Lo scontro arriva in un momento delicato in cui la stampa italiana riporta che Draghi potrebbe presto tornare a casa per assumere la presidenza italiana, con l'89-enne Giorgio Napolitano che si prepara a dimettersi. Un esito di questo genere è improbabile. Eppure non c'è dubbio che Draghi abbia pressanti motivi familiari per tornare a Roma, oltre al fatto che ormai riesce a nascondere a malapena la sua irritazione verso Francoforte.

Questo articolo incendiario sulla ARD Tagesschau dà l'idea di quel che si dice in Germania. Giustamente o meno, Draghi è accusato di perdere le staffe, di non voler ascoltare le obiezioni, di tagliar fuori il capo della Bundesbank Jens Weidmann e di ritirarsi in un "gabinetto ristretto".

L'ultima disputa riguardava un cambiamento nel testo della dichiarazione della BCE sul suo bilancio. Anche se sembra una questione semantica e banale - se l'aumento di € 1000 miliardi fosse "previsto" o "programmato" - lo scontro che ci sta dietro è serio. I falchi non si lasceranno trascinare in un vero e proprio quantitative easing  prima di essere pronti. Stanno palesemente giocando contro il tempo, continuando a sperare che il Rubicone non sarà mai attraversato.

Mrs. Lautenschläger ha generato un certo scalpore lo scorso fine settimana contravvenendo alla regola del silenzio che precede i meeting, per dire che la guardia sul QE resta ancora molto alta. Ha criticato l'"attivismo" per il gusto di fare e ha avvertito che a questo punto il QE farebbe più male che bene: gli acquisti di titoli di Stato equivalgono a dei trasferimenti fiscali e creano un "serio problema di incentivi".

Lei è naturalmente sostenuta da Jens Weidmann della Bundesbank, il quale stamattina ha detto che la politica monetaria è troppo allentata per le esigenze della Germania - anche se la Bundesbank dimezza le sue previsioni di crescita economica della Germania per  il prossimo anno all'1pc, e anche se la quota delle merci tedesche in deflazione dei prezzi raggiunge il 31.2pc. Weidmann sostiene che il crollo dei prezzi del petrolio è un "mini-stimolo", e sembra implicare che questo riduce quindi la necessità del QE.

I tedeschi sospettano che Draghi stia cercando di puntare sul QE sovrano in modo che ci possa essere un prestatore di ultima istanza per le obbligazioni del Club Med il prossimo anno,  quando le banche venderanno le loro partecipazioni a seguito del rimborso dei prestiti della BCE (LTRO).

Da quando Draghi ha lanciato il suo primo carry trade da 1000 miliardi di € tre anni fa, gli istituti di credito italiani hanno raddoppiato il loro portafoglio di titoli di Stato italiani (BTP) a circa € 400 miliardi. Mediobanca si aspetta che il portafoglio scenderà a € 100 miliardi nel 2015. Chi acquisterà questo diluvio di offerta sul mercato, e a quale prezzo?

Draghi ha reso chiaro che in caso di necessità la BCE può ignorare il voto contrario della Germania sugli acquisti di obbligazioni. "Non abbiamo bisogno di avere l'unanimità", ha detto, anche se difficilmente avrebbe potuto rispondere diversamente se interrogato espressamente sul punto. Si può immaginare lo scandalo se avesse suggerito, invece, che la Germania ha un diritto di veto.

Ma è difficile capire come possa andare avanti una BCE profondamente divisa – come ha fatto di recente la Banca del Giappone con una stretta maggioranza di 5: 4 voti a favore della Abenomics II - su una questione di così grande portata politica e giuridica come un pieno QE. (Un QE minimale è un altro discorso, ma non farebbe alcuna differenza).

Come ho scritto ieri sera, un'azione del genere sarebbe una bella fonte di reclutamento per il partito tedesco anti-euro AFD e metterebbe in pericolo il consenso popolare e politico tedesco per l'unione monetaria. La Verfassungsgerichtshof ha già dichiarato che il precedente piano di sostegno per l'Italia e la Spagna (OMT) "vìola manifestamente" i Trattati ed è probabilmente Ultra Vires. Questo problema non è ancora risolto alla Corte europea.

I professori euroscettici tedeschi stanno già preparando una nuova causa contro il QE, sostenendo che esso fa ricadere grandi responsabilità sui contribuenti tedeschi,  è politica fiscale de facto, e vìola la sovranità di bilancio del Bundestag. Sentenze precedenti da parte del Verfassungsgerichtshof suggeriscono che molti dei giudici potrebbero essere d'accordo. Né è chiaro se la Bundesbank potrebbe partecipare al QE una volta che venisse presentata una denuncia del genere, questione che non riceve quasi nessuna attenzione da parte dei mercati.

Sia chiaro, io non critico Mario Draghi. Ha fatto miracoli, dati i vincoli della politica. La sua gestione della BCE è stata niente meno che eroica. Concordo pienamente con la logica - anche se non l'obiettivo - del suo grido d'allarme in Finlandia di una settimana fa. Il successo finale dell'UEM, ha detto, "dipende dal riconoscimento che la condivisione di una moneta unica è un'unione politica, e quindi dal saperne trarre le conseguenze".

Oppure, per dirla in un altro modo, una volta che avete lanciato una unione monetaria, avete automaticamente lanciato anche un'unione politica. Questo è ciò che significa l'UEM. L'euro significa un unico governo e un superstato europeo,  e implicitamente l'abolizione della Germania come stato indipendente pienamente sovrano. Fingere che non sia così è intellettualmente infantile. Resistere a questa verità – e continuare comunque a procedere ostinatamente con l'UEM - condanna l'Europa a delle crisi ricorrenti e a una depressione permanente.

Su questo Draghi ha perfettamente ragione, ed è questo il motivo per cui quelli di noi che eravamo euroscettici a Maastricht - e ho scritto io l'editoriale del Daily Telegraph la notte dell'infame Trattato, esattamente 23 anni fa – si sono sempre opposti all'UEM con inflessibile determinazione, e hanno grande simpatia per quei tedeschi che vogliono tirarsi fuori dall'UEM per salvare il proprio stato sovrano, prima che sia troppo tardi.

Altrettanto ha ragione Weidmann a pensare - come pare che faccia - che la carica a testa bassa verso la mutualizzazione del debito e l'unione fiscale di fatto realizzata con mezzi monetari sia una minaccia mortale per la democrazia tedesca e per lo stato di diritto.

La posta in gioco è molto alta. Una prova di forza arriverà sicuramente nei prossimi mesi, in un modo o nell'altro.

di Ambrose Evans Pritchard, 5 Dicembre 2014

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