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Il tribunale collegiale di Paola ha emesso sentenza di non doversi procedere nei confronti di don Alfredo Luberto e Fausto Arcuri.

Finisce così ingloriosamente il processo nel quale i due amministratori dell’Istituto Papa Giovanni XXII erano accusati di appropriazione indebita.

Secondo il pubblico ministero Maria Francesca Cerchiara della procura di Paola, i due avrebbero intascato un importo complessivo di 1 milione e 822 mila euro, soldi frutto di donazioni rilasciate in loro favore dagli ospiti dell’istituto e circoscrivibili ai ratei delle pensioni.

Il lavoro di annotazione contabile, sostenne l’accusa, era da riferire proprio ad Arcuri che avrebbe messo a bilancio spese di vario tipo delle persone ospiti dell’istituto di Serra d’Aiello.

Per questo aveva chiesto 5 anni di carcere.

Il capo di accusa era stato riqualificato dopo l’iniziale contestazione di peculato.

I legali di don Luberto, Angelo Pugliese ed Emilio Rilangi, hanno dimostrato al collegio giudicante come l’accusa di peculato per il presidente dell’istituto Papa Giovanni XXIII non fosse fondata.

Secondo loro essendo l’istituto una fondazione di diritto canonico essi non rivestivano gli incarichi di pubblico servizio.

Anche per questo, probabilmente, sono scattati i termini della prescrizione.

Finisce così davanti agli organi giudicanti di primo grado , per i due imputati, l’ esperienza giudiziaria.

Pubblicato in Basso Tirreno

Riceviamo e pubblichiamo:

“Mi telefona un collega, un avvocato che stimo, il quale mi parla del caso giudiziario di un suo cliente.

Il dialogo è ispirato al confronto, al consiglio e alla riflessione sul fatto attinto dall’interesse della Giustizia penale, che, molto lentamente, tenta di procedere verso la risposta, punitiva o assolutoria, su quella persona, interessata dal calderone giudiziario.

La centralità della discussione è costituita da una mia allegoria, una delle tante utilizzate per parlare di Giustizia, di Professionisti che indossano la Toga e di Processo penale.

L’allegoria rappresenta la nave, che dentro la nebbia più fitta, tenta di raggiungere esattamente Quel Porto, in cui la decisione del Giudice verrà ritenuta congrua per la democrazia che pretende un Sistema processuale, chiaro e bene oliato, capace di garantire la celerità, l’immediatezza e la concentrazione processuale.

A ben vedere, la giustizia penale oggi è lontana dall’immediatezza e dalla concentrazione e quantunque vi sia l’ideale di garantire un processo penale costituzionalmente orientato, la persona imputata è sovente dimenticata nelle aule di giustizia, per via dell’eccessiva durata dei processi (penali e civili).

Per personale inclinazione vorrei volgere lo sguardo alla Giustizia penale.

Il Procedimento penale, si compone di Indagini preliminari, Udienza preliminare e Giudizio (escludendo la fase esecutiva poiché successiva all’accertamento del fatto).

Nel Giudizio v’è l’istruzione dibattimentale, nella quale avviene la formazione di tutto il materiale probatorio (coltivato con testimonianze, perizie, confronti ecc..) da offrire al giudice del merito, affinché lo stesso possa decidere sulla fondatezza o meno dell’accusa.

Orbene, la soluzione del Legislatore per soddisfare la necessità di celebrare comunque i processi è stata quella di allungare i tempi della prescrizione dei reati.

La prescrizione del reato costituisce una cause estintiva del reato, desunta dal decorso del tempo senza che alla commissione del fatto delittuoso o contravvenzionale segua una sentenza irrevocabile.

Alla base dell’istituto, tipicamente di diritto penale sostanziale, sta l’inutilità della repressione, considerato che l’allarme sociale destato dal fatto oggetto di valutazione è venuto scemando, unitamente alle esigenze di prevenzione a seguito del decorso del tempo.

La legge stabilisce, in relazione alla pena massima edittale, il tempo entro il quale ogni reato si può considerare estinto.

La recente riforma della prescrizione ha rimodulato l’intervento dell’istituto prevedendone la sospensione dopo la sentenza di condanna (!) per un tempo comunque non superiore a un anno e sei mesi fino alla pronuncia del dispositivo della sentenza di condanna che definisce il grado di appello.

Parimenti, v’è sospensione dopo l’appello sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza definitiva, per un tempo comunque non superiore a un anno e sei mesi.

A ben vedere, la politica del diritto dovrebbe ispirarsi con maggiore attenzione ad una cultura penalistica matura, evitando “sortite improvvide di giustizialismo estremista”, in questo caso verso chi è condannato, rispettando l’impegno degli operatori giuridici, Avvocati e Magistrati che nel rito attuale della Giustizia italiana sono impegnati ad esercitare con grande fatica.

Allungare i tempi di prescrizione è certamente la strada più comoda per consentire la risposta del giudice, tuttavia è diritto della persona non essere dimenticata nelle aule giudiziali dove si terrà il processo che intende vagliarne la condotta.

Si dovrebbe aggiungere una soluzione ancor più strutturata, mitigatrice della lentezza dell’iter procedimentale, puntando su una corposa semplificazione capace di attenuare l’ipertrofia normativa, molto spesso disorganica e consentire, in chiave procedimentale, la celebrazione di processi la cui durata sia ragionevole.

Avvocato Francesco Bernardo.

Negli ultimi 10 anni i decreti di archiviazione per prescrizione emessi dai GIL sono stati 1.134.259, cioè il 73 % del totale.
Ad essi vanno aggiunte 63 892sentenze emesse dai GUP.

 

E di seguito 209.576 dai Tribunali, 131.856 dalle Corti di Appello, 3293 dalla Cassazione ed infine 9559 dai Giudici di Pace per un totale di 1.552.435 sentenze prescrizionali

 

Parliamo di oltre 155 mila prescrizioni ogni anno,cioè circa 5166 prescrizioni per ogni giorno lavorativo al giorno.

Praticamente quasi 650 prescrizioni per ora lavorativa( considerando una giornata di 8 ore).

Cioè una ogni minuto!

 

Ovviamente questi dati nelle inaugurazioni degli anni giudiziari vengono sottaciuti. Quasi tenuti nascosti.

Parliamo , così, di una insufficiente onestà intellettuale sin dalle fasi iniziali

E’ bene anche sapere che il 70 % delle prescrizioni si determina in fase di indagini preliminari

Il resto sono da addebitare alle manovre dilatorie dei legali.

Impossibile, a tal punto, non ricordare quanto dicevaAngela Napoli, quando era deputata di Alleanza Nazionale prima e di Fli dopo, e che ha fatto di tutto per sensibilizzare la magistratura ad andare fino in fondo:“Quando ci sono in tutte le indagini coinvolti anche ambienti dell’imprenditoria e della politica calabrese, tutto deve tacere”.

 

E proprio così che si è formata nella società calabrese la percezione che chi la ottiene è una persona importante oltre che un furbo.

Una persona che quantomeno ha amici che contano sia nella fase investigativa, nel senso che determina timore ad indagare doviziosamente, sia nella fase processuale, potendo contare, magari, su ottimi avvocati , od altro.

Ed così gli indagati sono persone che contano perché “Tanto la indagine si avvia alla prescrizione” e quindi siamo di fronte ad una persona per bene.

Una situazione che rende inutile ogni proposto o deliberato innalzamento delle pene edittali.

La cosa è seria perché “Lo Stato abdica alla sua potestà di punire ,di fronte alla forza naturale del tempo che copre di oblio i fatti criminosi, annulla l’ interesse repressivo, attenua l’allarme sociale e rende difficile il raggiungimento delle prove”

 

Ma la cosa grave è che qualcuno( gli amici) pensi che gli inquisiti in questo modo diventino persone perbene!

Non è così! Al più sono indagati non giudicati, non indagati assolti!

Pubblicato in Politica
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