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La fiera di Amantea: quanti ricordi fa rivivere

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Riceviamo e pubblichiamo con gioia il seguente spaccato della antica Fiera di Amantea, offertoci dalla bella penna di Ciccio Gagliardi che lo ha mirabilmente tratto dalla sua memoria:

“La fiera di Amantea che io ricordo con nostalgia e che ancora è indelebilmente impressa nella mia mente è quella che si svolgeva a Santa Maria: La fiera degli animali del 26 e 27 ottobre di ogni anno.

Chi vive nelle città piene di smog, invivibile, sporche, col traffico che impazzisce, in mezzo a tanti rumori molesti, non sa, non conosce cosa significhi veramente una festa patronale, una fiera di merci e bestiame.

Sì, la Fiera di Amantea che ancora oggi come nel passato si svolge dal 30 ottobre al 2 novembre, giorno dei nostri cari defunti, perciò da qualcuno è anche chiamata Fiera dei morti.

Era una festa grande per tutti i componenti la famiglia, per grandi e piccini.

Era consuetudine, per noi che abitavamo in San Pietro in Amantea, andare alla Fiera a piedi, macchine e pullman non ce n’erano, percorrendo le impervie scorciatoie della contrada Cannavina. Alle Rote, davanti l’abitazione dell’allora capillaru Giorgio, ci fermavamo, le donne si pulivano i piedi dalla polvere e indossavano le scarpe.

Poi, a gruppi, alla spicciolata chi andava verso la Chiazza, chi al Mercato, chi a Piazza Cappuccini e chi andava verso Santa Maria perché doveva comprare o vendere gli animali.

La Fiera di Amantea, come sappiamo, ha origini antiche, e fino a pochi anni fa quando ancora si svolgevano le fiere degli animali, attirava migliaia di famiglie, di contadini, di allevatori provenienti da tutto il circondario.

Le piazze, le vie, le strade, le campagne erano invase dagli animali e dalle bancarelle. Era una festa di colori, di suoni, di scenette piene di un loro sapore paesano.

Si potevano incontrare certe figure caratteristiche, ormai appartenenti ad un irrevocabile passato, come l’arrotino, il ferra ciucci, l’ombrellaio, il banditore che annunciava ai ferari che in questa o quella cantina avevano spillato dalla botte un vino magnifico; o come il cantastorie che cantava le gesta di qualche personaggio famoso e poi offriva per pochi spiccioli il foglietto volante col testo della canzone; o come il sensale, il quale si avvicinava agli animali e menando pacche sulle natiche ne esaltava le doti.

Poi afferrava la mano del venditore che fingeva di non voler vendere e la mano del compratore che fingeva, a sua volta, di non voler comprare e li metteva d’accordo.

Il compratore allora dava al venditore una caparra, un acconto, consacrando così la compravendita più vincolante di un rogito notarile.

Nella fiera si poteva incontrare anche il venditore d’acqua che la misurava e vendeva a bicchieri o il venditore di dolci, famosi i mostaccioli di Soriano, di ceci abbrustoliti, di semi di zucca, di taralli, ciambelle, lupini, frittelle.

I venditori gridavano, offrivano i prodotti più disparati, semplici ed anche assurdi.

La fiera dei miei lontani ricordi era un importante tramite commerciale: spesso le famiglie attendevano per mesi la fiera prima di fare i loro acquisti.

Nella fiera la contadina barattava i suoi prodotti agricoli con stoffe o suppellettili casalinghe, oppure vendeva il maialino, il vitellino, i polli, tutti gli animali che aveva allevato con cura e con enormi sacrifici e che costituivano gli unici introiti del magro bilancio domestico.

Ai giovanotti, invece, offriva il pretesto di iniziare il dialogo amoroso che, di solito, si concludeva all’altare, come avveniva spesso negli incontri voluti o casuali tra una bancarella e l’altra.

Noi ragazzi compravamo qualche fischietto, qualche trombetta, un temperino, un organetto, qualche giocattolo e immancabilmente la famosa gassosa dell’indimenticabile Ricuzzu Morelli e poi al Bar Politano, avendo qualche soldino, un bel gelato alla crema e al cioccolato ed in ultimo, tempo e soldi permettendo, un bel giretto alla giostra in Piazza Mercato Vecchio.

E poi a tarda sera, stanchi ma soddisfatti, ritornavamo al paesello e a casa, intorno al focolare, ad ascoltare o raccontare fatti veri o inventati della fiera. di Francesco Gagliardi.

Redazione TirrenoNews

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