Ecco il comunicato con il quale Graziano spiega i fatti che hanno motivato la sentenza della Corte d’Appello in base alla quale so trova fuori dal Consiglio.
Riceviamo e pubblichiamo
CORIGLIANO-ROSSANO – Venerdì, 10 Novembre 2017 – È solo per un cavillo burocratico che mi trovo fuori dal Consiglio regionale.
Il mio posto è legittimo.
Il rammarico più grande è per la sentenza che cancella la volontà chiara di diecimila cittadini calabresi.
Che hanno fatto confluire la loro preferenza personale su di me dando, di riflesso, fiducia e sostengo alla lista della Casa delle Libertà e quindi anche agli altri candidati dello schieramento.
È quanto dice il leader nazionale de Il Coraggio di Cambiare l’Italia, Giuseppe Graziano, già Segretario questore del Consiglio regionale della Calabria, che ritornando sulla decisione assunta dalla Corte d’Appello, spiega i motivi che hanno spinto i giudici a confermare la sentenza di ineleggibilità emanata dal Tribunale civile di Catanzaro.
All’epoca della mia candidatura al Consiglio regionale nella lista della Casa della Libertà – spiega Graziano – essendo dipendente di una Forza di polizia, ho dovuto presentare domanda di aspettativa. Istanza che è stata formalizzata, così come si evince da tutti i documenti depositati in fase di escussione e dibattimento, nei tempi e nei modi previsti dalla legge. Il problema sarebbe sorto nel momento in cui le pratiche di concedo sono state assunte dall’Amministrazione di riferimento che avrebbe risposto con ritardo.
Dunque, se errore c'è stato, non sarebbe da imputare a Giuseppe Graziano bensì a chi doveva compiere nei tempi prescritti gli adempimenti burocratici e non lo ha fatto. E di questo ne dovrà tener conto, sicuramente, la Corte di Cassazione presso la quale lo stesso Graziano ha annunciato ricorso.
Uscire fuori dal Consiglio regionale - aggiunge il Presidente nazionale del CCI - dopo un’affermazione così importante – essendo stato il candidato più votato nel centro destra in provincia di Cosenza ed il primo della Casa della Libertà in Calabria – chiaramente dispiace.
Anche perché le battaglie condotte in questi anni a sostegno dei cittadini e dei territori sono state tante.
Questo dispiace ma continueremo ugualmente – conclude Graziano - con più forza e determinazione a portare avanti le nostre battaglie per favorire la crescita dei territori calabresi e a far sì che si abbia il coraggio di cambiare le sorti di questa regione".
Graziano .
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Cosenza
Si scioglie come una bolla di sapone al sole l’ultimo troncone della inchiesta Why not.
La famosa inchiesta per far luce sugli appalti pubblici truccati e sui politici che ‘regalavano’ posti di lavoro.
Il PM aveva richiesta l’ assoluzione per l’ex vice presidente della Regione Calabria, Nicola Adamo, e per i due ex assessori, Ennio Morrone e Dionisio Gallo, mentre aveva chiest condanna a due anni per gli altri due imputati, Franco Morelli e Giancarlo Franzè.
Alla fine una sola condanna ; quella a carico di Giancarlo Franze’, coordinatore del consorzio Brutium, l’impero economico riconducibile ad Antonio Saladino, il principale indagato dell’inchiesta.
Una pena di due anni e sei mesi.
Parliamo di un società che sarebbe stata utilizzata per assumere personale ‘fidato’ e fare incetta di fondi pubblici e comunitari con il beneplacito dei politici più in vista della Regione Calabria.
Una ipotesi in Calabria molto attendibile ma difficilmente dimostrabile
Ed infatti sono stati assolti per non aver commesso il fatto i politici calabresi Nicola Adamo (ex vicepresidente Regione Calabria), Franco Morelli (ex consigliere regionale), Dionisio Gallo ed Ennio Morrone (ex assessori regionali).
L’accusa contestava che politici e dirigenti avrebbero commesso una serie di reati contro la pubblica amministrazione per aggiudicarsi appalti dalla Regione promettendo posti di lavoro in cambio di cospicui pacchetti di voti.
L’ inchiesta prese le mosse nel 2006 e venne promossa dal pm Luigi De Magistris.
Il gup Abigail Mellace scagiono’ completamente 17 persone , mentre 27 imputati furono rinviati a giudizio.
Poi l’impugnazione della Procura generale con un ricorso alla Cassazione
Oggi, invece, la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Catanzaro.
Ora non resta che aspettare eventuali altri gradi di giudizio.
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Calabria