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L’operazione della Direzione distrettuale Antimafia di Catanzaro ha smantellato due clan della ‘ndrangheta della città

COSENZA – Il blitz ribattezzato “Testa del Serpente” è scattato all’alba oggi, e la Polizia di Stato, l’Arma dei Carabinieri e la Guardia di Finanza stanno dando esecuzione ad un provvedimento di fermo di indiziato di delitto, della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti dei 18 soggetti appartenenti ai due principali clan di ‘ndrangheta operanti a Cosenza

 

 

I due clan sono ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di omicidio, estorsione (tentata e consumata, vari episodi), porto e detenzione abusivi di arma (diversi episodi), ricettazione, spaccio di sostanze stupefacenti, usura (diversi episodi), lesioni, tutti aggravati dalle modalità mafiose. Sono state eseguite perquisizioni in tutta la città.

Sembrerebbe dai primi riscontri che tra i soggetti raggiunti dal provvedimenti ci sia Roberto Porcaro, ritenuto reggente del clan tra l’altro assolto nei giorni scorsi in Appello dall’accusa di essere stato il mandante nell’omicidio Bruni.

Per quanto riguarda l’altro clan, quello degli Zingari, sarebbero coinvolto Luigi, Nicola, Marco e Francesco Abbruzzese.

Inoltre sarebbero state accertate anche estorsioni ai danni di imprenditori di Cosenza.

I due clan inoltre pare avessero a disposizione diverse armi alcune già sequestrate in diversi blitz compiuti a Cosenza.

Per quanto concerne lo spaccio di droga, i proventi, anche del pizzo, sarebbero confluiti nella cosiddetta ‘bacinella’.

Sarebbe coinvolto inoltre un poliziotto.

Pubblicato in Cosenza

La Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, guidata dal procuratore Giovanni Bombardieriha chiesto l’applicazione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti dell’attuale commissario liquidatore della Sorical Luigi Incarnato, di Alberto Scambia, titolare di Acquereggine, dell’imprenditore reggino Domenico Barbieri, del manager barese Luigi Patimo e di Anna Maria Gregorace, già dipendente della Regione e segretaria dell’ex presidente del consiglio regionale Giuseppe Bova.

L’ordinanza di custodia cautelare era stata rigettata in prima istanza, quando scattò l’operazione Rhegion, ma la Dda di Reggio Calabria ha presentato ricorso ed è attesa tra qualche giorno la decisione del Tribunale della Libertà di Reggio Calabria.

L’operazione realizzata dagli uomini del colonnello Lorenzo Falferi nel 2016 ha svelato una organizzazione parallela fatta di politici, imprenditori e dirigenti comunali che operava al fine di consentire a imprese mafiose l’ottenimento di appalti, aggirando o eludendo la normativa antimafia.

Un comitato d’affari che teneva sotto scacco il comune di Reggio Calabria, una rete associativa che si muoveva nella città dello Stretto e che faceva capo sempre a Paolo Romeo, l’avvocato arrestato nell’ambito dell’inchiesta Fata Morgana che sta facendo luce su un’associazione segreta di cui fanno parte politici, imprenditori, massoni e mafiosi.

L’operazione “Reghion” era scattata il 12 luglio del 2016.

I carabinieri del Comando provinciale avevano arrestato 10 persone.

Oltre a imprenditori reggini, romani e milanesi legati alla ‘ndrangheta, in manette era finito Marcello Cammera, storico dirigente del comune di Reggio, e il funzionario Bruno Fortugno che si occupava del servizio idrico integrato.

Il provvedimento di fermo, firmato dal procuratore Federico Cafiero De Raho e dal sostituto Stefano Musolino, aveva colpito anche l’ex senatore di An Domenico Kappler, gli imprenditori reggini Domenico e Vincenzo BarbieriAntonio Franco Cammera (fratello del dirigente e candidato alle ultime elezioni comunali con la lista “Oltre” che ha appoggiato il sindaco Falcomatà del Pd), Sergio Lucianetti di Roma, Luigi Patimo di Milano; Alberto Scambia di Roma e Mario Scambia. 

Se per il solo dirigente Cammera l’accusa più pesante è di concorso esterno in associazione mafiosa, la Procura contesta agli indagati anche i reati di turbata libertà degli incanti, truffa aggravata, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, induzione indebita a dare o promettere utilità, intestazione fittizia di beni e estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Sigilli, inoltre, a beni per 42 milioni e mezzo di euro.

In particolare sono stati sottoposti a sequestro due attività commerciali (il bar Winner e il ristorante Naos) e alcune società come la “Alluminio conduttori srl” (con sede Brescia, Reggio Calabria e San Ferdinando), la “Astem Srl” (Roma e San Ferdinando), la “Aster Consult srl”, la “Essevu Srl”, con sede a Colonna (in provincia di Roma), la “Gear Srl”, la “Global business service srl” (Roma), la “Idrorhegion Scarl” (Roma e Reggio Calabria), la “Idrorhegion servizi srl”, la “Idrosur Srl” (Roma); la “ProgIn Srl” (Roma), la “Rhegion-agua Scarl” (Milano), la “Sop di Barbieri Domenico & C Sas” con sede a San Ferdinando, la “Smeco Lazio Srl” (Roma) e la “Tecalco Srl” (San Ferdinando e Brescia).

Al centro dell’inchiesta “Reghion” la relazione tra Paolo Romeo e Marcello Cammera che “emergerà – è scritto nel decreto di fermo – in termini schiettamente criminali in una pluralità di vicende connesse sia al rapporto sinallagmatico di agevolazione degli interessi mafiosi del primo da parte del secondo, sia in termini di protezione dalle investigazioni, sia in termini di corruzione”. Stando alle indagini, infatti, viene fuori un “comitato d’affari” capace di gestire la macchina amministrativa comunale, nell’interesse della ‘ndrangheta. Un comitato il cui deus ex machina era  Marcello Cammera il quale avrebbe consentito a imprese legate alle cosche l’ottenimento di appalti, aggirando o eludendo la normativa antimafia, veicolando contratti multimilionari in favore di alleanze imprenditoriali dietro le quali si celava l’opera dell’avvocato Romeo.

Il modus operandi di Cammera, infatti, era quello di creare, artatamente, veri e propri stati di necessità e urgenza, tali da costringere l’amministrazione politica o i commissari prefettizi che hanno guidato il comune dopo lo scioglimento per mafia a una situazione in cui le alternative erano la sospensione dei lavori col rischio di vedere perduti milioni di euro di investimenti, oppure la loro prosecuzione assecondando il piano criminale congegnato dal dirigente arrestato.

Tra gli appalti finiti all’attenzione della Dda c’è quello riguardante il completamento e l’ottimizzazione del sistema di depurazione delle acque e la gestione delle risorse idriche.

Un bando, in project financing, da 250 milioni di euro che per gli inquirenti ha rappresentato l’esempio “paradigmatico” del mercimonio delle funzioni pubbliche e della sottomissione dell’interesse pubblico. Paolo Romeo e i dirigenti del comune, infatti, avrebbero aiutato il raggruppamento temporaneo di imprese composto dalla spagnola “Acciona Agua Servicios S.L.” ed “Idrorhegion S.c.a.r.l. S.r.l.”, ad aggiudicarsi la gara per la depurazione con un ribasso dello 0,1%.

Un aiuto che, di fatto, ha escluso il rischio di altri concorrenti in cambio posti di lavoro e consulenze per gli amici.

E se il dominus delle scelte imprenditoriali era Alberto Scambia (“stabile corruttore” viene definito in un’intercettazione), l’ex senatore di An Domenico Kappler sarebbe stato il “socio occulto o, comunque, portatore di cointeressenze sostanziali nelle imprese riferibili all’imprenditore romano”. Le indagini del pm Musolino hanno accertato come Kappler, pur non ricoprendo un ruolo formale, avesse “evidenti interessi e attiva partecipazione nella gestione operativa di Acquereggine S.c.a.r.l. e Idrorhegion S.c.a.r.l., significativa capacità d’influenza presso Acea Spa, ma soprattutto svolgesse il ruolo di amministratore delegato della società pubblica “Risorse per Roma Spa”.

Proprio attraverso quest’ultima, inoltre, era stato affidato al dirigente comunale Cammera un incarico professionale che costituiva una parte del prezzo della sua corruzione. 

L’altra parte era il posto di lavoro che il dirigente aveva ottenuto per il fratello Antonio Cammera dall’imprenditore Domenico Barbieri (cugino dell’avvocato Romeo) che controllava il 24,4% delle quote intestate alla Gear Srl.

All’ombra del mega appalto per i servizi idrici, gli indagati Alberto Scambia, Luigi Patimo e Domenico Barbieri avevano realizzato un fondo nero che serviva da “stanza di compensazione” per la ripartizione dei proventi delle attività delittuose e delle spese extracontabili, molte delle quali funzionali alla corruzione dei pubblici ufficiali.

Il Comitato d’affari, e in particolare Marcello Cammera, inoltre, hanno goduto dell’appoggio mediatico offerto da Paolo Romeo e da Teresa Munari, giornalista del Garantista il quotidiano oggi fallito e all’epoca diretto da Piero Sansonetti. “Sono state registrate – dicono gli investigatori – campagne di mutuo soccorso per Marcello Cammera dagli attacchi della politica locale, che a più riprese aveva annunciato pubblicamente di voler procedere alla rotazione dei dirigenti comunali. La giornalista utilizzerà tutta la sua influenza sulla stampa locale, e le proprie aderenze con esponenti politici, al fine di rintuzzare gli attacchi mediatici al dirigente, concedendogli interviste tese a riabilitarne l’immagine pubblica e attaccando i suoi oppositori”.

“In questo contesto, – è scritto nel decreto di fermo – spicca la modalità di assunzione della Munari al quotidiano Il Garantista. Questa, infatti, è frutto delle relazioni personali vantate da Paolo Romeo con il presidente di Confindustria di Reggio Calabria, Andrea Cuzzocrea, a quell’epoca editore del quotidiano”. “Abbiamo proceduto con il fermo perché c’era il pericolo di fuga degli indagati. – aveva spiegato il procuratore Federico Cafiero De Raho – Questa è una città che o cambia facendo chiarezza oppure è destinata a rimanere nelle fauci di questo lupo che è la ‘ndrangheta. Credo che Reggio Calabria saprà reagire. Noi facciamo la nostra parte e, se tutti fanno la propria, probabilmente faremo passi avanti”.

Incarnato è coinvolto nell’inchiesta per una presunta corresponsione di una tangente da 30.000 euro che Scambia, il deus ex machina di Acquereggine, avrebbe indirizzato verso di lui in qualità di commissario della Sorical in tre tranche.

La prova, secondo l’accusa, sarebbe in alcuni manoscritti contabili acquisiti nell’ambito delle perquisizioni effettuate a carico dello stesso dominus di Acquereggine e dell’ex senatore di Alleanza nazionale Domenico Kappler (già amministratore delegato della Risorse pubbliche Roma spa e presunto socio occulto di Scambia).

Secondo gli inquirenti, Scambia (insieme all’imprenditore Domenico Barbieri e Luigi Patimo, rappresentante in Calabria della multinazionale spagnola Action Agua, soci nella Rti interessata all’appalto della depurazione) – attraverso quella presunta tangente – intendeva far aumentare l’importo dei fondi stanziati dalla Regione Calabria per rendere più efficiente la depurazione nella città dello Stretto e al contempo ottenere la gestione in affidamento diretto.

Da Iacchite -

Pubblicato in Calabria

Secondo la DDA i successi elettorali di Greco a Castrolibero nel 2008 e nel 2013 sarebbero stati ottenuti grazie al sostegno elettorale ricevuto, in cambio di denaro e assunzioni, dal gruppo criminale guidato da Michele Bruni, alias “Bella bella”, e dal clan “Rango-Zingari”

Dopo anni la Dda di Catanzaro ha chiesto il rinvio a giudizio del consigliere regionale di centrosinistra Orlandino Greco, ex sindaco di Castrolibero, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione elettorale e voto di scambio.

Tra gli imputati figura anche Aldo Figliuzzi, ex assessore di Castrolibero la cui posizione, vista l’assenza durante l’udienza, è stata stralciata e sarà riunita al procedimento nella prossima udienza del 17 febbraio 2020.

Gli illeciti contestati agli imputati si riferiscono al periodo che va dal 2008 al 2013.

Secondo l’accusa, i successi elettorali di Greco a Castrolibero nel 2008 e nel 2013 sarebbero stati ottenuti grazie al sostegno elettorale ricevuto, in cambio di denaro e assunzioni, dal gruppo criminale guidato da Michele Bruni, alias “Bella bella”, e dal clan “Rango-Zingari”.

Nel corso dell’udienza, l’accusa – rappresentata dall’ex pm della Dda Pierpaolo Bruni, attuale procuratore della Procura di Paola – ha chiesto anche le condanne per gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato:

Fabio Bruni, 6 anni e 2 mesi di reclusione;

Violetta Calabrese, un anno e 6 mesi;

Alessandro Esposito, 6 anni e 4 mesi di reclusione;

Mario Esposito, 6 anni 4 mesi;

Adolfo Fogetti, 3 anni e 6 mesi;

Ernesto Foggetti, 3 anni e 6 mesi;

Marco Foggetti, 4 anni e 8 mesi;

Massaro Marco, 3 anni e 8 mesi;

Giuseppe Prosperoso, 5 anni e 10 mesi.

Il prossimo 17 febbraio l’accusa si pronuncerà nei confronti di Figliuzzi e la parola passerà poi alle difese.

Oggi hanno parlato anche le parti civili costituite in giudizio, la Regione Calabria e il ministero dell’interno tramite l’Avvocatura dello Stato.

Pubblicato in Paola

L’organizzazione aveva costituito anche una ‘batteria di picchiatori’ composta da soggetti appositamente incaricati dell’esecuzione di attività estorsive per il recupero dei crediti maturati, mediante l’impiego della violenza

 

 

 

 

ROMA – I finanzieri del Comando provinciale di Roma stanno eseguendo – nel Lazio, in Calabria e in Sicilia – un’ordinanza di custodia cautelare, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Roma, nei confronti di 51 persone (50 finite in carcere e una assegnata ai domiciliari), accusate di appartenere ad un’organizzazione criminale specializzata nel traffico di sostanze stupefacenti, in grado di rifornire gran parte delle “piazze di spaccio” dei quartieri della Capitale.

L’organizzazione, secondo gli investigatori, aveva costituito “una ‘batteria di picchiatori’ composta da soggetti appositamente incaricati dell’esecuzione di attività estorsive per il recupero dei crediti maturati, mediante l’impiego della violenza”.

All’operazione, denominata “Grande Raccordo Criminale”, partecipano circa 400 militari, con il supporto di elicotteri e unità cinofile.

Seguono aggiornamenti

Pubblicato in Italia

indagine climaAmici, è vero, non c’è pace tra gli ulivi. Ma oggi, però, non vi parlerò di un noto film degli anni 50 con la bravissima Lucia Bosè, ma vi parlerò di una bufera politico giudiziaria che questa mattina ha sconvolto tutta la Calabria e che ha già preso il posto nelle prime pagine dei giornali: -Appalti in Calabria, trema il Pd: il Presidente Oliverio è nei guai-.- Appalti truccati e corruzione per le grandi opere. Bufera sulla Regione e sul Comune di Cosenza-. Così il televideo della RAI:- Calabria, 20 indagati per appalti pubblici-. E il televideo di Mediaset:-Appalti Calabria, indagato Oliverio. Nei guai anche il Sindaco di Cosenza -. Tutti hanno ricevuto un avviso di garanzia dalla Procura di Catanzaro. E torna a far discutere il disarcionamento del Sindaco Mario Occhiuto nel lontano 2016. Tutti ancora ricordano come finì la prima avventura di Mario Occhiuto alla guida del Comune di Cosenza. Pochi mesi prima che il suo mandato di Sindaco terminasse i consiglieri di minoranza e alcuni consiglieri di maggioranza davanti ad un notaio firmarono le proprie dimissioni dalla carica di consiglieri comunali per far cadere il Sindaco. E il Sindaco cadde, il Prefetto nominò un Commissario Prefettizio e poi si andò a nuove elezioni. Stravinse nuovamente Mario Occhiuto. Sbaragliò gli avversari che ancora si leccano le ferite. Tutto finito. Macché. Ora, a distanza di tre anni, i Magistrati della DDA di Catanzaro hanno indagato a fondo e sono venuti alla conclusione che dietro quella decisione non c’era nulla di politico. E l’artefice principale, secondo l’accusa, è Luigi Incarnato, all’epoca Consigliere e Assessore Regionale della Regione Calabria. Per questa triste e insolita vicenda sono indagati diverse persone tra cui l’attuale Governatore della Calabria On. Mario Oliverio e l’ex Consigliere Regionale On. Nicola Adamo. Nel mirino dell’inchiesta oltre al complotto ai danni del Sindaco di Cosenza in particolare ci sono due opere pubbliche: la metropolitana leggera che dovrebbe collegare Cosenza con Rende e l’erigente nuovo ospedale di Cosenza nonché il Museo di Alarico. Molte sono le accuse contestate, tra le altre quella che ha destato molto scalpore, è l’associazione a delinquere. Cos’è l’associazione a delinquere? E’ un delitto contro l’ordine pubblico previsto dall’Art.416 del codice penale italiano. Per la Treccani l’associazione per delinquere è un “ organismo plurisoggettivo composto da tre o più persone capace di realizzare un programma criminoso”. Tra i reati ipotizzati c’è la turbativa d’asta, frode in pubbliche forniture, corruzione. Tutti, però, si difendono e si dichiarano estranei ai fatti. Sono accuse infamanti, risibili e infondate e chiedono di essere sentiti al più presto dai Magistrati per chiarire la vicenda. Comunque la bufera politico giudiziaria di questa mattina ha già lasciato il segno e avrà certamente strascichi non solo nella consultazione elettorale per il rinnovo del Consiglio Regionale Calabrese ma anche nelle scelte dei candidati a Presidente della Regione. Oliverio chiede la riconferma e Occhiuto è il candidato unico in pectore del centro destra.

Pubblicato in Italia

Domenico Lucano, sindaco sospeso di Riace, è stato convocato per domani come "persona informata sui fatti", dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria.

A darne notizia è lo stesso Lucano dopo avere ricevuto la comunicazione.

 

Lucano è indagato in un'inchiesta della Procura di Locri per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e illeciti nell'affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti.

Il sindaco sospeso di Riace sarà sentito dal Procuratore aggiunto della Dda reggina Giuseppe Lombardo.

"Non so assolutamente di cosa si tratta - ha detto Lucano - so solo che dovrò rendere una testimonianza".

Attualmente Domenico Lucano non può risiedere a Riace a seguito di un divieto di dimora.

Pubblicato in Reggio Calabria

Leggiamo con viva sorpresa un articolo sul prestigioso Iacchitè. Eccolo:

“A Fuscaldo, il 19 giugno scorso, c’era grande fermento.

Un gruppo di 20 unità di auto con a bordo agenti in borghese, probabilmente della DDA di Catanzaro, aveva effettuato un controllo accurato su tutti i cosiddetti “pennelli di pietra”

da sud a nord della spiaggia di Fuscaldo, messi in posa nell’estate del 2017.

I “pennelli”, che servono a mettere un argine al triste fenomeno dell’erosione costiera, partono da sud in contrada Maddalena e arrivano fino a località Lago a nord di Fuscaldo.

Gli agenti hanno prelevato frammenti di pietre e altra campionatura di materiale vicino alle barriere di pietra, ma hanno fatto anche prelievi di acqua nelle vicinanze degli stessi.

Inoltre hanno fotografato ed effettuato video per verificare la gravità dei reati commessi contro l’ambiente.

L’ipotesi di reato è inquinamento ambientale dovuto alla messa in posa delle pietre dei “pennelli”, posti a difesa della costa o per il contrasto erosione costiera.

Le pietre – a quanto risulterebbe dalle prime analisi – potrebbero avere un livello di radioattività.

La ditta che ha effettuato i lavori di messa in opera è la stessa che ha prelevato le pietre dalla cava posta a monte del fiume Oliva a Campora San Giovanni, luogo da sempre oggetto di indagini, in quanto luogo di deposito sotterraneo del carico di materiale radioattivo e di scarti industriali della Jolly Rosso, la nave dei veleni che si arenò sulla spiaggia di Amantea nel lontano 1991.

Da Iacchite - 10 novembre 2018”

NdR: ?????????????

Pubblicato in Campora San Giovanni

È in corso dalle prime ore di questa mattina un’operazione dell’Arma dei Carabinieri, che sta impiegando oltre 100 uomini del Comando Provinciale di Reggio Calabria per dare esecuzione ad un provvedimento di fermo disposto dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia.

Destinatari sono noti imprenditori del capoluogo reggino, ritenuti affiliati alle cosche di ‘ndrangheta del capoluogo calabrese e accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, fittizia intestazione di beni e autoriciclaggio.

Avrebbero contato sull’appoggio delle più pericolose cosche cittadine per accumulare enormi profitti illeciti, riciclati in fiorenti attività commerciali.

L’operazione del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Reggio Calabria, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia reggina, ha fatto luce su un reticolato di cointeressenze criminali coltivate da spregiudicati imprenditori edili e immobiliari.

Sono 4 le persone colpite da provvedimento di fermo emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria.

In corso anche il sequestro di numerose aziende, centinaia di appartamenti e decine di terreni edificabili nel capoluogo, per un valore complessivo di oltre 50 milioni di euro

Pubblicato in Reggio Calabria

Un anno fa – più o meno di questi tempi – le esigenze giornalistiche avevano giustamente richiesto la ribalta e la cosiddetta “prima pagina” per i tre arrestati eccellenti dell’operazione “Robin Hood” contro i papponi di Calabria Etica e così le fotografie di Pasqualino Ruberto e Nazzareno Salerno e le accuse contro il dirigente regionale Vincenzo Caserta hanno girato per tutta Italia.

Era passato in secondo piano invece il ruolo fondamentale del “bancomat” di questi papponi. tutti affamati di tangenti e soldi sonanti. Si chiama Ortensio Marano e viene da Belmonte, costa tirrenica cosentina, ad un passo da Amantea. 

I dieci milioni di euro di fondi comunitari stanziati per le famiglie bisognose sono stati trasferiti alla Fondazione Calabria Etica, e da qui girati attraverso un bando ad hoc ad una società privata, la Cooperfin spa dell’imprenditore Ortensio Marano, che in parte li distraeva dalla loro finalità facendoli girare su conti di gestione in modo da utilizzarli per la propria attività finanziaria, in parte li trasferiva direttamente all’ex assessore Nazzareno Salerno, mascherandoli sotto forma di prestito.

Duecentotrentamila euro: un prestito fittizio, secondo gli inquirenti, perché a fronte delle rate pagate dal politico, la società restituiva le stesse cifre per l’acquisto di quote di una società riferibile alla famiglia dello stesso Salerno.

Tutto questo un anno fa. Oggi, a distanza di poco più di un anno – appunto – scopriamo che il “bancomat”, pardon la Cooperfin, ha chiesto e ottenuto il pignoramento dello stipendio alla Regione di Nazzareno Salerno, quasi a voler dimostrare che quel “prestito” non è fittizio… Ovviamente sappiamo tutti che trattasi di mazzetta mascherata da prestito e questa mossa della Cooperfin potrebbe essere la spia di una forma di collaborazione con la magistratura e quindi con la DDA che non promette niente di buono per Nazzareno Salerno e gli altri suoi compari “papponi”.

Ricordiamo infatti che all’epoca hanno ricevuto un avviso di garanzia anche Maria Vincenza Scolieri, 41 anni, Cristiano Giacinto, 43, e Licia Soreca, 34 anni. I tre sono accusati di abuso d’ufficio in concorso “in qualità di componenti la commissione esaminatrice nominata in relazione alla gara indetta dalla fondazione Calabria Etica, per conto della Regione Calabria, in relazione a un partner di service finanziario connesso alla gestione del fondo a favore di coloro che versano in una situazione di temporanea difficoltà economica di cui al progetto “Credito Sociale”, dunque di pubblici ufficiali o comunque incaricati di un pubblico servizio”.

In estrema sintesi, Scolieri, Giacinto e Soreca avevano aggiudicato la gara alla società Cooperfin Spa nonostante fosse palese che non avesse i requisiti per poterla vincere.

Per raggiungere i propri obiettivi, Salerno ha estromesso quei funzionari che volevano escludere Calabria Etica dal progetto, tra cui l’ex dirigente Bruno Calvetta, che subì minacce e forti pressioni riprese anche dalle telecamere del Ros, e infine venne sostituito con Enzo Caserta, finito in manette nell’operazione.

Ruberto allora ha sottoscritto un avviso funzionale a quella selezione del tutto privo dei requisiti minimi per poter essere considerato un bando pubblico, non facendo alcun riferimento al valore del servizio da appaltare e individuando un termine di appena 7 giorni per la presentazione delle candidature, termine, “oltre che illegittimo anche inadeguato, in relazione alla richiesta di presentazione di un “progetto” che contenga proposte migliorative della gestione del servizio”.

Caserta ha poi omesso – pur avendo l’obbligo giuridico di intervenire – qualunque forma di controllo sulle modalità di selezione predisposte da Ruberto, mentre Marano ha concorso in questo in quanto “beneficiario della condotta illecita e negoziatore con Salerno, soggetto, a sua volta, ideatore ed istigatore della complessiva vicenda delittuosa, nonché in ultimo anche beneficiario del prezzo corruttivo che la Cooperfin Spa verserà in suo favore”.

E l’interesse della Cooperfin “non era certo la remuneratività del servizio, ma la disponibilità delle ingenti somme di cui poi avrebbe disposto in maniera assolutamente illecita”.

In definitiva, per il giudice, la predisposizione del “bando” risulta “essere stato chiaramente il frutto di una collusione fra chi lo ha formulato (Ruberto), chi ne ha affidato indebitamente la predisposizione (Caserta), chi aveva interesse a che fosse la Cooperfin ad aggiudicarsi il servizio (Salerno) e chi ne ha beneficiato, non tanto aggiudicandosi il servizio, ma appropriandosi concretamente addirittura della maggior parte (ben l’80% circa) delle somme gestite (Marano).

I 230.000 euro che sono stati trovati a Salerno sono palesemente il ricavato di una tangente. Euro versati al mafioso Salerno in due rate: la prima da 148.484 euro del 02.02.2015, la seconda da 82.255,46 euro, del 17.07.2015.

Le date dei versamenti, specie la prima, sono significative perché corrispondono allo stesso periodo (inizio 2015), quando Calabria Etica versa i soldi alla Cooperfin di Ortensio Marano. Come a dire: non appena i soldi sono stati accreditati e l’affare concluso, si passa al pagamento della mazzetta.

Dicono i magistrati: siamo di fronte ad una chiara mazzetta pagata a Salerno, in quanto ideatore del piano criminale che ha permesso alla Cooperfin di gestire il denaro del Credito sociale. E per giustificare la mazzetta, la cricca capeggiata da Salerno si inventa un prestito. E per “avallare” la tesi del prestito, Salerno versa fittiziamente anche qualche rata del presunto prestito alla Cooperfin. Denaro che Salerno riceveva attraverso versamenti, addirittura superiori all’importo fittizio della rate da pagare, guarda caso, dalla società M&M Management. E di chi è la società M&M Management? Guardo caso di Ortensio Marano, lo stesso che ha ricevuto la gestione attraverso la Cooperfin del denaro destinato al Credito sociale.

Sì, propio lui, Ortensio Marano da Belmonte, il bancomat dei papponi di Calabria Etica ma anche di Calabria Verde, per come abbiamo già documentato (http://www.iacchite.com/calabria-verde-principale-campanaro-le-grandi-manovre-cooperfin-tfr-dei-lavoratori/). Un uccellino ci aveva detto che presto ci sarebbero state novità. Ed aveva ragione. Buona fortuna a tutti!

Da Iacchite- 29 marzo 2018

Pubblicato in Belmonte Calabro

Il presidente del Tar Calabria, Vincenzo Salamone, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario della giustizia amministrativa catanzareseha detto che la Calabria ha il record di ricorsi contro le interdittive antimafia .

 

Ha osservato ancora il presidente del Tar Calabria «Si tratta di un consistente aumento dei ricorsi, e inoltre - ha aggiunto - essendo ricorsi molto complessi li definiamo con celerità perché riguardano la vita economica della Calabria.

Le interdittive antimafia certamente hanno un impatto negativo sulla vita economica della regione, ma se non si fa pulizia - l'economia legale cede il passo a quella illegale».

Poi ha aggiunto «Nella sanità calabrese c'è una peculiarità: si tratta dell'unica regione con un commissario che non è il presidente della Regione».

Ed ha proseguito «È una scelta politica nella quale ovviamente non voglio entrare, ma è evidente che questo produce molti contenziosi e crea conflittualità, perché un presidente di Regione che si vede sottratto un settore che vale il 60% del bilancio regionale non può vedere di buon occhio questa dualità di ruoli».

In tema di sanità, il Tar Calabria nel 2017 ha emesso circa 70 sentenze, con particolare riferimento alle prestazioni ospedaliere e ai tetti di spesa delle strutture accreditate.

Infine il presidente Salamone ha detto: «Certamente c'è un impatto negativo, ma se non si fa pulizia l'economia legale cede il passo a quella illegale»

Alla cerimonia ha partecipato anche il procuratore Nicola Gratteri. «Mi fa piacere veder trasparire l’efficienza di questo Tribunale amministrativo: fa il paio con quello che stiamo cerando di costruire negli uffici giudiziari di Catanzaro e del distretto.

Non è stato facile far cambiare mentalità, sono stato facilitato perché i vertici delle forze dell’ordine hanno creduto in un progetto, nella volontà di fare una rivoluzione».

Secondo Gratteri le interdittive antimafia «aumenteranno ancora».

«Siamo fortunati ad avere quattro prefetti di primissimo piano in Calabria: dispiace per il prefetto Longo, grandissimo investigatore, che ha indagato contro le tre grandi mafie in Italia, ma a breve lascerà per raggiunti limiti di età.

I vertici delle forze dell’ordine mi hanno mandato il meglio della polizia giudiziaria italiana.

I migliori sono oggi qui nel distretto di Catanzaro: è stato faticoso convincerli, ma stiamo vedendo i risultati che sono migliorati nettamente».

«Purtroppo - ha poi detto Gratteri - non abbiamo visto una rivoluzione da parte di chi amministra, non abbiamo visto una presa di coscienza da parte di chi amministra a vari livelli: ancora non ci si è resi conto che la ricreazione è finita.

Con dispiacere ho saputo che questo non è un palazzo di proprietà dello Stato: le suggerisco - ha concluso Gratteri rivolgendosi al presidente del Tar - di chiedere all’agenzia per i beni confiscati. Incominci a fare come ho fatto io, facendo il maleducato, quando mi sono insediato. Faccia come me, esca fuori dal suo compito istituzionale e vedrà che si muoverà qualcosa».

Pubblicato in Calabria
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